A che servono i vecchi? A nulla, risponde
il nuovo capitalismo. Sono soltanto un costo, ovviamente da abbattere.
In senso fisico.
Stiamo esagerando, potreste pensare. E invece no. L'ultimo Outlook pubblicato ieri dal Fondo Monetario Internazionale - che certo non è un'istituzione di beneficienza – recita papale papale:
«i rischi connessi a un aumento
dell'aspettativa di vita sono molto alti: se entro il 2050 la vita media
dovesse aumentare di tre anni più delle stime attuali, aumenterebbero
del 50% i giá elevati costi» dei sistemi di welfare. Non sia mai
detto...
Se volessimo, per semplicità, ragionare
in un'ottica solo italiana, potremmo a questo punto tirare le
conclusioni di un lungo percorso che va dalla prima delle innumerevoli
riforme delle pensioni (Dini, 1996) fino all'attuale “riforma del
mercato del lavoro”. Tutte modifiche motivate con la “necessità di
parametrare l'età pensionabile con le aspettative di vita”, si diceva,
in modo da “non scaricare i costi sulle generazioni future”.
Ora apprendiamo che proprio il
prolungamento della vita media – un effetto diretto del welfare
post-bellico, fatto di istruzione, sanità, pensioni, limiti allo
sfruttamento in termini di orari, ferie, ecc – è il problema.
Badate. Il Fmi non parla dell'Italia, ma
dell'Occidente capitalistico, dei paesi più industrializzati. Parla di
una civiltà che viene definita “economicamente incompatibile” con il
sistema di produzione e distribuzione esistente. Una way of life venduta
per quasi 60 anni come il migliore dei mondi possiibili, che era
servita a tenere lontani (e minoritari) i fantasmi della Rivoluzione,
stemperando in “riformismo” le rivendicazioni del movimento operaio.
Tutto finito, inutile, ingombrante,
costoso. Il nuovo “modello sociale” dovrà esse plasmato sui criteri
della “competitività”, quindi sul lavoro flessibile, pagato poco, senza
“inutili rigidità” come quelle garantite dai diritti. Senza servizi
sociali o miracolose attese per “la vita dopo il lavoro”. Il “ciclo di
vita” capitalisticamente “virtuoso” si deve consumare per intero dentro
la fase “produttiva”; il dopo non è un problema del capitale e
dell'economia. Se hai una struttura familiare e rendite che ti possano
garantire, bene; altrimenti spegniti senza dare fastidio ulteriore,
senza pretendere cure, reddito, casa, assistenza pubbliche.
Che questo modo di procedere sia anche
economicamente utile, è dubbio. Sedetevi la mattina davanti al
principale dei monumenti cittadini e osservate bene le code di turisti
che l'attraversano. Vedrete orde di pensionati ex lavoratori dipendenti,
ex insegnanti, ecc. Abbattere i livelli di reddito dei pensionati
“occidentali” (giapponesi compresi, ovviamente) avrà ricadute immediate
sul turismo di massa e l'indotto sconfinato che questo genera. Dalla
ristorazione alle strutture alberghiere, dalle compagnie aeree low cost
agli ambulanti, fino ai “centurioni” del Colosseo. Possiamo agevolmente
prefigurare la scomparsa di decine di professionalità di servizio: dai
dietologi ai personal trainer, dai centri benessere ai negozi “bio”.
Ma si tratta di un “dimagrimento sociale”
perseguito lucidamente, non tanto di conseguenze inattese di politiche
insensate. La ragione di fondo sta nella causa vera della crisi: sovraproduzione di capitale. Che non significa affatto – come tanti lettori di Marx per sentiro dire credono – semplice “sovraproduzione di merci”. Il Capitale, infatti, comprende certo i soldi, i macchinari, le merci, i servizi, i trasporti, ecc. Ma anche le persone fisiche. Quelle che entrano nel processo di produzione sotto la voce di capitale variabile. E che ci entrano come sorgente da cui estrarre plusvalore, certamente; ma che rappresentano pur sempre – per il capitalista – anche un costo.
In
tempi di crisi, tenere gente in vita è più un costo che un'opportunità.
Certo, ai bei tempi tutto sarebbe stato risolto con una bella guerra,
che consentiva di spianare capitale altrui (ricchezza accumulata, macchine, merci, persone, ecc) distruggendone anche, in parte, del proprio.
Purtroppo,
la proliferazione nucleare ha di fatto tolto di mezzo questa
possibilità: l'esito finale. In termini di distruzione di capitale,
rischia di essere decisamente ecccessivo. I “nemici di comodo” che di
volta in volta possono essere investiti con la potenza distruttiva
accumulata – i Gheddafi, gli Assad, i Saddam - sono ben poca cosa
rispetto alle quantità che andrebbero eliminate per rilanciare
l'accumulazione.
Quindi
la guerra “per l'eliminazione della capacità produttiva in eccesso” si
introverte all'interno stesso dei paesi industrializzati. O imperialisti
che dir si voglia. Diventa guerra contro la propria popolazione in
eccesso, contro i “privilegi” che ne hanno fatto salire in modo così
pericoloso l'età media, le “aspettative di vita”.
E' una
guerra che può anche non richiedere l'uso delle armi. Basta “esodare”
centinaia di migliaia di persone all'improvviso. Magari ogni anno o giù
di lì.
Se li “lasciamo fare”, è quello che faranno. Lo stanno già facendo.
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