mercoledì 11 aprile 2012

Dovete morire di Dante Barontini, www.contropiano.org

A che servono i vecchi? A nulla, risponde il nuovo capitalismo. Sono soltanto un costo, ovviamente da abbattere. In senso fisico. Stiamo esagerando, potreste pensare. E invece no. L'ultimo Outlook pubblicato ieri dal Fondo Monetario Internazionale - che certo non è un'istituzione di beneficienza – recita papale papale:
«i rischi connessi a un aumento dell'aspettativa di vita sono molto alti: se entro il 2050 la vita media dovesse aumentare di tre anni più delle stime attuali, aumenterebbero del 50% i giá elevati costi» dei sistemi di welfare. Non sia mai detto...
Se volessimo, per semplicità, ragionare in un'ottica solo italiana, potremmo a questo punto tirare le conclusioni di un lungo percorso che va dalla prima delle innumerevoli riforme delle pensioni (Dini, 1996) fino all'attuale “riforma del mercato del lavoro”. Tutte modifiche motivate con la “necessità di parametrare l'età pensionabile con le aspettative di vita”, si diceva, in modo da “non scaricare i costi sulle generazioni future”.
Ora apprendiamo che proprio il prolungamento della vita media – un effetto diretto del welfare post-bellico, fatto di istruzione, sanità, pensioni, limiti allo sfruttamento in termini di orari, ferie, ecc – è il problema.

Badate. Il Fmi non parla dell'Italia, ma dell'Occidente capitalistico, dei paesi più industrializzati. Parla di una civiltà che viene definita “economicamente incompatibile” con il sistema di produzione e distribuzione esistente. Una way of life venduta per quasi 60 anni come il migliore dei mondi possiibili, che era servita a tenere lontani (e minoritari) i fantasmi della Rivoluzione, stemperando in “riformismo” le rivendicazioni del movimento operaio.
Tutto finito, inutile, ingombrante, costoso. Il nuovo “modello sociale” dovrà esse plasmato sui criteri della “competitività”, quindi sul lavoro flessibile, pagato poco, senza “inutili rigidità” come quelle garantite dai diritti. Senza servizi sociali o miracolose attese per “la vita dopo il lavoro”. Il “ciclo di vita” capitalisticamente “virtuoso” si deve consumare per intero dentro la fase “produttiva”; il dopo non è un problema del capitale e dell'economia. Se hai una struttura familiare e rendite che ti possano garantire, bene; altrimenti spegniti senza dare fastidio ulteriore, senza pretendere cure, reddito, casa, assistenza pubbliche.

Che questo modo di procedere sia anche economicamente utile, è dubbio. Sedetevi la mattina davanti al principale dei monumenti cittadini e osservate bene le code di turisti che l'attraversano. Vedrete orde di pensionati ex lavoratori dipendenti, ex insegnanti, ecc. Abbattere i livelli di reddito dei pensionati “occidentali” (giapponesi compresi, ovviamente) avrà ricadute immediate sul turismo di massa e l'indotto sconfinato che questo genera. Dalla ristorazione alle strutture alberghiere, dalle compagnie aeree low cost agli ambulanti, fino ai “centurioni” del Colosseo. Possiamo agevolmente prefigurare la scomparsa di decine di professionalità di servizio: dai dietologi ai personal trainer, dai centri benessere ai negozi “bio”.
Ma si tratta di un “dimagrimento sociale” perseguito lucidamente, non tanto di conseguenze inattese di politiche insensate. La ragione di fondo sta nella causa vera della crisi: sovraproduzione di capitale. Che non significa affatto – come tanti lettori di Marx per sentiro dire credono – semplice “sovraproduzione di merci”. Il Capitale, infatti, comprende certo i soldi, i macchinari, le merci, i servizi, i trasporti, ecc. Ma anche le persone fisiche. Quelle che entrano nel processo di produzione sotto la voce di capitale variabile. E che ci entrano come sorgente da cui estrarre plusvalore, certamente; ma che rappresentano pur sempre – per il capitalista – anche un costo.
In tempi di crisi, tenere gente in vita è più un costo che un'opportunità. Certo, ai bei tempi tutto sarebbe stato risolto con una bella guerra, che consentiva di spianare capitale altrui (ricchezza accumulata, macchine, merci, persone, ecc) distruggendone anche, in parte, del proprio.
Purtroppo, la proliferazione nucleare ha di fatto tolto di mezzo questa possibilità: l'esito finale. In termini di distruzione di capitale, rischia di essere decisamente ecccessivo. I “nemici di comodo” che di volta in volta possono essere investiti con la potenza distruttiva accumulata – i Gheddafi, gli Assad, i Saddam - sono ben poca cosa rispetto alle quantità che andrebbero eliminate per rilanciare l'accumulazione.
Quindi la guerra “per l'eliminazione della capacità produttiva in eccesso” si introverte all'interno stesso dei paesi industrializzati. O imperialisti che dir si voglia. Diventa guerra contro la propria popolazione in eccesso, contro i “privilegi” che ne hanno fatto salire in modo così pericoloso l'età media, le “aspettative di vita”.
E' una guerra che può anche non richiedere l'uso delle armi. Basta “esodare” centinaia di migliaia di persone all'improvviso. Magari ogni anno o giù di lì.
Se li “lasciamo fare”, è quello che faranno. Lo stanno già facendo.

Nessun commento:

Posta un commento

Di la tua