mercoledì 4 aprile 2012

Art. 18, "compromesso" con fregatura - di Dante Barontini, www.contropiano.org

Quando i leader si vedono di notte, la fregatura è assicurata. E così è andata anche stavolta. Ma a imprese e banche non basta ancora! Paradossalmente, però, proprio l'intransigenza delle imprese richia di riaprire del tutto la partita della "riforma del mercato del lavoro", con esiti al momento abbastanza imprevedib

ili (nel senso: saranno negativi per chi lavora in ogni caso, ma non è chiaro quanto).


Il tema scottante era ancora e sempre l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che protegge i dipendenti dai licenziamenti “illegittimi”, ovvero senza “giusta causa”. Causa che, vista la casistica di 40 anni, si riduce alle situazioni di “colpa grave” del singolo lavoratore: danneggiamento volontario, malattie addotte ma non certificate, assenteismo cronico, rissa, ecc.
Il governo e Confindustria volevano invece rendere possibile il licenziamento individuale anche per “motivi economici”. Com'è noto, in Italia sono possibili un numero illimitato di licenziamenti collettivi per questa stessa ragione. L'azienda dichiara di essere in crisi, di dover perciò ridurre il personale, gli ispettori del lavoro vanno a verificare il ministero concede gli ammortizzatori sociali (co-finanziati da imprese e dipendenti, quasi tutti) e tutto procede senza intoppi.
A che diavolo serve dunque la possibilità di licenziare un solo lavoratore “per motivi economici”? Fin troppo facile la risposta: a togliersi dai piedi gli “indesiderati” con una motivazione fasulla ma “legittima”. Non necessariamente gli indesiderati debbono essere soggetti “conflittuali”; possono benissimo essere anche gli inidonei, ovvero i lavoratori che sono rimasti danneggiati nel fisico proprio dalle mansioni svolte per molti anni in condizioni inumane. Per esempio, in una fabbrica dall'età media abbastanza bassa come la Fiat di Melfi, su 5.500 dipendenti ben 2.200 sono al momenti “inidonei”. Ma non licenziabili, perché è stata loro riconosciuta una “causa di lavoro” per la loro ridotta capacità produttiva.
Cgil e Pd non potevano accettare una formulazione “automatica” - come quella proposta da Fornero & co. - che permetteva il licenziamento con questa causale senza alcuna verifica da parte del giudice e con un semplice indennizzo economico. Ma il governo non poteva rinunciare a questa “libertà” da concedere alle imprese, che si tradurrà - oltre che in un certo numero di licenziamenti – soprattutto in un silenziamento rigido dei lavoratori e della possibilità di fare davvero sindacato in azienda.
Il “compromesso” è l'orrore che ci si aspettava. Che salva le “forme” (in modo da non far perdere completamente la faccia al Pd e alla Cgil), mentre fa vanzare la sostanza.
In pratica:
a) l'azienda licenzia il lavoratore “per motivi economici”;
b) entro 7 giorni la direzione territoriale del lavoro convoca azienda e lavoratore per la “conciliazione obbligatoria”, che ha per obiettivo la determinazione di un indennizzo condiviso da entrambe le parti;
c) se non c'è l'accordo il lavoratore può ricorrere al giudice;
d) il quale dovrà però valutare se la motivazione economica sia valida (o nn nasconda in realtà intenzioni “discriminatorie”) secondo una “tipizzazione” molto più rigida dell'attuale, in modo da togliergli la “libertà” di interpretare la legge;
e) se il giudice non troverà motivi per contestare la causale scelta dall'azienda, darà il via libera al licenziamento e il lavoratore – che aveva avuto l'ardire di ricorrere alla magistratura – perderà anche l'indennizzo.
Non serve essere degli esperti di diritto sindacale per capire che, con questa mannaia messa alla fine del percorso, i lavoratori saranno “disincentivati” dal ricorso alla magistratura. La domanda che si dovranno porre subito sarà infatti: “prendo questi quattro soldi sicuri o vado avanti rischiando di perdere tutto?”
Poi è arrivata anche una nota congiunta di imprese, banche e cooperative (toh, chi si vede...) che giudica insufficiente la riforma nel suo complesso (vedi il testo in fondo). Di fatto, le imprese vogliono a questo punto una "vittoria piena", che cancelli completamente ogni incertezza giudiziaria sul fatto che possono licenziare chi vogliono e quando vogliono. Tradotto in politichese, significa metter fuori la Cgil e costringere il Pd a spaccarsi.
Non è una nostra interpretazione malevola. Potete leggere l'articolo de Il Sole 24 Ore, quotidiano di Confindustria che ovviamente - fin dal titolo, che dà una notizia falsa, o almeno tragicamente incompleta - apprezza molto questo “compromesso” che toglie quasi ogni difesa reale al lavoratore. Anche Repubblica falsifica intenzionalmente: "Licenziamenti economici, possibile il reintegro".  Paradossalmente, è meno falsario il titolo del Corriere della Sera: "Licenziamenti economici, possibile reintegro se palesemente illegittimi". Dove il "palesemente" riduce al lumicino le "possibilità di reintegro".
Se i giornalisti che scrivono certe cose si fermassero a pensare che questa sorte potrà toccare anche a loro, un giorno o l'altro, forse sarebbero un po' più cauti nel “benedire” certe scelte...

Art.18: sul licenziamento economico deciderà il giudice


Giorgio Pogliotti

ROMA - Passa per una stretta tipizzazione delle causali del licenziamento individuale per motivi oggettivi la mediazione finale sul nuovo articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. E per il rafforzamento della conciliazione preventiva con l'obiettivo di ridurre il contenzioso. L'idea è quella di assicurare da una parte l'ipotesi della reintegrazione, sia pure come ultima istanza, in caso di licenziamento economico giudicato illegittimo e, dall'altra, di ridurre il più possibile la discrezionalità del magistrato ancorando il suo giudizio su una serie di fattispecie che definiscono il motivo del licenziamento e che si traducono, se violate, in una serie di aggravanti o attenuanti nella sentenza di condanna del datore di lavoro.

Nel primo caso, con le attenuanti, si ricadrebbe nel solo ambito dell'indennizzo, da quantificare sulla base di precisi parametri; nel secondo caso si potrebbe invece arrivare alla previsione della reintegrazione. Per gli altri casi di licenziamento non cambierebbe nulla, con l'illegittimità dei discriminatori e la scelta alternativa (in capo al giudice e non al lavoratore) tra reintegra e indennizzo per quelli disciplinari.

Dopo il vertice notturno di Mario Monti con i leader di Pdl, Pd e Udc, il testo del Ddl messo a punto dal ministro Elsa Fornero dovrebbe arrivare comunque invariato al vaglio del Colle. Con l'intesa politica di un emendamento concordato e accolto dal Governo che dovrebbe introdurre, appunto, le tipizzazioni dei licenziamenti economici.

Ieri il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha confermato e difeso per intero l'impianto del testo che traduce in norme il «documento di policy» approvato con la formula «salvo intese» dal Consiglio dei ministri del 23 marzo. Il testo definitivo del disegno di legge sarà pronto questa mattina e sarà inviato al Quirinale per la firma che ne autorizza la trasmissione in Parlamento. Elsa Fornero ha riferito di averne parlato con il premier già in mattinata, poi nel pomeriggio c'è stato un colloquio a Palazzo Chigi prima dell'incontro tra Monti e il ministro Corrado Passera. Anche sul «nodo» delle risorse per il finanziamento del nuovo assetto «universalistico» degli ammortizzatori sociali sarebbe stata trovata la soluzione al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, superando le ultime perplessità del Tesoro sulla cifra di 1,7-1,8 miliardi che è stata fin qui indicata. Dettagli che si conosceranno nei prossimi giorni leggendo la relazione tecnica che accompagnerà il Ddl.

Tornando alle correzioni sulla flessibilità in uscita, e in particolare ai licenziamenti economici individuali, nel vertice notturno si è ragionato sulla proposta caldeggiata da tutti i sindacati, e sostenuta soprattutto dal leader Pd, Pier Luigi Bersani, di prendere come riferimento il modello tedesco. Con il potenziamento dell'istituto della conciliazione preventiva, al quale dovranno ricorrere le imprese e i lavoratori, anche con l'assistenza delle rispettive associazioni di rappresentanza, l'obiettivo è duplice: assicurare tempi rapidi per la decisione (il documento del governo fissa un termine perentorio di 7 giorni entro il quale la direzione territoriale del lavoro convoca le parti), riducendo drasticamente il contenzioso giudiziario. Oggi, invece, in base alla legge 604 del 1996, modificata dal collegato lavoro del 2010, il tentativo di conciliazione è facoltativo. L'intesa in sede di conciliazione assicura il pagamento di un indennizzo sostanzioso al lavoratore licenziato per ragioni economiche che, in assenza di un accordo, può ricorrere al giudice. Con questa scelta, però, il lavoratore si assume un grosso rischio, perché in caso di conferma della legittimità del licenziamento economico, non vedrà riconosciuto nulla, neanche l'indennizzo economico concordato in sede di conciliazione. L'articolato - salvo modifiche decise all'ultimo ‐ dovrebbe prevedere che quando viene accertata l'inesistenza del giustificato motivo oggettivo, il giudice può condannare il datore di lavoro alla reintegrazione o al pagamento di un indennizzo. A ridurre la discrezionalità del magistrato che preoccupa le imprese, dovrebbe contribuire la tipizzazione delle causali di licenziamento ecomomico individuale.


COMUNICATO STAMPA CONGIUNTO SULLA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO
Roma, 4 aprile 2012 - Siamo molto preoccupati per le notizie che stanno trapelando in merito alla riforma
del mercato del lavoro.
L’impianto complessivo della riforma già irrigidisce il mercato del lavoro riducendo la flessibilità in entrata e
abolendo, seppur gradualmente, l’indennità di mobilità, strumento importante per le ristrutturazioni aziendali.
Queste maggiori rigidità trovavano un logico bilanciamento nella nuova disciplina delle flessibilità in uscita .
A fronte di questo equilibrio, Confindustria, ABI, ANIA, Alleanza delle Cooperative e le altre organizzazioni
imprenditoriali si erano risolte a sottoscrivere il verbale, proposto dal Presidente del Consiglio, che
concludeva il confronto tra le parti.
Le modifiche che oggi vengono prospettate sulla stampa vanificano il difficile equilibrio raggiunto e rischiano
di determinare, nel loro complesso, un arretramento piuttosto che un miglioramento del nostro mercato del
lavoro e delle condizioni di competitività delle imprese, rendendo più difficili le assunzioni.
Tra queste modifiche risultano inaccettabili, in particolare, la diversa disciplina per i licenziamenti di natura
economica e quella che va complessivamente configurandosi per i contratti a termine, specie per quelli
aventi carattere stagionale.
Se queste notizie dovessero trovare conferma non può che ribadirsi che “al paese serve una buona riforma
e che, piuttosto che una cattiva riforma, è meglio non fare alcuna riforma”.
Abi
Alleanza delle Cooperative Italiane
Ania
Confindustria

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