Se in una vasca ci sono tre buchi, due
si tappano alla bell’è meglio e uno resta aperto, l’acqua continuerà a
uscire da lì. Tutte le chiacchiere e i pasticci del Palazzo attorno
all’articolo 18 si fermano sulla soglia della reintegra per il
licenziamento economico. Lì il governo mantiene ferma la sua posizione:
anche se il licenziamento economico è ingiusto non si rientra al lavoro.
Come è evidente a tutti, ancor di più a coloro che fingono, questo è
sufficiente per garantire la piena libertà di licenziamento. Soprattutto
in un momento di crisi come questo. E’ evidente infatti che se mettiamo
assieme i dati sulla recessione, la crescita della disoccupazione, la
caduta dei mercati della produzione, basterà la sola minaccia del
licenziamento economico per indurre le lavoratrici e i lavoratori a
contratto a tempo indeterminato ad accettare qualsiasi condizione di
supersfruttamento. La libertà di licenziamento economico rende ridicola
l’affermazione che bisogna estendere i contratti a tempo indeterminato.
Questi ultimi, infatti, diventano a termine più degli altri. In fondo,
se vengo assunto con un contratto a termine c’è l’obbligo per chi mi
assume di mantenermi fino alla scadenza. Con il licenziamento economico
il contratto a tempo indeterminato può scadere in qualsiasi momento,
appena ci sono delle difficoltà dell’azienda oppure una
ristrutturazione, oppure un cambio di reparto, oppure un cambio di
mansione. Cioè, il contratto a tempo indeterminato, diventa un contratto
precario come tutti gli altri. Questa è la sostanza della decisione che
il governo è andato a vendere in Europa e nel resto del mondo,
presentandola, giustamente, come una misura che rende il lavoro ancora
più mercificato. Berlusconi lo diceva gualche anno fa nel suo modo
volgare. Venite a investire in Italia che c’è il lavoro più flessibile e
le segretarie più carine. Monti, sobriamente, dice le stesse cose.
Nello stesso tempo l’Europa, nei suoi documenti riservati, ci dice che
cento miliardi di tagli alla spesa pubblica e sociale, nonché di tasse
in più, probabilmente non basteranno, vista la recessione. Dunque la
crisi è destinata a continuare, proprio a causa della politica economica
del governo Monti e degli altri governi europei che continuano a
perseguire a tutti i costi l’austerità. Come abbiamo detto nella
manifestazione di Milano e come dobbiamo ribadire in tutti i modi, Monti
se ne deve andare. Dobbiamo mandarlo via perché il suo programma è
socialmente catastrofico e proprio per questo, se perseguito, produrrà
con una terribile reazione a catena le ragioni di altri interventi dello
stesso segno. Quello che è successo in Grecia, dove più hai tagliato,
più hai dovuto continuare a tagliare. Bisogna quindi cominciare a
fermarli, e facciamolo allora sulla controriforma del lavoro. Partiamo
da qui. Smascherando il colossale imbroglio della volontà di
licenziamento, che chiude il ciclo iniziato con l’innalzamento a quasi
70 anni dell’età pensionabile. Il 13 aprile Cgil Cisl e Uil portano in
piazza gli esodati truffati dal governo. Ma se passerà la controriforma
del lavoro saremo tutti esodati o esodabili. Chi non sarà più coperto
dalla mobilità e dalla cassa integrazione, dovrà arrangiarsi con un
anno, un anno e mezzo di indennità di disoccupazione. A questi si
aggiungeranno coloro che saranno licenziati uno per uno per ragioni
economiche. Coloro che continueranno a subire il ricatto dei 46
contratti precari che resteranno tutti, ma proprio tutti, in vigore. Sì,
questo governo affronta la crisi con i licenziamenti e, con buona pace
di quanto afferma lo stesso Presidente della Repubblica, così aggrava la
crisi invece che risolverla. Per questo dobbiamo continuare a scendere
in piazza finché non se ne va.
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