La discussione sul "soggetto politico nuovo" si
anima e si intreccia con i risultati del voto in Francia. Alcune note
sull'assemblea di Firenze a partire da un articolo di Luca Casarini
In un articolo di Luca Casarini
sul manifesto del 25 aprile c'è una frase importante: "In questa fase
la grande questione è come organizzare fuori dalla finalità elettorale
un blocco sociale capace di leggere la crisi e affrontarla da sinistra
senza cadere nel populismo. Invece la vicenda elettorale viene
utilizzata come motore per organizzare un soggetto sociale e politico
"nuovo". Ciò che accade in Francia e che si ripeterà probabilmente in
Italia ci dimostra che il problema non si aggira: è fuori e prima delle
elezioni che il soggetto politico e sociale deve prendere forma,
organizzarsi attraverso processi che hanno al centro la capacità di
esercitare una forza attraverso il conflitto, contro la governance della
crisi". Si tratta, par di capire, di trovare un'autosussistenza per un
nuovo blocco di forze, radicate ed efficaci socialmente, tale da
fondarne senso e percorso al di là di qualsiasi speculazione elettorale.
Dal mio punto di vista questa espressione si completa di un altro
concetto: l'autosufficienza di questo progetto politico, - che oggi
potrebbe prendere, in Italia e non solo, le forme di una vasta alleanza
plurale di forze anche con natura diverse accomunate dalla critica al
capitalismo e a questa democrazia e legate dalla assoluta indipendenza
dalle attuali "governance" di destra e di sinistra - si fonda su una
prospettiva tanto difficile quanto ineludibile: la costruzione di
un'autorganizzazione di massa dei soggetti sociali, delle forze reali in
vista di un confronto-scontro con gli apparati e le istituzioni
dominanti per fondare un'altra democrazia e una diversa società
sostenibile. Senza questo corollario, infatti, senza l'ambizione di
inverare, nelle forme più moderne possibile, quanto scrisse Marx nel primo saluto dell'Associazione internazionale dei lavoratori - "l'emancipazione dei lavoratori è opera dei lavoratori stessi"
- l'autosussistenza non avrebbe scelta tra divenire forma, sia pure
intelligente, di "antipolitica" oppure auto-marginalizzazione. In
qualche modo, occorre declinare, anche nelle forme moderne che la nuova
struttura di classe e le nuove forme dell'accumulazione impongono, quel
concetto dell'autodeterminazione delle figure proletarie per dare a
questa prospettiva una forma comunque "politica" e non meramente
"sociale" o addirittura "sindacale". L'autorganizzazione, in questo
senso, non è una "pratica di lotta" o un obiettivo interno alla
struttura dei movimenti sociali, ma l'obiettivo, e l'architrave, di
un'altra idea della società e quindi un fine politico che regge
l'insieme di una piattaforma sociale e politica per l'alternativa. In
questo senso, oggi, nell'attuale crisi della politica e delle forme
istituzionali date, un discorso "alto" sulla democrazia, sull'esercizio
della delega, sull'applicazione di forme efficaci di "revoca", su
istituzioni di partecipazione diretta, è divenuto indispensabile proprio
per dare senso e prospettiva a una politica alternativa.
Tutta la premessa serve per spiegare perché non sembra condivisibile,
al contrario della frase citata, l'impianto dell'articolo di Luca e il
giudizio sul soggetto politico "nuovo" che vedrà luce, sia pure in forma
embrionale, sabato a Firenze.
L'impianto del ragionamento, infatti, fa leva su altre affermazioni
che, per lo meno, restano equivoche e non aiutano a dissipare
l'equivoco, o l'errore, di fondo della sinistra italiana degli ultimi
dieci-quindici anni.
Casarini, infatti, scrive che la Francia dimostra che ormai si vota non tanto per dotarsi di un "diritto di tribuna" in Parlamento ma perché "la grande massa degli elettori vota per il governo, non per essere rappresentata". Tanto che, fa notare, per Mélenchon non c'è alternativa che dare subito indicazione di voto per Hollande.
"Oggi chi sceglie di presentarsi alle elezioni dovrebbe avere il coraggio di dire perché lo fa. E se ci racconta che è per uscire dalla Nato o nazionalizzare le banche ci sta prendendo per il culo" scrive ancora Casarini. "Da fuori possiamo e dobbiamo interloquire con chi sceglie di proporsi alle elezioni come alternativo a ciò che esiste ora. Ma senza tanti discorsi. Su questioni concrete. Come concreta è la constatazione che con il 2% dei voti o il 4 non stai discutendo con niente, ma solo con qualcuno che ha il problema della rappresentanza propria". Il ragionamento è senz'altro vero nella maggior-parte dei casi ma non chiarisce se la prospettiva avanzata sia quella di pensare alle elezioni solo nel momento in cui è possibile porre la questione del governo - e quando arriverebbe? - o se invece l'unica opzione utile per "chi sta fuori" è intrecciare il proprio destino con, per citare ancora l'articolo, "dinamiche di governance che possono incepparsi a causa di contraddizioni che rivelano opposte tendenze intercapitalistiche di gestione della crisi. Questi cambi - scrive ancora Casarini - inceppamenti e fibrillazioni a chi sta fuori possono far bene. Senza mai pensare che risolvano, in radice, i problemi". Questo induce a ritenere che l'ipotesi più interessante non sia tanto (per iniziare a chiamare le cose con il loro nome) il 2 o 4 per cento che il Soggetto politico nuovo - o un altro progetto analogo - potrebbe darsi come obiettivo quanto dialogare, influenzare, relazionarsi a una coalizione - il centrosinistra in questo caso e la sua componente vendoliana nello specifico - che può offrire spazi di interlocuzione a chi lavora per il cambiamento. E che magari resta fuori. Insomma, un'ipotesi in cui il "soggetto" è sostanzialmente sociale dotato di interlocuzioni politiche e non un "soggetto politico" a tutto tondo.
Casarini, infatti, scrive che la Francia dimostra che ormai si vota non tanto per dotarsi di un "diritto di tribuna" in Parlamento ma perché "la grande massa degli elettori vota per il governo, non per essere rappresentata". Tanto che, fa notare, per Mélenchon non c'è alternativa che dare subito indicazione di voto per Hollande.
"Oggi chi sceglie di presentarsi alle elezioni dovrebbe avere il coraggio di dire perché lo fa. E se ci racconta che è per uscire dalla Nato o nazionalizzare le banche ci sta prendendo per il culo" scrive ancora Casarini. "Da fuori possiamo e dobbiamo interloquire con chi sceglie di proporsi alle elezioni come alternativo a ciò che esiste ora. Ma senza tanti discorsi. Su questioni concrete. Come concreta è la constatazione che con il 2% dei voti o il 4 non stai discutendo con niente, ma solo con qualcuno che ha il problema della rappresentanza propria". Il ragionamento è senz'altro vero nella maggior-parte dei casi ma non chiarisce se la prospettiva avanzata sia quella di pensare alle elezioni solo nel momento in cui è possibile porre la questione del governo - e quando arriverebbe? - o se invece l'unica opzione utile per "chi sta fuori" è intrecciare il proprio destino con, per citare ancora l'articolo, "dinamiche di governance che possono incepparsi a causa di contraddizioni che rivelano opposte tendenze intercapitalistiche di gestione della crisi. Questi cambi - scrive ancora Casarini - inceppamenti e fibrillazioni a chi sta fuori possono far bene. Senza mai pensare che risolvano, in radice, i problemi". Questo induce a ritenere che l'ipotesi più interessante non sia tanto (per iniziare a chiamare le cose con il loro nome) il 2 o 4 per cento che il Soggetto politico nuovo - o un altro progetto analogo - potrebbe darsi come obiettivo quanto dialogare, influenzare, relazionarsi a una coalizione - il centrosinistra in questo caso e la sua componente vendoliana nello specifico - che può offrire spazi di interlocuzione a chi lavora per il cambiamento. E che magari resta fuori. Insomma, un'ipotesi in cui il "soggetto" è sostanzialmente sociale dotato di interlocuzioni politiche e non un "soggetto politico" a tutto tondo.
Se questa è l'ipotesi, allora non regge nemmeno ai fini della
prospettiva che in premessa abbiamo detto di condividere. L'esperienza
degli ultimi anni mostra che non può esserci una scissione tra progetto politico e comportamento sociale,
anzi, proprio questa divaricazione ha prodotto lo sfacelo in cui siamo.
L'esperienza, italiana ed europea, dice, invece, che il problema
fondamentale cui siamo costretti a dare una risposta è quello di
costruire un processo di accumulazione di forze progressive, una stabile
alleanza che possa porre la questione del governo in termini di un
altro governo, un'altra politica, un'altra società. La questione è
davvero di grande spessore, tanto che forse nessuno dei soggetti in
campo è in grado di dare la risposta giusta. Ma l'esempio più
convincente viene proprio dalla destra in Francia che pure Casarini cita
a proposito. Marine Le Pen non cede alla logica del
"voto utile" o di coalizione e nemmeno chiede il voto di testimonianza o
di mera rappresentanza: avanza un progetto politico per la Francia, e
l'Europa, e chiede consenso per arrivare a praticarlo. La strategia del
Front National - sconfiggere Sarkozy per prenderne il posto - è
esattamente quella che manca alla sinistra radicale:
fare i conti fino in fondo con il socialismo europeo e il centrosinistra
per avanzare direttamente la propria proposta politica. Una strategia
che richiede tempo, saldezza, idee, e gambe sociali. Un'operazione di
"ricostruzione storica" di cui in Italia non si vede traccia. Ma questa
sembra essere l'unica strada. E una volta imboccata, se la via
elettorale possa servire o meno a rafforzarla, è secondario. Visto il
grado di partecipazione al voto che si registra ancora in Europa, le
elezioni sembrano rimanere un passaggio importante per segnare degli
avanzamenti progressivi: a patto, e qui siamo d'accordo, di non
accontentarsi della propria specifica visibilità ma della realizzazione
di un progetto alternativo di società, dotato di una significativa massa
critica. Ma questo richiede lo sforzo di tanti che oggi invece non si
parlano nemmeno.
Il "soggetto politico nuovo" che si presenta a Firenze aiuta in
questo cammino? In gran parte andrà verificato. Se da un lato non è
chiarito ancora il progetto di fondo, la società per cui lavorare e
nemmeno il rapporto con quel centrosinistra che è parte integrante
dell'attuale "governante", dall'altro l'idea di rimettere in circolo le
forze, di favorire il confronto, di aiutare a dialettizzare il "sociale"
e il "politico" può essere positiva. Ma se la Francia ci dice qualcosa è
che uno spazio a sinistra dei centrosinistra è ancora possibile e che
per riempirlo davvero e proporre una via di uscita, autonoma e
indipendente, alla crisi del capitalismo, occorre imboccare la strada di
una rigenerazione complessiva.
Nessun commento:
Posta un commento
Di la tua