Nel direttivo della Cgil non si sono solo
scontrati due opposti giudizi sulla controriforma del lavoro ma si sono
anche confrontati due diversi modi di concepire il rapporto con il
governo e la politica nella crisi attuale.
Sul piano del merito la differenza è evidentissima. Da un
lato, la maggioranza con i suoi 90 voti, ha affermato che sull'articolo
18 si è ottenuto un primo risultato e che si è difesa sostanzialmente la
tutela contenuta in quell'articolo dello Statuto dei lavoratori. Chi ha
votato contro (35 con 6 astenuti, della Fiom, della conoscenza e della
Funzione pubblica, della minoranza congressuale, di Lavoro e società),
ha invece sostenuto l'esatto contrario. Cioè che la controriforma del
lavoro avviene prima di tutto sull'articolo 18, con il passaggio dalla
reintegra all'indennizzo anche nel caso di licenziamento riconosciuto
ingiusto da parte del giudice. Ci si scontra quindi non solo sul
bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, com'è nella tradizione sindacale,
ma proprio sul senso del risultato. Per chi ha votato contro il
risultato è completamente negativo, per chi ha votato a favore invece è
un passo avanti.
E' difficile trovare nella storia recente della Cgil una
contrapposizione così netta e così inconciliabile. Se nel 1984 la
maggioranza della Cgil invece che respingere il decreto Craxi che
tagliava la scala mobile lo avesse approvato, forse avremmo un
precedente. Oggi purtroppo si ha la sensazione che le posizioni e le
maggioranze siano esattamente ribaltate rispetto a quel momento.
E questo perché la maggioranza della Cgil oggi è strettamente
connessa alle scelte, alle sofferenze, alle difficoltà e alle
contraddizioni del Partito democratico. Il documento finale finisce con
una sorta di ringraziamento a quelle forze politiche che hanno permesso i
primi risultati. In realtà dovrebbe essere il Pd a ringraziare la Cgil,
perché l'accettazione da parte di questa organizzazione dell'accordo
sul lavoro tra Monti, Alfano, Bersani e Casini, suona soprattutto come
copertura nei confronti di questo partito. Di un partito che deve
sostenere una delle politiche più antipopolari e antisociali della
storia della Repubblica.
Se fosse stato al governo Berlusconi la Cgil non si sarebbe
minimamente sognata di accettare una manomissione dell'art. 18. Lo fa
oggi unicamente perché il suo gruppo dirigente pensa che non si possa
andare allo scontro frontale con questo governo. E qui c'è il nodo di
tutto.
Nel dibattito del direttivo le critiche, l'insofferenza, l'ostilità
verso il governo sono stati enormi, eppure sono sembrati più segno di
frustrazione e impotenza che di reale volontà politica. Nella Cgil la
maggioranza si lamenta di quanto sia di destra questo governo, ma poi
non riesce a sottrarsi al vincolo del quadro di unità nazionale che lo
sostiene. In questo modo anche la polemica con l'antipolitica diventa
profondamente ambigua. E' il governo di unità nazionale che taglia le
pensioni e tutti i diritti, sostenuto anche dal Pd, che costruisce
l'antipolitica. L'antipolitica è prima di tutto l'ABC.
Così si depotenziano anche le lotte e gli scioperi. Dopo la sconfitta
drammatica sulle pensioni e mentre sull'art. 18 sono minacciati diritti
fondamentali dei lavoratori, la Cgil lancia un appello a Cisl e Uil per
una lotta comune sul fisco e sul lavoro. Si cambiano continuamente le
carte in tavola, sperando di non perdere la mano, ma così si va solo
sempre più a fondo. Oggi i lavoratori stanno mostrando una generosità
incredibile nell'effettuare scioperi e lotte in tutta Italia. Ma se chi
deve rappresentare queste lotte manda segnali confusi e contraddittori a
coloro contro i quali esse sono indirizzate, le depotenzia nello stesso
momento in cui le proclama.
Gli scioperi devono avere un obiettivo chiaro: il no alle controriforme e al governo che le sostiene, altro che equilibrismi.
La situazione è troppo grave perché si possa andare avanti così.
Quasi il 30% della Cgil nel direttivo ha detto di no alla segreteria.
Occorre trasformare questa scelta in azione. Occorre che il popolo della
Cgil sappia che una parte dell'organizzazione non è d'accordo con
questa linea di tira e molla e perdi. Per quanto ci riguarda faremo
tutto il possibile perché si organizzi una opposizione di massa in Cgil e
perché cresca nel paese quel movimento unitario di lotta contro il
governo che, unendo forze e movimenti e sindacati diversi, ha avuto un
suo primo importante successo il 31 marzo a Milano. Non ci sono voti di
direttivo che tengano, quando sono in gioco i diritti fondamentali dei
lavoratori si va avanti nel difenderli.
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