“Ripareremo:
mandaremo Prodi al Quirinale” ha detto Niki Vendola alla festa
dell’Unità. Provo a replicare non per gusto della polemica, peraltro in
questo periodo abusata da molti in politica, ma per difendere un
passaggio particolamente delicato della storia della sinistra italiana e
di Rifondazione Comunista che ha influito molto sulle scelte e sul
carattere dell’opposizione al “pensiero unico” del centro sinistra che
in quegli anni veniva a consolidarsi.
Le parole di Vendola mi sono apparse non solo superficiali e gratuite
ma, cosa più grave, ispirate a un bisogno di piacere, di farsi
accettare proprio da quel popolo e da quei dirigenti che in quel
tornante più ci hanno attaccato duramente e accusato in ogni modo e
luogo per aver troncato l’esperienza che consideravano molto progressiva
del governo Prodi. Per entrare nell’entourage del nuovo centro sinistra
, sempre più ridotto ad accordo tra Pd e Sel, occorre rispolverare la
più vecchia delle argomentazioni: abbiamo sbagliato e ora ripareremo.
Intendiamoci, durante il suo intervento Vendola ha detto anche cose
diverse. Ad esempio, come molti hanno già apprezzato, parole chiare sul
matrimonio gay; ma la frase che commento, a mio parere , rende un po’
falso il tutto. Ciò che conta è indossare il vestito nuovo pena essere
esclusi, anche a costo di prendere le distanze dalla precedente identità
abbandonando in buona sostanza le ragioni dell’alternativa, di cui
invece c’è un bisogno enorme.
Sono uscita da Rifondazione Comunista insieme a Vendola per dar vita a
uno spazio politico più largo, inclusivo di diverse culture che non
avevano magari neppure attraversato Rifondazione; ma nessuno di noi,
così dicevamo, intendeva spogliarsi della propria, che non consideravamo
fardello di cui disfarsi ma una cassetta degli attrezzi per meglio
operare, rinnovando pratiche e saperi.
Abbiamo dato vita a Sel per meglio realizzare questo obiettivo. Ne
sono uscita dopo un anno perché il campo per costruire una sinistra
nuova mi è sembrato precluso. L’ho fatto senza clamori, portando grande
rispetto per le scelte che altre e altri dentro a Sel man mano facevano.
Ma ho preferito fare altro per continuare a seminare esperienze per il
cambiamento, a partire da una cultura critica e mai subalterna.
Riprendo oggi parola pubblica perché ritengo che prendersela con
disinvoltura con quel passato, come fa Vendola, non solo ferisce quanti
lo hanno agito ma inibisce la stessa possibilità di operare e anche di
pensare un cambiamento fuori del centrosinistra di governo.
Quando togliemmo l’appoggio a Prodi non lo facemmo perché pensavamo
il Professore inadeguato o per vocazione minoritaria. Vendola lo
dovrebbe ben ricordare, infatti, all’interno di Rifondazione Comunista
questo passaggio fu a lungo discusso. Lo facemmo con lucidità e
convinzione pagando anche il prezzo di una dolorosa scissione non solo
perchè Prodi e il suo governo non concesse nulla sul piano di una
politica economica e sociale redistributiva, ma proprio perché quel
rifiuto a fare politiche socialmente connotate a favore del lavoro e del
welfare stringeva tutti nella gabbia delle compatibilità economico
finanziarie del neoliberismo che già nel ‘98 piegava alle
privatizzazioni e alla deregolazione dei diritti del lavoro. Cioè si
andava nella direzione che avrebbe portato alla attuale crisi
drammatica.
Che cosa dobbiamo riparare? Un errore di fase? Una strategia? Penso
l’opposto. Non c’è niente da riparare, anzi , davanti al rischio che la
politica di questo nuovo centro sinistra in costruzione richieda di
espungere ogni criticità e autonomia, bisognerebbe coltivare esperienze
di conflitto e di autogestione, e non invocare governo, governo, senza
la soggettività dei movimenti.
Da parte nostra allora ci fu un tentativo coraggioso, titanico per
una forza relativamente piccola come Rifondazione, per difendere una
autonomia di pensiero e di pratiche che già dovevano essere spiantate
per far procedere l’avanzata del liberismo. Ci volevano sussumere nel
grande campo. Ci siamo ribellati e autodeterminati come soggetto
politico fuori dal coro. E che coro!! Piovvero non solo critiche ma
addirittura insulti, soprattutto da intellettuali di fama e dai giornali
di grande opinione. Ma solo quella scelta poco dopo ci permise di
entrare alla pari di tanti soggetti sociali nel grande movimento
altermondialista. Non saremmo stati capaci di fare Genova , come infatti
successe ai tanti dirigenti del responsabile centrosinistra,
che ci lasciarono soli alla manifestazione dopo la morte di Carlo
Giuliani. Ma per fortuna eravamo comunque in tanti! E ancora dopo a
Cancun, a Porto Alegre, a Munbay……
E da quel nuovo rapporto coi movimenti traemmo anche la forza per
riprovare questa volta direttamente la strada del governo. E fummo
duramente sconfitti dalle stesse condizioni che avevano impedito la
svolta con il primo governo Prodi. Chi vuole riprovarci oggi farebbe
bene ad interrogarsi sulle esperienze passate e provare a dire cosa oggi
rende la sfida più possibile. Per questo non serve liquidare il passato
perché è quello che può insegnare qualcosa se finalmente si volesse
discutere. Tanto meno è serio usare la sua liquidazione per qualche
ulteriore giochino politicista come il lancio di Prodi alla presidenza
della Repubblica che non mi pare proprio materia da primarie. Giocare
con il passato a volte è anche più triste e discutibile che farlo con il
futuro.
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