domenica 9 settembre 2012

L'altra faccia della Fiat

E' uscito per Aliberti editore, "C'era una volta la Fiat", di Salvatore Cannavò. Il racconto dell'azienda fatto con gli operai che ci lavorano, i lati nascosti delle strategie aziendali, il disastro annunciato e le prospettive sindacali. Di seguito, un'anticipazione del libro

Salvatore Cannavò

Sergio Marchionne ha sempre sostenuto che c’è una pregiudiziale anti-Fiat in Italia che caratterizza giornali, commentatori, politica e sindacato. E che contro questa pregiudiziale lui stesso e il gruppo dirigente della Fiat hanno dovuto condurre una sorda battaglia che non si è ancora conclusa. Ogni volta che ci si imbatte nell’istituzione Fiat, fatta dei suoi uomini, delle sue azioni, dei suoi legali, del complesso meccanismo che il più importante gruppo privato italiano, almeno per ora, è in grado di mettere in piedi, questa visione delle cose fa capolino da ogni battuta e da ogni discorso.
VITTIMISMO CONSAPEVOLE. Tutta la ristrutturazione che la Fiat ha imboccato da quando Marchionne ha deciso di dare il via all’operazione Pomigliano, cioè alla revisione dei rapporti sindacali in Italia, contestualmente all’avvio dell’avventura statunitense con Chrysler, è stata portata avanti all’insegna di un vittimismo consapevole, di un approccio che ha fatto leva sull’ingratitudine del Paese nei confronti di un’azienda che, è il ragionamento supposto, per l’Italia ha fatto tanto e in cambio ha avuto solo lamentele.
Eppure non sarebbe difficile allestire un’agile rassegna stampa dei mille e più elogi ricevuti da Sergio Marchionne e dalla famiglia Agnelli da giornalisti compiacenti, dalla stampa più o meno asservita ma anche da quella più distante ma ossequiosa, spesso in buona fede, del principale gruppo italiano. Nonostante tutti ciò (…) lo stile vittimista ha avuto la meglio e si è via via affermato nella comunicazione dominante di Marchionne.
LA VENTILATA IPOTESI DI UN ADDIO ALL'ITALIA. Stile sempre accompagnato, con cura e precisione, dalla rassegna dei successi, dall’esaltazione delle capacità aziendali - riassunto in quel «costruiamo cose ben fatte» che si sente nello spot della nuova Panda - riuscendo così a creare una coppia comunicativa di indubbia efficienza in grado di legittimare quello che tutti si aspettano e che potrebbe accadere in brevissimo tempo: il definitivo abbandono dell’Italia da parte della Fiat o, più probabilmente, una riduzione significativa della presenza industriale nel nostro paese (...).
Alla ripresa produttiva di settembre 2012 il tema sul tappeto delle relazioni sindacali e del futuro industriale italiano è senz’altro questo: quale stabilimento la Fiat deciderà di chiudere, soprattutto dopo la scelta analoga, e dall’analogo impatto politico e sociale, fatta dal gruppo francese Peugeot-Citroën (Psa) con l'impianto di Aulnay-sous-Bois alle porte di Parigi con 8 mila operai senza più il posto di lavoro.
APPELLO ALL'UE PER SOCCORRERE UN SETTORE IN CRISI. La scelta va citata perché costituisce un passaggio chiave per comprendere quanto sta avvenendo in Europa e permette di collocare così le possibili strategie della Fiat in un quadro organico. Anche perché è stato lo stesso Marchionne, in qualità di presidente dei costruttori europei dell’Auto (Acea) a lanciare l’ultimo - in ordine cronologico - allarme, chiedendo un intervento concreto e immediato all’Unione europea per soccorrere un settore nevralgico ma in forte crisi di sovrapproduzione e con assenza di sbocchi di vendita.
L’allarme è stato lanciato nel giugno del 2012 al termine di un vertice delicatissimo con i vertici della Commissione europea che ha animato un gruppo di lavoro, definito Cars21, con l’incarico di individuare le risorse e le azioni possibili della Ue per sostenere il mercato dell’auto.
NEL 2012 VENDITE IN PICCHIATA. «È essenziale che azioni concrete siano prese nel più breve tempo possibile», spiegava allora Sergio Marchionne nella conferenza stampa svoltasi al termine di quel vertice. «Sfortunatamente le raccomandazioni di Cars21 sono state spesso ignorate nel passato e ora osserviamo con preoccupazione segnali analoghi», aveva aggiunto.
La richiesta fatta alle istituzioni europee era quella di sostenere la competitività delle industrie del vecchio continente nei confronti della concorrenza globale, in una nefasta previsione di mercato per il 2012 (…).
UN PROBLEMA DI SOVRAPRODUZIONE. Non a caso qualche tempo prima, in un’intervista pressoché ignorata ma resa all’autorevole quotidiano francese Le Figaro aveva esplicitato una proposta più in sintonia con le proprie convinzioni e coerente con quanto fatto dalla Fiat in Italia: la chiusura delle fabbriche in Europa.
«Il settore è confrontato a una sovracapacità produttiva di circa il 20%», spiegava Marchionne al quotidiano parigino, «in particolare per le piccole vetture che spingono i prezzi verso il basso. Questa incapacità a vendere tutti i prodotti che si potrebbero vendere è esattamente il problema con cui si sono confrontati gli Stati Uniti nel 2007-2008. Ma laggiù i costruttori americani hanno chiuso il 20% della loro capacità produttiva e ora guadagnano del denaro».
Come dichiarazione del presidente dei costruttori europei non c’è male. Anche perché Marchionne nel frattempo preconizzava la stessa soluzione anche per l’Europa: chiudere circa dieci stabilimenti e ridurre la sovrapproduzione di circa 3 milioni di vetture: «Non abbiamo scelta: lanciamo questo processo di aggiustamento e ripartiamo da zero su una base sana. Sarà doloroso per circa dodici mesi, ma facciamolo».

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