lunedì 3 settembre 2012

L'Incubo!

MATTEO PUCCIARELLI – Compagni siamo al governo, ma fate piano sennò i mercati si incazzano

Scesi in strada con il basco in testa, quello delle grandi occasioni, quello che mi portò mio zio di ritorno da Cuba, roba per le grandi occasioni: avevo osato metterlo solo per la vittoria di Giuliano Pisapia, perché diciamolo, Milano ci fece godere come dei matti anche si stava a 600 chilometri di distanza. «E ora buttate giù la bat-casa del figliolo della Moratti», capace firmai pure una petizione ad hoc. Che ricordi. Insomma, vincemmo noi. Che anno, quel 2013. L’amico Bersani e il compagno Vendola fecero segno il segno della vu a beneficio dei fotografi, come siete belli, premier e vicepremier. Mi raccomando, presidenza della Camera a Walter Veltroni, il Senato a una cattolica, diciamo Rosy Bindi. E la presidenza della Repubblica? Dai, Mario Monti, è uno che in Europa serve sempre, lui è fatto così: alza il telefono, due chiacchiere in confidenza con la Merkel e lo spread oltre i 500 non ci va (che culo!).
Ah, quante feste quel giorno ragazzi. Giuro che ero felice e sul serio, perché c’avevo creduto, perché dalla crisi si può uscire davvero ma solo “a sinistra”. Un bel piano Roosevelt e via, siamo a cavallo. Senza populisti, senza demagoghi, senza antipolitica, senza massimalismo. Basta cultura della sconfitta, cazzo. Pacatezza, responsabilità, arte della politica, mediazioni e riformismo: era la volta buona.
Certo, ma… a conti fatti avevamo vinto ma non ce la facevamo lo stesso. Colpa di Berlusconi, s’era cucito la riforma elettorale addosso. Ma scusa, non l’aveva votata anche il Pd, alla fine? Sì, è vero, ma vanno capiti, cos’altro dovevano fare, tenersi il Porcellum? Non sia mai – anche se quella che fecero dopo era peggio ancora.
Arrivò Enrico Letta raggiante, così eccitato che in testa gli stava crescendo un cesto di rasta: «Bisogna aprire all’Udc, ci mancano i voti sennò». Mugugnammo. Compagni, mica possiamo buttare tutto alle ortiche. Siamo arrivati fin qui, questa grandissima vittoria, non perdiamoci in un bicchier d’acqua. Vabbè, imbarcammo di tutto: ancora Rutelli, Buttiglione, ci mancava solo un Caltagirone ai Lavori Pubblici (no tranquilli, se l’era già prenotato un socialista).
Pazienza, ingoiammo il rospo anche quella volta, tanto è una vita che non si fa altro. Però mi levai il cappellino di Cuba. Per protesta. Il primo Consiglio dei ministri fu uno spasso: trovammo subito l’accordo per restare al governo. Ed era questo: ragazzi lasciamo tutto com’è sennò qui la coalizione si sfascia e poi veramente i nostri elettori si incazzano, ché non riusciamo mai a portare a termine una legislatura.
La Tav si fa o no? Trovammo un altro accordo, siamo riformisti noi: «Chiamiamola Tavas!». Treni alta velocità ambientalmente sostenibile. La Tavas. I beoti non si accorsero che era un trucco. I No Tav non avevano più i soldi per rifare le bandiere (No Tavas, suona anche male), per cui anche loro furono messi ko.
La riforma del lavoro la rifacciamo, aumentando le tutele piuttosto che levandole? Ma come si fa compagni, poi i mercati si incazzano, gli imprenditori fuggono (ma non lo stanno già facendo? Zitto populista!)… Almeno i matrimoni gay, almeno quelli, giusto per darci l’impressione che da qualche parte stiamo andando. Allora la Bindi ritirò fuori i Dico e ritirò fuori pure la Pollastrini, solo che Fioroni e Cesa dissero che non era il momento perché c’era da pensare ai mercati che erano lì lì per incazzarsi.
Scusate, ma con Marchionne poi com’è andata a finire? E la Fiom è tornata in fabbrica? Sì, cioè no, ce la stavamo per fare ma girava voce che i mercati non erano d’accordo e poi lo sai che se si incazzano loro è un casino, si finisce come la Grecia. Però perlomeno riuscimmo quasi a chiudere con le missioni in Afghanistan, ci andammo vicini vicini così, poi però a conti fatti conveniva restare anche se non ricordo per quale motivo e non se ne fece di nulla.
Andò avanti così per cinque anni. Immobili ma anche arditi e un po’ birichini, i mercati svariate volte ci tirarono le orecchie, «come vi garba fare i comunisti eh? – sorridenti – scordatevelo! – subito severi -». Però fu bello fregiarsi del titolo onorifico, ministro di qua ministro di là, sottosegretari a valanga, oggi sei sindacalista Cgil e domani ti ritrovavi in Commissione Lavoro, cazzo era il turno nostro compagni!
Anno 2018. Ci hanno intortato bene bene per cinque anni. Sennò i mercati si incazzano. Sennò i mercati si incazzano. I mercati si incazzano. Si incazzano. I mercati. Si incazzano. Mi sarei incazzato pure io, ma non mi incazzo perché sennò stavolta i mercati si incazzano ma per davvero.

 

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