MATTEO PUCCIARELLI – Compagni siamo al governo, ma fate piano sennò i mercati si incazzano
Scesi
in strada con il basco in testa, quello delle grandi occasioni, quello
che mi portò mio zio di ritorno da Cuba, roba per le grandi occasioni:
avevo osato metterlo solo per la vittoria di Giuliano Pisapia, perché
diciamolo, Milano ci fece godere come dei matti anche si stava a 600
chilometri di distanza. «E ora buttate giù la bat-casa del figliolo
della Moratti», capace firmai pure una petizione ad hoc. Che ricordi.
Insomma, vincemmo noi. Che anno, quel 2013. L’amico Bersani e il
compagno Vendola fecero segno il segno della vu a beneficio dei
fotografi, come siete belli, premier e vicepremier. Mi raccomando,
presidenza della Camera a Walter Veltroni, il Senato a una cattolica,
diciamo Rosy Bindi. E la presidenza della Repubblica? Dai, Mario Monti, è
uno che in Europa serve sempre, lui è fatto così: alza il telefono, due
chiacchiere in confidenza con la Merkel e lo spread oltre i 500 non ci
va (che culo!).
Ah, quante feste quel giorno ragazzi. Giuro che ero felice e sul
serio, perché c’avevo creduto, perché dalla crisi si può uscire davvero
ma solo “a sinistra”. Un bel piano Roosevelt e via, siamo a cavallo.
Senza populisti, senza demagoghi, senza antipolitica, senza
massimalismo. Basta cultura della sconfitta, cazzo. Pacatezza,
responsabilità, arte della politica, mediazioni e riformismo: era la
volta buona.
Certo, ma… a conti fatti avevamo vinto ma non ce la facevamo lo
stesso. Colpa di Berlusconi, s’era cucito la riforma elettorale addosso.
Ma scusa, non l’aveva votata anche il Pd, alla fine? Sì, è vero, ma
vanno capiti, cos’altro dovevano fare, tenersi il Porcellum? Non sia mai
– anche se quella che fecero dopo era peggio ancora.
Arrivò Enrico Letta raggiante, così eccitato che in testa gli stava
crescendo un cesto di rasta: «Bisogna aprire all’Udc, ci mancano i voti
sennò». Mugugnammo. Compagni, mica possiamo buttare tutto alle ortiche.
Siamo arrivati fin qui, questa grandissima vittoria, non perdiamoci in
un bicchier d’acqua. Vabbè, imbarcammo di tutto: ancora Rutelli,
Buttiglione, ci mancava solo un Caltagirone ai Lavori Pubblici (no
tranquilli, se l’era già prenotato un socialista).
Pazienza, ingoiammo il rospo anche quella volta, tanto è una vita che
non si fa altro. Però mi levai il cappellino di Cuba. Per protesta. Il
primo Consiglio dei ministri fu uno spasso: trovammo subito l’accordo
per restare al governo. Ed era questo: ragazzi lasciamo tutto com’è
sennò qui la coalizione si sfascia e poi veramente i nostri elettori si
incazzano, ché non riusciamo mai a portare a termine una legislatura.
La Tav si fa o no? Trovammo un altro accordo, siamo riformisti noi:
«Chiamiamola Tavas!». Treni alta velocità ambientalmente sostenibile. La
Tavas. I beoti non si accorsero che era un trucco. I No Tav non avevano
più i soldi per rifare le bandiere (No Tavas, suona anche male), per
cui anche loro furono messi ko.
La riforma del lavoro la rifacciamo, aumentando le tutele piuttosto
che levandole? Ma come si fa compagni, poi i mercati si incazzano, gli
imprenditori fuggono (ma non lo stanno già facendo? Zitto populista!)…
Almeno i matrimoni gay, almeno quelli, giusto per darci l’impressione
che da qualche parte stiamo andando. Allora la Bindi ritirò fuori i Dico
e ritirò fuori pure la Pollastrini, solo che Fioroni e Cesa dissero che
non era il momento perché c’era da pensare ai mercati che erano lì lì
per incazzarsi.
Scusate, ma con Marchionne poi com’è andata a finire? E la Fiom è
tornata in fabbrica? Sì, cioè no, ce la stavamo per fare ma girava voce
che i mercati non erano d’accordo e poi lo sai che se si incazzano loro è
un casino, si finisce come la Grecia. Però perlomeno riuscimmo quasi a
chiudere con le missioni in Afghanistan, ci andammo vicini vicini così,
poi però a conti fatti conveniva restare anche se non ricordo per quale
motivo e non se ne fece di nulla.
Andò avanti così per cinque anni. Immobili ma anche arditi e un po’
birichini, i mercati svariate volte ci tirarono le orecchie, «come vi
garba fare i comunisti eh? – sorridenti – scordatevelo! – subito severi
-». Però fu bello fregiarsi del titolo onorifico, ministro di qua
ministro di là, sottosegretari a valanga, oggi sei sindacalista Cgil e
domani ti ritrovavi in Commissione Lavoro, cazzo era il turno nostro
compagni!
Anno 2018. Ci hanno intortato bene bene per cinque anni. Sennò i
mercati si incazzano. Sennò i mercati si incazzano. I mercati si
incazzano. Si incazzano. I mercati. Si incazzano. Mi sarei incazzato
pure io, ma non mi incazzo perché sennò stavolta i mercati si incazzano
ma per davvero.
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