di Giulia Rodano
Che
senso avrebbe promuovere una lista che si caratterizza per cercare di
dare voce anche in Italia a una critica radicale alle politiche di
austerità e a una concezione della ripresa basata sul binomio
classicamente di destra di meno tasse e più tagli della spesa pubblica e
poi riporre le bandiere nel cassetto?
Tutto si può chiedere alla Lista Tsipras tranne che il gioco
classico fatto da tanti in questi anni: chiedere i voti sbandierando
posizioni di sinistra e poi gestirli in una politica moderata.
La lista Tsipras non è la riedizione della Sinistra Arcobaleno.
Proprio la presenza di Tsipras ne fa l’inizio di un processo nuovo,
quello che ha fatto arrivare in Europa non tante forze piccole e divise
forze di sinistra, ma un movimento di europeismo radicale di sinistra,
in grado di sottrarsi al populismo nazionalista e all’acquiescenza
socialdemocratica.
La Lista Tsipras non è patrimonio di nessun azionista di maggioranza.
Proprio il risultato ci dice che ogni voto è stato essenziale e
decisiva è stata la rinnovata mobilitazione di tanti militanti,
elettrici e elettori che pensano che avere una sinistra oggi sia
essenziale anche in Italia.
Ricominciare con una sterile discussione tipicamente italiana sulla
futura collocazione nel mercato politico sarebbe un suicidio. Il
problema non è e non sarà se guardare al PD o rivolgersi ai 5Stelle. Il
problema sarà dare seguito alla promessa elettorale: far vivere la
sinistra e sostenere politiche profondamente diverse da quelle di questi
anni, quelle idee, quei valori e quelle proposta che sono descritti nei
dieci punti del programma della Sinistra Europea di Alexis Tsipras.
Bisognerà battersi per aggredire il nodo del debito dei paesi europei
con una politica di solidarietà e intervento europeo, un piano europeo
del lavoro, che crei occupazione attraverso politiche industriali e
intervento pubblico, per redistribuire la ricchezza e il lavoro, per
affrontare il grande tema di come restituire un minimo di sicurezza nel
proprio futuro a generazioni di giovani precari, poveri e senza
assistenza.
Significherà ricominciare a parlare di riconversione ecologica
dell’economia, di riduzione dell’orario di lavoro, di reddito minimo
garantito, di riprendere politiche previdenziali accettabili. Comporterà
investire in scuola, ricerca, servizi e salute. Vorrà dire affrontare i
conflitti di interesse e ricominciare a parlare di patrimoniale.
Significherà ricominciare a parlare di democrazia, trasparenza, partecipazione, applicazione della nostra Costituzione.
Questo vorrà dire in Italia con tutta probabilità stare
all’opposizione di un governo che vuole una legge elettorale che riduca
la rappresentanza e una legge sul lavoro che accresce la flessibilità e
la precarietà.
Non credo che fare questo significhi rinunciare alla politica. Se si
rientra nel gruppone del pensiero unico, allora sì che si diventerà
insignificanti.
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