Sinistre. Vendola
tiene uniti i suoi, ma alla presidenza è scontro duro fra chi chiede di
proseguire l’esperienza di Tsipras e chi vuole aprire un dialogo con il
governo: «Renzi un pericolo? No, un’opportunità»
«La mia idea è continuare a deludere la pattuglia di
eroici giornalisti che seguono le nostre riunioni in attesa di
vedere scorrere il sangue». Alla fine di una tormentatissima
riunione di presidenza, in cui volano parole grosse e si scontrano
due fazioni opposte — da una parte i sostenitori del «processo»
unitario a sinistra innescato dalla lista Tsipras, dall’altra
quelli che chiedono un avvicinamento al Pd e una ridiscussione del
rapporto con il governo Renzi, in mezzo un drappello di pontieri —
Nichi Vendola non resiste alla tentazione di prendersela con «i
giornalisti». Non che possa negare che il dissenso in Sel c’è ed
è profondo: «Da noi i capi del dissenso interno», spiega, per
rivendicare democrazia interna rispetto all’M5S, «sono uno
capogruppo alla Camera e un altro tesoriere del partito. Non vedo
vicende analoghe in altri partiti. Nessuno ha detto a nessuno: se
vuoi mantenere il tuo incarico o cambi linea politica o rimetti il
tuo mandato».
Durante la riunione, Vendola media senza tregua. Si sforza di
tenere unita «la nostra comunità», bacchetta chi alza i toni — qui ci
vuole una parentesi sulla sinistra primitiva che dopo tante
scissioni non non ha smesso dare del traditore, se va bene, a chi la
pensa diversamente — «le voci differenti non sono una minaccia ma
una ricchezza. Piuttosto che reprimere, ci piace discutere»,
«l’importante è non trasformarlo in una guerra con morti e feriti.
Occorre trovare un equilibrio, una sintesi». Ma la «sintesi»
stavolta è un’esercizio difficile fra le posizioni in campo, in un
dopo-europee che poteva essere di festa (la lista Tsipras ha superato
di un soffio lo sbarramento, tre gli eletti) e invece è l’annuncio di
una battaglia interna: chi chiede il partito unico fra Pd e Sel,
date le proporzioni (40,8 per cento contro il 4,03) è sospettato di
fare domanda di iscrizione al Pd. Chi chiede il «processo» unitario
a sinistra sconta il sospetto di voler far sciogliere Sel in una
eventuale ’cosa rossa’. Dalla prima parte Gennaro Migliore, Sergio
Boccadutri (appunto il capogruppo e il tesoriere), Ileana
Piazzoni, Claudio Fava, e una decina di deputati; dall’altra Nicola
Fratoianni, Massimiliano Smeriglio, Loredana De Petris, Paolo
Cento, Fabio Mussi.
La giornata finisce con una tregua: le conclusioni di Vendola
sono votate all’unanimità, un po’ perché ecumeniche (e infatti
i pro-Tsipras scalpitano), un po’ perché i ’dissidenti’ sono
parlamentari quindi invitati senza diritto di voto. La sintesi di
Vendola è: «Una sinistra di governo non è una sinistra nel governo».
Riecheggia la formula bertinottiana «siamo uomini in questo
mondo, non di questo mondo» che apriva uno spazio di dialogo con
Prodi (a sua volta era una citazione di Paolo Tarso). Ma del resto
questo preludio di una nuova divisione è per forza un gioco di
rimandi alle (tante) scissioni precedenti e infatti anche Migliore
lanciando il suo avvicinamento al Pd usa la formula «stare nel
gorgo» che fu quella di Pietro Ingrao ad Arco di Trento nel 1990 quando
annunciò di restare nel Pds.
Fin qui nessuno cambia posizione. Alla fine Migliore può
apprezzare le parole di Vendola e quasi annunciare vittoria: «Si
è evitata la costituente della sinistra che era promossa da alcuni
esponenti della lista Tsipras. Ipotesi archiviata per puntare
invece sul rilancio del centrosinistra, sul futuro del
centrosinistra». Dall’altra parte se di ’costituente’ non parla
nessuno, la certezza di aver avviato un percorso con la lista
Tsipras è granitica. Fra i due fronti la terra di mezzo di quelli che
«se la discussione è fra aderire al Pd o alla costituente allora io
mi iscrivo al gruppo misto», come dice Ciccio Ferrara. È una battuta,
ma in effetti alcuni deputati vedono ormai il gruppo misto come un
approdo possibile.
Vendola smina il campo anche sul decreto sugli 80 euro, provvedimento diventato simbolo della battaglia dei ’miglioristi’ che vogliono votare sì. Dice il presidente della Puglia: «Noi non abbiamo detto che gli 80 euro sono una mancia per il voto di scambio. Vedremo, se è ottimo lo votiamo, se è pessimo lo bocciamo, se è possibile migliorarlo non ci tireremo indietro, come sempre».
L’eventuale conta è rimandata all’assemblea nazionale del 14 giugno. Nel frattempo oggi a Roma si riuniscono i candidati della lista Tsipras, poi toccherà ai comitati e ai garanti e bisognerà vedere qual è la proposta per proseguire l’esperienza della lista. Se fosse già una «costituente», per la quale spinge anche Rifondazione, per Sel sarebbe un grosso guaio.
Vendola smina il campo anche sul decreto sugli 80 euro, provvedimento diventato simbolo della battaglia dei ’miglioristi’ che vogliono votare sì. Dice il presidente della Puglia: «Noi non abbiamo detto che gli 80 euro sono una mancia per il voto di scambio. Vedremo, se è ottimo lo votiamo, se è pessimo lo bocciamo, se è possibile migliorarlo non ci tireremo indietro, come sempre».
L’eventuale conta è rimandata all’assemblea nazionale del 14 giugno. Nel frattempo oggi a Roma si riuniscono i candidati della lista Tsipras, poi toccherà ai comitati e ai garanti e bisognerà vedere qual è la proposta per proseguire l’esperienza della lista. Se fosse già una «costituente», per la quale spinge anche Rifondazione, per Sel sarebbe un grosso guaio.
«Comunque una direzione dobbiamo prenderla», dice dal palco
Nicola Fratoianni. Ed è così, e il 40,8 per cento di Renzi non lascerà
margini di indecisione. Il segretario Pd si schiera nel campo del
bipartitismo. Con queste percentuali, e con una legge come
l’Italicum, il Pd sarebbe autosufficiente a governare da solo e
«correre soli» di veltroniana memoria. Archiviando il
centrosinistra, come fece Veltroni in quel 2008. O, come dicono
i dissidenti, «trasformando il Pd nel centrosinistra».
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