Può essere anche divertente sedersi su un sasso, in alta montagna, e
vedere due stambecchi che si prendono allegramente a cornate per il
controllo di un cocuzzolo. Ma questo solo se siete in un documentario
sulla natura, o in vacanza, per cui a un certo punto spegnete la tivù,
oppure raccattate lo zaino e tornate a casa. Qui, invece, la battaglia
dei due stambecchi avviene per il controllo di un territorio che sarebbe
anche nostro, intesi come italiani, e ha dei tratti peculiari assai sgradevoli.
La
polarizzazione della campagna elettorale tra i due schieramenti
principali (il Pd renziano e il movimento grillino) nasconde infatti
(parola sbagliata: non lo nasconde affatto) qualcosa di profondamente
autoritario, la certezza che il dubbio non sia utile. Insomma: i due stambecchi non si limitano a offrire il loro affannato spettacolino, ma pretendono adesione incondizionata, tifo da ultras e arruolamento volontario.
L’esercito
grillino ha certezze granitiche e incrollabili. Strano davvero per un
movimento post-ideologico che dice un po’ tutto e il contrario di tutto,
che propone (vagamente, va detto) un totale ridisegno della società che
in condizioni storiche normali richiederebbe anni, idee, uomini di
immenso spessore e altre cosucce che evidentemente mancano.
Eppure. Eppure chi non ci sta, chi non ci crede è nemico,
con il corollario di insulti e contumelie che conosciamo (è la
superficie, certo, ma viene voglia di fermarsi lì). Un impianto
autoritario, insomma, forte del vecchio e frusto concetto del “chi non è
con noi è contro di noi”.
Dalla parte dell’altro stambecco, la cosa non è molto diversa. L’affermazione renziana (più volte ripetuta) che chi non sta con questo governo non sta con l’Italia
è un sillogismo molto caro ai regimi autoritari. L’opposizione (chi non
crede alle ricette di chi governa) non è considerata parte di una
dialettica politica, ma viene relegata tout court a “nemica della
patria”. O stai con Matteo o sei contro l’Italia, è il succo (al netto
delle parole d’ordine da seconda media, tipo gufi e rosiconi, che valgono come gli zombie dell’altra parte, speculari anche in questo, gli stambecchi), ed è un succo acido e indigeribile.
Per
esempio uno potrebbe pensare che flessibilizzare ancor più il lavoro
non faccia bene al paese, posizione legittima. O che governare insieme
ad Alfano e Giovanardi non sia un toccasana. Invece no: o ci stai o sei
nemico. O ci credi o tifi disastro. Si aggiunge alla
competizione tra i due stambecchi, e ne è un portato ovvio, il richiamo
alla “vittoria” come unica cosa che conta. Vinciamo noi, no, vinciamo
noi. Insomma, lotta maschia e scontro di ego dove il dubbio rompe solo
le balle, la complessità è considerata una seccatura e la logica binaria
(dentro/fuori, vincere/perdere) è l’unica che conta.
Bene.
Piccolo appello personale. Chi si è stancato di assistere alla lotta a
cornate può guardarsi intorno: magari il cocuzzolo offre piccole,
minoritarie, addirittura perdenti ma più dignitose forme di vita. Forse
non egualmente potenti, più aduse a frequentare il dubbio, più
“sostenibili” e che non chiedono arruolamenti. Ecco. Guardarsi in giro,
l’Europa e l’Italia sono abbastanza grandi, ci sono anche altre idee,
altre visioni del mondo, altri codici di comportamento che non
pretendono adesione fideistica, adorazione del capo o sanguinosi insulti
a chi non ci sta o non ci crede. La biodiversità è anche questo. Meglio
sostenerla, prima che restino solo stambecchi rabbiosi.
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