Chi normalmente visita il nostro sito sa che difficilmente pubblichiamo commenti a caldo. Di solito preferiamo aspettare e analizzare le cose in modo scientifico. Se non si fa così si rischia di andare “a sensazione”, di rappresentarsi in testa tutto un mondo a misura del pezzo di realtà che si conosce… Questa volta però facciamo un’eccezione e abbiamo voglia di buttare giù anche noi qualcosa rispetto all’esito delle elezioni. Perché non ci convincono molte cose che abbiamo letto. Perché sentiamo che forse il pezzo di realtà che conosciamo da vicino ci può permettere di capire cosa è successo domenica…
A questo proposito, iniziamo con l’ammettere una cosa. A differenza di chi afferma che aveva già previsto tutto, noi non abbiamo problemi a dire che non avevamo alcuna certezza su quale sarebbe stato l’esito delle votazioni. Anzi: per noi il risultato è stato francamente sorprendente. Ma non per questo ci sentiamo stupidi: anche la stessa borghesia, che qualche strumento in più ce l’ha, sembrava abbastanza incerta. E se oggi è tanto tronfia è anche perché un exploit del genere non se l’aspettava.
Per noi svegliarci e trovarci difronte al trionfo del PD è stato veramente duro e ha reso questo lunedì di gran lunga peggiore degli altri. C’è da rimanere sconcertati nel vedere più del 40% dei votanti dare la preferenza al partito che ha storicamente iniziato, e in questi mesi sta conducendo, uno degli attacchi più violenti al mondo del lavoro che il proletariato italiano possa ricordare.
Chiariamoci: noi non abbiamo mai avuto particolare simpatia per le competizioni elettorali, che da un bel po’ di decenni hanno smesso di servire ai proletari per l’affermazione delle loro istanze, e nemmeno ci saremmo rallegrati per un’affermazione del Movimento 5 Stelle, partito che più di ogni altro porta avanti la bandiera dell’interclassismo, dell’abolizione dei sindacati etc. Ma di sicuro vedere una buona fetta della popolazione che dà il via libera a chi li ha immiseriti, precarizzati, spogliati di diritti, vedere i maggiori rappresentanti della borghesia riscuotere consenso tra molti dei “nostri”, è un cazzotto nello stomaco oltre che un punto politico da non sottovalutare.
Neanche il dato sull’affluenza, di cui si è tanto parlato nei giorni precedenti, ci solleva. Alle Europee – elezioni storicamente meno seguite, nelle quali non si attivano con tutta la loro forza le reti clientelari che ancora tengono su questo paese in particolare nell’Italia Meridionale e Insulare (non a caso qui si registra rispettivamente il 51% e il 42% di affluenza), e dopo sei anni di crisi economica che hanno segnato anche la crisi della politica e di molte strutture di mediazione sociale – sono andati a votare comunque il 58% di italiani: un dato fra i più alti in Europa. Un dato che ha il suo picco non solo nelle regioni o nei comuni chiamati a esprimersi per le regionali o per le amministrative, ma che si riscontra nei territori più industrializzati, più decisivi dal punto di vista della produzione della ricchezza nel paese (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia, oltre all’“atteso” Centro Italia).
Affluenza dunque che, seppur in calo, resta comunque alta soprattutto se si considera che per la prima volta da anni si è votato in una sola giornata. Ciò testimonia quanto la popolazione tutta – e anche i proletari, che della popolazione sono una maggioranza – ancora creda in qualche misura nella democrazia borghese. Ci può far schifo, ma è bene che chi come noi vuole cambiare lo stato di cose presenti lo tenga bene a mente.
Anche perché i dati sull’astensione non sono così facilmente interpretabili. Soprattutto in questo caso. Che in generale masse di esclusi non vadano a votare, è noto, soprattutto nelle “democrazie” occidentali; che la lotta di classe che fanno i padroni attacchi le politiche redistributive, privi i proletari di strumenti per “farsi sentire” e renda insomma sempre di più la politica appannaggio di un élite, è un trend risaputo, che con la crisi si è rinforzato. Ma questa è appunto una tendenza, che in Italia non si è ancora pienamente affermata e potrebbe non affermarsi tanto a breve.
Per quanto possiamo parlare di delegittimazione delle istituzioni, di sfiducia diffusa, ma la realtà ogni volta ci consegna – anche in momenti di rottura forti, com’è stata la mobilitazione sulla questione ambientale in Campania dello scorso autunno – un’attesa, se non un ossequio, una dipendenza, se non un vero e proprio legame di complicità, fra popolazione e rappresentanti politici e istituzionali in senso largo (mettiamoci dentro anche la Chiesa, apparato in grado di spostare milioni di voti, e che è entrato in gioco anche in queste elezioni).
Insomma, sicuramente dentro l’astensione ci sono molti precarizzati e disillusi, e dunque ci dobbiamo lavorare su, ma quel 42% di astensione non sono voti che vanno, nemmeno indirettamente, a noi! Come ricordava ieri a Radio 1 Corrado Passera, non proprio l’ultimo arrivato, è la seconda tornata elettorale in cui gran parte del blocco sociale del centro-destra non va a votare. Tradotto: tanti commercianti, autonomi, sottoproletari dipendenti da reti clientelari e familistiche non si sono recati alle urne. Domani, con un progetto più convincente, sia ideologicamente che materialmente, potrebbero farlo. Insomma, davvero non ci si può consolare con l’astensione: lì dentro non sono tutti “nostri”, né socialmente né politicamente.
Come capire allora quello che è successo? Chi ha votato, oltre ai soliti noti, il PD? E che scenario ci aprono queste elezioni?
Facciamo un passo indietro. Da più parti si è constatato che è la seconda volta nel giro di un anno che i sondaggisti non ci azzeccano sulle previsioni. Così alcuni giornali sono andati a chiedere ai cervelloni delle statistiche perché anche questo voto fosse stato così imprevedibile. Gli esperti hanno risposto: perché c’era, fino alle ultime rilevazioni, una quota enorme di indecisi. Deve essere successo qualcosa negli ultimi giorni, un evento, che ha polarizzato tutti gli indecisi da un lato, mentre “in tempi normali” si sarebbero più o meno distribuiti ugualmente.
Qual è stato questo evento? Torniamo a noi, e al nostro lunedì passato a decifrare quello che era successo. Il caso ha voluto che Lunedì sia stato il 26 del mese, e in molte aziende sono arrivate le buste paga. I discorsi sulle elezioni si sono così intrecciati con l’altro evento del giorno, ovvero la comparsa di una nuova voce nel cedolino: “Credito rid. Cuneo fis. 2014”. Abbiamo trovato la voce, scorso con il dito da sinistra a destra, e siamo arrivati alla colonna dove abbiamo letto 80,98. Sì, sono proprio loro, i famigerati 80 euro promessi da Renzi!
Raramente di lunedì si vedono facce tanto soddisfatte, soprattutto negli ultimi anni, e, anche se può sembrare banale, qualche spiegazione sull’esito del voto ha cominciato a farsi largo nella testa. Sia chiaro: non pensiamo che di colpo tutti i lavoratori siano diventati ferventi sostenitori del Presidente del Consiglio e anzi molti continuano a manifestare non poche perplessità. Ma ieri si sono sentiti tutti meno “coglioni” (©Berlusconi 2006) ad aver dato il proprio voto al PD.
Il pensiero è così corso alla scorsa settimana, quando chi conosceva qualcuno tra gli statali e tra i lavoratori della scuola raccontava della reale esistenza in busta paga degli 80€ che fino ad allora sembravano pura propaganda. Fra giovedì e venerdì scorso, infatti, molti lavoratori del pubblico – niente affatto “garantiti”, come vorrebbe qualcuno, ma costretti spesso a campare con 1000/1200€ al mese e anzi già indicati come prossime vittime delle prime riforme del post-elezioni – avevano toccato con mano i “vantaggi” di avere Renzi al Governo. Siamo convinti che proprio in quei giorni molti altri lavoratori che erano perplessi ed indecisi hanno fatto la loro scelta, spesso tenendosela per sé e non esternandola.
E in effetti che gli 80€ siano stati la chiave del successo del PD, oggi molti lo riconoscono. Ma alcuni, persino fra i compagni, assumono un atteggiamento superiore e sprezzante nei confronti del proletariato italiano, come se fossero accattoni pronti a vendersi per quattro spiccioli. Noi, pur sapendo che questi soldi sono il mezzo attraverso cui tenere buona la classe per poter spianare la strada al Jobs Act e non solo, sappiamo pure che soltanto chi non fatica a far quadrare i conti a fine mese, solo chi non ha rate arretrate o è ormai troppo arrabbiato per ragionare con altri, può assumere un atteggiamento del genere.
Ma non si tratta solo di una questione economica. Gli 80€ sono diventati l’emblema di qualcosa di più grosso. Per la prima volta – questo il discorso che si è forse fatto largo in migliaia di teste – un Governo che fa qualcosa. Un Governo che concede un aumento in busta paga che mai, nemmeno nei rinnovi contrattuali più favorevoli, è stato percepito. Un Governo che mantiene le promesse, e che potrebbe – perché no? con la disperazione che c’è ci si aggrappa a tutto… – anche mantenere la promessa di assumere nella Scuola i migliaia di precari a spasso, rilanciare l’occupazione. In fondo, che hanno fatto i Governi precedenti, peraltro in soli tre mesi?
Quando si dice che Grillo ha perso le elezioni perché ha spaventato l’elettorato si insiste su una dimensione psicologica che ci pare oscura, ma si dice forse qualcosa di vero: con Grillo, avranno pensato molti, è un salto nel vuoto – “non mi arriveranno più gli 80 euro, restiamo bloccati un altro anno perché si va alle elezioni, diamo piuttosto tempo a Renzi che si sta dando da fare”…
Noi non avevamo affatto previsto questo risultato, potevamo pensare che la crisi bastasse a sgombrare il campo, però avevamo anche avvertito sul tipo di operazione nuova che era stata messa in campo con Renzi, sul fatto che la borghesia aveva giocato una carta disperata ma, almeno nel breve, efficace. Andiamo dicendo da mesi (vedi appello per il corteo del 12 aprile e il bilancio di quella giornata) che “non esiste ancora una sensibilità comune contro il Governo Renzi”, che l’accelerazione che c’è stata, che il suo appeal comunicativo, il suo essere punto di congiunzione di interessi forti (dalla grande borghesia ai sindacati, dal mondo delle Coop a quello di CL), ci poneva una sfida ancora più ardua di quella che ci ponevano i “grigi” tecnici alla Monti…
Tutto male dunque? Niente affatto! Gli stessi analisti borghesi constatano come questi tempi di crisi abbiano “sciolto” molti elettori da storici patti di fedeltà. C’è cioè un’estrema mobilità del voto che fa sì che si voti secondo la tonalità emotiva del momento. Non si vota cioè Grillo o il PD perché ci si riconosce totalmente nel progetto o si milita in quella struttura, ma perché quell’offerta politica intercetta il sentimento prevalente al momento. Sentimento che però può, anche velocemente, ribaltarsi quando le promesse agitate non vengono mantenute, o quando la situazione peggiora.
Così, la voglia di governabilità che si addossa alla popolazione italiana non è una cambiale in bianco al PD – e questo lo sa lo stesso Renzi che non a caso si è tenuto sobrio e ha rinviato le elezioni al 2018. Anche perché, questo sì lo possiamo prevedere, le mosse del Governo non saranno indolori: le coperture per gli 80€ vanno ancora trovate, le operazioni che sta provando sono rischiose e i nodi delle politiche di “austerità” (tagli e fiscal compact) o per meglio dire padronali (riforma del mercato del lavoro), verranno più prima che poi al pettine.
Inoltre, c’è un altro dato non trascurabile: le lotte in questo paese continueranno. Disoccupati, cassaintegrati, senza casa, non spariranno dall’oggi al domani. Ancora, le centinaia di vertenze lavorative che attraversano i territori non saranno cancellate dalla bacchetta magica delle elezioni europee. Questo per dire che non abbiamo affatto perso la nostra “base sociale”.
Se questa è la situazione, che fare? Di certo è che l’esecutivo viaggerà ancor più spedito sul versante delle riforme proprio in virtù di questo risultato elettorale. Renzi l’ha già detto: bisogna completare al più presto il Jobs Act, per arrivare all’11 luglio, vertice internazionale sulla disoccupazione, con il trofeo della flessibilità del proletariato italiano. La rabbia cresce se poi si pensa a quanto sarà difficile contrastare l’azione del governo ora che sembra pienamente legittimato.
Ma lunedì è ormai passato, e c’è da stare calmi. Dobbiamo ragionare, isolare i motivi del consenso all’azione dell’esecutivo e capire come contrastarli. A nostro avviso questi motivi sono da ricercare nella mancata coscienza dell’attacco che il padronato sta portando avanti. Per questo il nostro primo compito è rendere i proletari consapevoli di ciò che sta accadendo. Non lo dobbiamo fare solo con le parole, ma dimostrandolo nelle cose. Lo dobbiamo fare capillarmente, senza pensare che basti chiamare una “data” per vedere migliaia di persone in piazza. Facendo vivere nelle lotte – che dobbiamo continuare a sostenere e diffondere – l’opposizione alle politiche del Governo nel loro complesso, sforzandoci di offrire una concretezza per certi versi analoga a quella su cui Renzi ha costruito il suo risultato.
In questo senso la nostra azione rispetto a ieri non cambia di una virgola: cercheremo sempre di rendere protagonisti i soggetti reali, che sono quelli su cui graverà la rottamazione vera – e non quella millantata – del Governo; continueremo ad opporci a Jobs Act, Piano Casa e Riforme Istituzionali. Ciò che però cambia è che sappiamo, oggi più di ieri, che come “movimento” dobbiamo smettere di andare in ordine sparso contro i soggetti più vari e indicare chiaramente il nemico comune, costruendo così una mobilitazione di massa contro questo Governo. Solo aprendo con umiltà e tenacia questo spazio collettivo, e facendoci entrare attuali scontenti e delusi di domani, possiamo riuscire a essere davvero maggioranza. La palla ora passa a noi.
Chiariamoci: noi non abbiamo mai avuto particolare simpatia per le competizioni elettorali, che da un bel po’ di decenni hanno smesso di servire ai proletari per l’affermazione delle loro istanze, e nemmeno ci saremmo rallegrati per un’affermazione del Movimento 5 Stelle, partito che più di ogni altro porta avanti la bandiera dell’interclassismo, dell’abolizione dei sindacati etc. Ma di sicuro vedere una buona fetta della popolazione che dà il via libera a chi li ha immiseriti, precarizzati, spogliati di diritti, vedere i maggiori rappresentanti della borghesia riscuotere consenso tra molti dei “nostri”, è un cazzotto nello stomaco oltre che un punto politico da non sottovalutare.
Neanche il dato sull’affluenza, di cui si è tanto parlato nei giorni precedenti, ci solleva. Alle Europee – elezioni storicamente meno seguite, nelle quali non si attivano con tutta la loro forza le reti clientelari che ancora tengono su questo paese in particolare nell’Italia Meridionale e Insulare (non a caso qui si registra rispettivamente il 51% e il 42% di affluenza), e dopo sei anni di crisi economica che hanno segnato anche la crisi della politica e di molte strutture di mediazione sociale – sono andati a votare comunque il 58% di italiani: un dato fra i più alti in Europa. Un dato che ha il suo picco non solo nelle regioni o nei comuni chiamati a esprimersi per le regionali o per le amministrative, ma che si riscontra nei territori più industrializzati, più decisivi dal punto di vista della produzione della ricchezza nel paese (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia, oltre all’“atteso” Centro Italia).
Affluenza dunque che, seppur in calo, resta comunque alta soprattutto se si considera che per la prima volta da anni si è votato in una sola giornata. Ciò testimonia quanto la popolazione tutta – e anche i proletari, che della popolazione sono una maggioranza – ancora creda in qualche misura nella democrazia borghese. Ci può far schifo, ma è bene che chi come noi vuole cambiare lo stato di cose presenti lo tenga bene a mente.
Anche perché i dati sull’astensione non sono così facilmente interpretabili. Soprattutto in questo caso. Che in generale masse di esclusi non vadano a votare, è noto, soprattutto nelle “democrazie” occidentali; che la lotta di classe che fanno i padroni attacchi le politiche redistributive, privi i proletari di strumenti per “farsi sentire” e renda insomma sempre di più la politica appannaggio di un élite, è un trend risaputo, che con la crisi si è rinforzato. Ma questa è appunto una tendenza, che in Italia non si è ancora pienamente affermata e potrebbe non affermarsi tanto a breve.
Per quanto possiamo parlare di delegittimazione delle istituzioni, di sfiducia diffusa, ma la realtà ogni volta ci consegna – anche in momenti di rottura forti, com’è stata la mobilitazione sulla questione ambientale in Campania dello scorso autunno – un’attesa, se non un ossequio, una dipendenza, se non un vero e proprio legame di complicità, fra popolazione e rappresentanti politici e istituzionali in senso largo (mettiamoci dentro anche la Chiesa, apparato in grado di spostare milioni di voti, e che è entrato in gioco anche in queste elezioni).
Insomma, sicuramente dentro l’astensione ci sono molti precarizzati e disillusi, e dunque ci dobbiamo lavorare su, ma quel 42% di astensione non sono voti che vanno, nemmeno indirettamente, a noi! Come ricordava ieri a Radio 1 Corrado Passera, non proprio l’ultimo arrivato, è la seconda tornata elettorale in cui gran parte del blocco sociale del centro-destra non va a votare. Tradotto: tanti commercianti, autonomi, sottoproletari dipendenti da reti clientelari e familistiche non si sono recati alle urne. Domani, con un progetto più convincente, sia ideologicamente che materialmente, potrebbero farlo. Insomma, davvero non ci si può consolare con l’astensione: lì dentro non sono tutti “nostri”, né socialmente né politicamente.
Come capire allora quello che è successo? Chi ha votato, oltre ai soliti noti, il PD? E che scenario ci aprono queste elezioni?
Facciamo un passo indietro. Da più parti si è constatato che è la seconda volta nel giro di un anno che i sondaggisti non ci azzeccano sulle previsioni. Così alcuni giornali sono andati a chiedere ai cervelloni delle statistiche perché anche questo voto fosse stato così imprevedibile. Gli esperti hanno risposto: perché c’era, fino alle ultime rilevazioni, una quota enorme di indecisi. Deve essere successo qualcosa negli ultimi giorni, un evento, che ha polarizzato tutti gli indecisi da un lato, mentre “in tempi normali” si sarebbero più o meno distribuiti ugualmente.
Qual è stato questo evento? Torniamo a noi, e al nostro lunedì passato a decifrare quello che era successo. Il caso ha voluto che Lunedì sia stato il 26 del mese, e in molte aziende sono arrivate le buste paga. I discorsi sulle elezioni si sono così intrecciati con l’altro evento del giorno, ovvero la comparsa di una nuova voce nel cedolino: “Credito rid. Cuneo fis. 2014”. Abbiamo trovato la voce, scorso con il dito da sinistra a destra, e siamo arrivati alla colonna dove abbiamo letto 80,98. Sì, sono proprio loro, i famigerati 80 euro promessi da Renzi!
Raramente di lunedì si vedono facce tanto soddisfatte, soprattutto negli ultimi anni, e, anche se può sembrare banale, qualche spiegazione sull’esito del voto ha cominciato a farsi largo nella testa. Sia chiaro: non pensiamo che di colpo tutti i lavoratori siano diventati ferventi sostenitori del Presidente del Consiglio e anzi molti continuano a manifestare non poche perplessità. Ma ieri si sono sentiti tutti meno “coglioni” (©Berlusconi 2006) ad aver dato il proprio voto al PD.
Il pensiero è così corso alla scorsa settimana, quando chi conosceva qualcuno tra gli statali e tra i lavoratori della scuola raccontava della reale esistenza in busta paga degli 80€ che fino ad allora sembravano pura propaganda. Fra giovedì e venerdì scorso, infatti, molti lavoratori del pubblico – niente affatto “garantiti”, come vorrebbe qualcuno, ma costretti spesso a campare con 1000/1200€ al mese e anzi già indicati come prossime vittime delle prime riforme del post-elezioni – avevano toccato con mano i “vantaggi” di avere Renzi al Governo. Siamo convinti che proprio in quei giorni molti altri lavoratori che erano perplessi ed indecisi hanno fatto la loro scelta, spesso tenendosela per sé e non esternandola.
E in effetti che gli 80€ siano stati la chiave del successo del PD, oggi molti lo riconoscono. Ma alcuni, persino fra i compagni, assumono un atteggiamento superiore e sprezzante nei confronti del proletariato italiano, come se fossero accattoni pronti a vendersi per quattro spiccioli. Noi, pur sapendo che questi soldi sono il mezzo attraverso cui tenere buona la classe per poter spianare la strada al Jobs Act e non solo, sappiamo pure che soltanto chi non fatica a far quadrare i conti a fine mese, solo chi non ha rate arretrate o è ormai troppo arrabbiato per ragionare con altri, può assumere un atteggiamento del genere.
Ma non si tratta solo di una questione economica. Gli 80€ sono diventati l’emblema di qualcosa di più grosso. Per la prima volta – questo il discorso che si è forse fatto largo in migliaia di teste – un Governo che fa qualcosa. Un Governo che concede un aumento in busta paga che mai, nemmeno nei rinnovi contrattuali più favorevoli, è stato percepito. Un Governo che mantiene le promesse, e che potrebbe – perché no? con la disperazione che c’è ci si aggrappa a tutto… – anche mantenere la promessa di assumere nella Scuola i migliaia di precari a spasso, rilanciare l’occupazione. In fondo, che hanno fatto i Governi precedenti, peraltro in soli tre mesi?
Quando si dice che Grillo ha perso le elezioni perché ha spaventato l’elettorato si insiste su una dimensione psicologica che ci pare oscura, ma si dice forse qualcosa di vero: con Grillo, avranno pensato molti, è un salto nel vuoto – “non mi arriveranno più gli 80 euro, restiamo bloccati un altro anno perché si va alle elezioni, diamo piuttosto tempo a Renzi che si sta dando da fare”…
Noi non avevamo affatto previsto questo risultato, potevamo pensare che la crisi bastasse a sgombrare il campo, però avevamo anche avvertito sul tipo di operazione nuova che era stata messa in campo con Renzi, sul fatto che la borghesia aveva giocato una carta disperata ma, almeno nel breve, efficace. Andiamo dicendo da mesi (vedi appello per il corteo del 12 aprile e il bilancio di quella giornata) che “non esiste ancora una sensibilità comune contro il Governo Renzi”, che l’accelerazione che c’è stata, che il suo appeal comunicativo, il suo essere punto di congiunzione di interessi forti (dalla grande borghesia ai sindacati, dal mondo delle Coop a quello di CL), ci poneva una sfida ancora più ardua di quella che ci ponevano i “grigi” tecnici alla Monti…
Tutto male dunque? Niente affatto! Gli stessi analisti borghesi constatano come questi tempi di crisi abbiano “sciolto” molti elettori da storici patti di fedeltà. C’è cioè un’estrema mobilità del voto che fa sì che si voti secondo la tonalità emotiva del momento. Non si vota cioè Grillo o il PD perché ci si riconosce totalmente nel progetto o si milita in quella struttura, ma perché quell’offerta politica intercetta il sentimento prevalente al momento. Sentimento che però può, anche velocemente, ribaltarsi quando le promesse agitate non vengono mantenute, o quando la situazione peggiora.
Così, la voglia di governabilità che si addossa alla popolazione italiana non è una cambiale in bianco al PD – e questo lo sa lo stesso Renzi che non a caso si è tenuto sobrio e ha rinviato le elezioni al 2018. Anche perché, questo sì lo possiamo prevedere, le mosse del Governo non saranno indolori: le coperture per gli 80€ vanno ancora trovate, le operazioni che sta provando sono rischiose e i nodi delle politiche di “austerità” (tagli e fiscal compact) o per meglio dire padronali (riforma del mercato del lavoro), verranno più prima che poi al pettine.
Inoltre, c’è un altro dato non trascurabile: le lotte in questo paese continueranno. Disoccupati, cassaintegrati, senza casa, non spariranno dall’oggi al domani. Ancora, le centinaia di vertenze lavorative che attraversano i territori non saranno cancellate dalla bacchetta magica delle elezioni europee. Questo per dire che non abbiamo affatto perso la nostra “base sociale”.
Se questa è la situazione, che fare? Di certo è che l’esecutivo viaggerà ancor più spedito sul versante delle riforme proprio in virtù di questo risultato elettorale. Renzi l’ha già detto: bisogna completare al più presto il Jobs Act, per arrivare all’11 luglio, vertice internazionale sulla disoccupazione, con il trofeo della flessibilità del proletariato italiano. La rabbia cresce se poi si pensa a quanto sarà difficile contrastare l’azione del governo ora che sembra pienamente legittimato.
Ma lunedì è ormai passato, e c’è da stare calmi. Dobbiamo ragionare, isolare i motivi del consenso all’azione dell’esecutivo e capire come contrastarli. A nostro avviso questi motivi sono da ricercare nella mancata coscienza dell’attacco che il padronato sta portando avanti. Per questo il nostro primo compito è rendere i proletari consapevoli di ciò che sta accadendo. Non lo dobbiamo fare solo con le parole, ma dimostrandolo nelle cose. Lo dobbiamo fare capillarmente, senza pensare che basti chiamare una “data” per vedere migliaia di persone in piazza. Facendo vivere nelle lotte – che dobbiamo continuare a sostenere e diffondere – l’opposizione alle politiche del Governo nel loro complesso, sforzandoci di offrire una concretezza per certi versi analoga a quella su cui Renzi ha costruito il suo risultato.
In questo senso la nostra azione rispetto a ieri non cambia di una virgola: cercheremo sempre di rendere protagonisti i soggetti reali, che sono quelli su cui graverà la rottamazione vera – e non quella millantata – del Governo; continueremo ad opporci a Jobs Act, Piano Casa e Riforme Istituzionali. Ciò che però cambia è che sappiamo, oggi più di ieri, che come “movimento” dobbiamo smettere di andare in ordine sparso contro i soggetti più vari e indicare chiaramente il nemico comune, costruendo così una mobilitazione di massa contro questo Governo. Solo aprendo con umiltà e tenacia questo spazio collettivo, e facendoci entrare attuali scontenti e delusi di domani, possiamo riuscire a essere davvero maggioranza. La palla ora passa a noi.
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