Ho un po’ seguito, per amicizia e vicinanza politica, il lavoro che Paola Bacchiddu ha fatto da metà febbraio a oggi come capo della comunicazione della lista Tsipras.
E ho quindi vissuto giorno per giorno, nelle sue telefonate e nei suoi messaggi, le difficoltà enormi all’interno delle quali si è mossa per tentare di raggiungere i suoi obiettivi: primo, far sapere che esisteva questa lista; secondo, comunicare almeno i suoi due o tre punti programmatici fondamentali; terzo, cercare di far capire che le intenzioni con cui questa lista è nata non sono quelle di rieditare per l’ennesima volta un’ammucchiata della sinistra radicale, ma si sta tentando di fare una cosa nuova e diversa anche come approccio mentale e, sì, anche un po’ generazionale.
Paola e il suo piccolo team, sostanzialmente, finora non ce l’hanno fatta a raggiungere nessuno dei tre obiettivi, pur lottando ogni giorno come leoni.
Per tanti motivi: un po’ che in questo provinciale Paese non si è ancora capito che il voto per l’Europa conta per le nostre vite almeno quanto quello nazionale, quindi la campagna elettorale si è ridotta a un derby tra Grillo e Renzi, con l’aggiunta in questi giorni di Berlusconi; un po’ perché i media sono sostanzialmente omologati su Renzi, a parte quelli berlusconiani e pochissimi altri; un po’ perché la lista Tsipras è cosa nuova e ogni forza politica ha bisogno di tempo per affermarsi se non ha un patrimonio economico al quale attingere (e loro non fanno fatica pure ad affittarsi uno streaming); un po’ perché all’interno della stessa lista non mancano le veteroresistenze, i tic di sempre, quei cascami subculturali secondo i quali la comunicazione è il diavolo, tipo “noi siamo nel giusto e abbiamo ragione, non serve che siano gli elettori a darcela”.
Così ho assistito allo sbattere quotidiano del cranio contro un muro, da parte di Paola e dei suoi: e i ricorsi all’Agcom, e le richieste di rettifica alle tivù perché nei sondaggi mettevano il dato di Sel anziché quello della lista Tsipras, e le lettere ai conduttori dei talk show perché nei confronti in tivù ci fosse anche uno dei loro, e le mail ai direttori dei giornali perché almeno nei pastoni fosse data notizia dell’esistenza della lista – senza dire delle mille idee creative per far parlare di sé a basso budget, dai video ironici ai flash mob in Galleria a Milano
Niente: non ne cavavano manco un colonnino, una citazione, una fotonotizia. Neppure quando Tsipras è venuto in Italia. Neppure quando sono riusciti a fare il piccolo miracolo (unica lista tra tutte quelle che si presentano) di mettere insieme le 300 mila firme necessarie per presentarsi, grazie allo sbattimento gratuito di centinaia di volontari.
Venerdì scorso, esasperata, Paola mi fa: basta, in questo Paese e con questo sistema mediatico, l’unico modo per finire sui giornali è mostrare le tette o il culo. Di tette sono scarsa, domani mostro il culo.
Pensavo che scherzasse.
Invece l’ha fatto.
Un’innocentissima foto delle vacanze, s’intende, ma l’ha fatto.
Ha fatto bene? Ha fatto male?
Non so, decidete voi. Purché sia chiaro il contesto.
Purché sia chiaro cioè che la sua è stata una consapevole, deliberata e incazzata decisione: determinata dall’esasperazione di non vedere alcun frutto del lavoro faticosissimo che stava facendo, andando a sbattere ogni giorno contro il muro di silenzio dei media.
E purché si veda quel ch’è successo dopo, e cioè che con una foto delle vacanze – una banalissima foto delle vacanze – Paola è riuscita a ottenere molto più spazio di quanto aveva conquistato pubblicando centinaia di notizie, analisi, video, infografiche e interviste sull’austerità, sul fiscal compact, sull’aumento della forbice sociale, sul programma della lista Tsipras e sulla e idee di Barbara Spinelli.
Nei media italiani, ancora nel 2014 e dopo tutto quello che si è detto e fatto per andare un po’ avanti, continua a essere infinitamente più potente un culo.
Forse, viene da dire, perché sono i media a essere fatti col medesimo.
Alessandro Gilioli - L'Espresso
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