Non c'è una sola ragione concreta per dare fiducia al
governo in carica, alle sue politiche per l'economia (se ve ne fossero),
alle prescrizioni dell'Unione Europea. E non passa giorno che i dati
macroeconomici non arrivino a confermare questa realtà, impossibile da
mascherare.
Ricordate il ritornello "adesso facciamo questa cosa e l'economia
riparte"? Bene, Anche la produzione industriale continua ad andare
invece a carte quarantotto.
A settembre 2014, spiega stamattina l'Istat,
l'indice è diminuito in termini tendenziali del 2,9% (ovvero
proiettando il dato mensile su scala annuale). Nella media dei primi
nove mesi dell'anno la produzione è invece scesa "solo" dello 0,5%
rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
Cosa significa? Che la caduta va accelerando, mentre il governo (e
Confindustria che plaude alle sue scelte) continua a promettere
"l'inversione di tendenza". Il problema è che l'economia reale, a volte,
si nutre anche di "aspettative". Ma le bufale, no. Quelle non hanno mai
messo in moto nulla. E senza investimenti, le aspettative sono bufale.
Siccome non investono le imprese, le banche non prestano e lo Stato "non
può" investire (lo vietano le regole europee), ecco che la frittata è
fatta e nemmeno Renzi può infiorettarci sopra.
A settembre, dettaglia ancora l'Istat, l'indice "presenta variazioni
congiunturali negative in tutti i comparti; diminuiscono i beni di
consumo (-3,2%), i beni strumentali (-2,4%), l'energia (-1,5%) e, in
misura più lieve, i beni intermedi (-0,8%)". Ce ne fosse uno che andasse
bene si potrebbe forse ragionare di possibili effetti di sostituzione,
ovvero obsolescenza di alcuni settori e progresso di altri. No. Qui va
male tutto, segno che il declino o la fuga delle imprese va accelerando.
Scendendo ancor più nel dettaglio, l'Istat rende noto che "i comparti
che registrano le maggiori diminuzioni tendenziali sono quelli della
fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso
domestico non elettriche (-12,8%), della produzione di prodotti
farmaceutici di base e preparati farmaceutici (-10,1%) e dell'industria
del legno, della carta e stampa (-7,0%)".Numeri pesanti, che non
lasciano spazio a interpretazioni.
Ma
c'è qualcosa che va benino? Sì, ma non fa primavera. "Gli unici
settori che registrano una crescita tendenziale sono quelli della
fabbricazione di computer, prodotti di elettronica ed ottica, apparecchi
elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (+2,6%) (basti
ricordare però che la produzione di computer, per esempio, è in Italia
un'industria ridotta al lumicino, dopo che De Benedetti aveva preso in
gestione l'Olivetti, a quel tempo terzo produttore mondiale). Piccola
variazioni positive anche per la fabbricazione di prodotti chimici
(+2,1%) e delle "altre industrie manifatturiere, riparazione e
installazione di macchine ed apparecchiature" (+1,1%).
Se si vanno poi a controllare le serie storiche degli ultimi anni, si
vede molto facilmente la dimensione del tracollo industriale in queto
periodo. Prendendo come base=100 il 2010, ovvero a tre anni dall'inizio della crisi globale,
l'indice della produzione industriale segna a questo punto solo 89,8
punti. Ovvero oltre il 10% di caduta in soli quattro anni rispetto a un
anno già molto negativo.
L'insieme non tiene, le chiacchiere stanno a zero.
Il rapporto completo dell'Istat:
Le serie storiche: Serieipi.xls88 KB
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