Le
previsioni economiche sono assai meno attendibili di quelle
meteorologiche. Ma l'economia, come la meteorologia, presenta tante di
quelle sfumature da consentire un profluvio di dati. Una caterva di
numeri che spesso affoga ogni possibilità di ragionamento. Eppure le
cose non sono così complesse come sembra. Ma cosa c'è di meglio del
dogma della «complessità»
per legittimare l'attuale casta al potere? Una casta ben più potente e
pericolosa di quella stracciona e infingarda che gli fornisce il
supporto parlamentare a «prescindere».
Naturalmente,
anche le semplificazioni (specie quelle giornalistiche) non aiutano a
comprendere le cose. Si è così stritolati tra la casta dei «sapienti» - in realtà tutta rigorosamente selezionata dai «dominanti»
- e il discorso da bar sulle auto blu e l'evasione fiscale a Cortina
d'Ampezzo. Non che manchino economisti di valore fuori dal coro, ma
l'accesso ai media è garantito solo ai sacerdoti del libero mercato, ai
cantori della bontà dell'euro e dell'Europa, meglio se bocconiani e
introdotti nelle cupole della finanza.
Oggi
comunque il conformismo è d'obbligo: la fine dell'euro sarebbe la fine
del mondo (altro che Maya!), il debito degli Stati è colpa degli
sfaticati popoli-cicala, l'Italia comunque non è la Grecia, poteva
diventarlo fino a novembre ma ora non più, Mario Monti è il salvatore
della patria, nel 2013 ci sarà la ripresa, e così via farneticando.
Per capire la disonestà intellettuale di costoro basta fare un esempio, quello dei commenti ai declassamenti delle agenzie di rating. Certo, queste ultime sono tutto fuorché enti super partes, ma lo abbiamo scoperto solo ora? Bene, fino a novembre, ogni downgrade che riguardava l'Italia era oro colato che parlava dell'incapacità del Buffone di Arcore,
il quale ovviamente ci metteva del suo, ma soprattutto dimostrava la
necessità di un Papa straniero, cioè completamente autonomo da ogni
vincolo democratico. Da novembre tutto è cambiato. Ogni declassamento,
pur se ben argomentato, viene ora criticato come ingiusto: come si
permettono costoro, adesso che c'è Mario il Salvatore?
Così
vanno generalmente le cose, ed in questo modo sono stati trattati gli
ultimi dati sulla recessione. Si ammette che l'economia non va bene, ma
si assicura che il prossimo anno andrà meglio. Con questo cliché,
che chiunque potrebbe ripetere a pappagallo, si costruiscono carriere
protette dalla casta, ma certo non ci si avvicina neanche un po' alla
comprensione della realtà.
Entriamo
allora nel merito, cercando di capire quanto possa essere credibile la
promessa degli sciamani dell'economia. Secondo costoro, l'Italia sarà in
recessione nel primo semestre del 2012, poi - dopo una stabilizzazione
nel secondo semestre - il lieto fine annunciato della ripresa nel 2013.
Quanto è credibile questo schema? Poco. Per la precisione, niente.
Intanto
bisogna ricordare quale sia il valore delle previsioni. Prendiamo, ad
esempio, il Pil del 2011. Secondo il programma di stabilità del 2009
esso avrebbe dovuto registrare un aumento del 2,0% lo scorso anno.
Questa previsione, accettata dall'UE e confortata dalle previsioni delle
più importanti istituzioni economiche, veniva corretta - nel corso del
2011 - ad un più modesto 1,1% (Programma di stabilità, maggio 2011).
Alla fine, e siamo ai giorni scorsi, ecco il responso dell'Istat: +0,4%!
Come
si vede, ad un dato ottimistico iniziale segue un parziale
ridimensionamento in corso d'opera, per poi arrivare ad una riduzione
ancora più drastica in sede di consuntivo. Stessa cosa per il 2012. Se
nel 2009 si prevedeva per il prossimo anno un +2,0%, come per il 2011,
l'aggiustamento del maggio scorso indicava un +1,3%, arrivando poi
all'attuale previsione del -1,5% (Bankitalia) o, se si preferisce, -2,2%
(Fmi).
E'
naturale che le previsioni si perfezionino con l'avvicinarsi della data
di riferimento, cosicché le «previsioni» più precise risultano sempre
quelle a... consuntivo. E' interessante, però, come - almeno negli
ultimi anni - siano sempre risultate sbagliate in eccesso. Un caso?
Difficile crederlo. Assai più probabile che gli sciamani del capitale
cerchino di minimizzare la portata e le conseguenze della crisi.
E veniamo così alle affermazioni di Ignazio Visco, fatte l'altro ieri al Forex di
Parma. Il governatore della Banca d'Italia, dopo aver reso omaggio al
suo predecessore Draghi e, naturalmente, al capo dell'attuale governo
dei banchieri, si è lanciato in valutazioni assai azzardate, ipotizzando
numeri che proprio non tornano. Vediamo il perché.
Fedele al cliché di
cui sopra, Visco ha predetto la ripresa per il 2013. Una ripresa,
ovviamente da facilitare con l'eliminazione dell'art.18 e con
l'universalizzazione della precarietà. Fin qui tutto normale, ma per
sostenere la sua tesi Visco ha forzato assai sui conti. Ecco come il Sole 24 Ore del 19 febbraio riporta il pensiero del governatore:
«La
crescita economica di certo favorisce l'aggiustamento della finanza
pubblica ma questa "è comunque su un sentiero sostenibile anche sotto
ipotesi poco favorevoli sulla crescita e sui tassi di interesse".
Secondo i calcoli di Bankitalia, infatti, con una crescita dell'ordine
dell'uno per cento e anche con uno spread sui BTp decennali stabilmente a
un livello elevato, cioè a 300 punti base "avanzi primari del 5% del
prodotto, come quello previsto per il 2013, garantirebbero una riduzione
del rapporto tra debito e prodotto maggiore di quella richiesta dalle
nuove regole di bilancio", ovvero con le nuove regole del fiscal compact».
Lo
schema di Visco contiene, come minimo, due ipotesi infondate ed un
falso manifesto. Prendiamo pure per buono - anche se non è affatto
scontato - il dato dell'avanzo primario del 5%, una mostruosità che, se
verrà ottenuta, sarà solo per la ferocia antisociale della manovra di
dicembre. Ma è credibile l'ipotesi sul Pil? E quella sullo spread?
Assolutamente no. Queste ipotesi sono sballate, e vedremo il perché, ma
dove l'imbroglio è ancora più evidente è sui livelli del debito in
rapporto agli obiettivi imposti dal fiscal compact. Ma andiamo con ordine.
Il mito della crescita dietro l'angolo
Secondo il governatore nel 2013 l’uscita dalla recessione è sicura, ed un +1,0% quasi scontato. E' davvero così? La recessione in corso era prevedibile da mesi - e difatti l'avevamo ampiamente prevista - ma in termini tecnici è stata conclamata solo nei giorni scorsi. Tecnicamente, si parla di recessione solo quando si è in presenza di due trimestri consecutivi in negativo sul trimestre precedente. Se il terzo trimestre del 2011 aveva fatto segnare un -0,2%, il quarto ha registrato un -0,7% e la recessione è ora un fatto ufficiale.
Sulle
previsioni negative sul 2012 si è già detto, ma da cosa dipendono?
Certo, la congiuntura internazionale non aiuta, la crisi del
capitalismo-casinò è ben lungi dall'essere superata, ma nel caso
italiano c'è un di più che spinge gli indici verso il basso. Questo di
più è proprio l'effetto recessivo della somma delle manovre economiche
(Berlusconi e soprattutto Monti) del 2011. Le conseguenze della politica
dei sacrifici già si sono fatte sentire, ma esse si dispiegheranno
appieno solo nel corso del 2012 (basti pensare all'aumento di due punti
dell'IVA). Perché dunque il 2013 dovrebbe andar meglio del 2012? La
Grecia non insegna proprio il contrario?
Ma
c'è di più. Da oltre un decennio l'economia italiana è stagnante - che
ci sia una qualche correlazione con il passaggio all'euro? -, il Pil
2011 è ancora inferiore (del 4,23%) rispetto a quello del 2007, mentre
la produzione industriale è calata rispetto a quell'anno addirittura del
14%. Ora i consumi sono previsti in calo, e non potrebbe essere
altrimenti, gli investimenti privati idem (il credito alle imprese si è
ridotto di 20 miliardi solo nel mese di dicembre), di quelli pubblici è
meglio non parlare, vista la scelta del rigore finanziario.
Resterebbero, in teoria, le esportazioni, ma è ben noto che non potranno
mai riaversi rimanendo nell'eurozona. Per quale motivo dovrebbe
arrivare la mitica ripresa? Il mistero è fitto, ma il risultato è certo:
l'ipotesi di Visco altro non è che mera propaganda.
L'altalena dei tassi (e dello spread)
Passiamo ora al tormentone spread. Qui gli sciamani barano anche di più. Se lo possono permettere proprio grazie al tourbillon dei dati giornalieri. Visco vanta i successi di Monti, evidenziando che oggi lo spread è a 365 punti base, mentre era arrivato a 575 il 9 novembre. Tutto vero, solo che il 9 novembre è stato il giorno della massima pressione dei centri del potere finanziario internazionale (e crediamo soprattutto della Bce) per mandare al tappeto il governo Berlusconi. Già pochi giorni dopo lo spread era disceso ai livelli attuali, salvo poi risalire con un movimento altalenante assai intenso, che da metà gennaio si è indirizzato verso il basso solo per il finanziamento della Bce alle banche. Un finanziamento al tasso dell'1%, concepito anche, se non soprattutto, per spingere le banche a comprare i titoli del debito pubblico.
Questa è la ragione fondamentale del calo dello spread nelle ultime settimane. Niente di strutturale, né di durevole, dunque. Del resto, il differenziale con il Bund tedesco (questo è, come noto, lo spread)
era rimasto sotto quota 200 fino all'inizio dell'estate scorsa. Il
livello medio attuale (vicino a quota 400) rimane dunque circa il doppio
di quello di 8 mesi fa. Difficile venderlo per un gran successo. Visco
si spinge a prevedere quota 300 per il 2013. Vedremo, ma la sensazione è
che una volta esauritasi la spinta dei finanziamenti della Bce (ve ne
sarà un altro a fine mese) i tassi sui titoli del debito italiano
torneranno a crescere.
Il debito e il fiscal compact
Qui arriviamo ad un autentico falso. Secondo Visco, poste le condizioni n° 1 (avanzo primario al 5%), n° 2 (Pil al +1%) e n° 3 (spread a 300), l'obiettivo della riduzione del rapporto debito/Pil previsto dal fiscal compact non richiederebbe ulteriori manovre. Falso, clamorosamente falso.
Ammettiamo
pure (senza però concederlo) che le tre condizioni si realizzino e
sottoponiamo a verifica i calcoli del governatore. Innanzitutto, un avanzo primario (calcolato,
cioè, a monte del costo degli interessi sul debito) del 5%
determinerebbe comunque un disavanzo dello 0,4%, dato che gli interessi
sul debito sono previsti al 5,4%.
Ammettendo
che il Pil salga dell'1%, e partendo da un rapporto base debito/Pil
pari al 120% (grosso modo quello attuale), avremmo che l'effetto
combinato disavanzo/aumento Pil porterebbe ad un rapporto debito/Pil del
119,2% (120 + 0,4 : 101 = 119,2). Ora si da il caso che il fiscal compact preveda
una riduzione di un ventesimo all'anno della quota eccedente il 60% nel
rapporto debito/Pil. Dato che 120 meno 60 è uguale a 60, si tratta di
recuperare un 3% di Pil all'anno per vent'anni, mentre nella migliore
delle ipotesi di Visco il recupero nel 2013 sarebbe solo dello 0,8%.
Resta dunque un 2,2%, in apparenza un piccolo numero, che ha però il
difetto di ammontare a circa 34 miliardi di euro, un'altra mega stangata
che si abbatterà sul popolo lavoratore in nome del Dio Euro e dei suoi
sacerdoti di Francoforte.
Ma
nessuno si preoccupi. Infatti questo calcolo è puramente ipotetico. In
realtà le cose andranno assai peggio. La Grecia dovrebbe pure insegnare
qualcosa. La spirale recessione-debito-interessi di sicuro non si
arresterà. E l'Europa non darà certo una mano.
I
numeri di Visco sono dunque sparati a casaccio, giusto per imbonire il
popolo e sponsorizzare Monti. Come ha scritto Giuliano Amato,
presupposto il pareggio di bilancio, occorrerebbe una crescita del 2,5%
annuo per rispettare le tappe del fiscal compact.
Peccato che questo sia un obiettivo che gli stessi fanatici del
bocconian-pensiero non osano neppure pronunciare. Eccoli allora intenti
ad imbrogliare con le loro arti sciamaniche, fatte soprattutto di numeri
a raffica. Numeri falsi, però. Falsi come le promesse del Buffone di cui hanno preso il posto.
Nessun commento:
Posta un commento
Di la tua