La mamma di Federico Aldrovandi alla sbarra per
diffamazione: aveva criticato il pm delle prime indagini andate a vuoto.
Rinviata la prima udienza.
Doveva iniziare il primo marzo a Mantova ma subirà un
rinvio, per l'impedimento di un tecnico di parte civile, il processo a
Patrizia Moretti e ad alcuni cronisti ferraresi denunciati per
diffamazione dalla pm Mariangela Guerra, quella di turno all'alba del 25
settembre 2005 quando il figlio di Patrizia, Federico Aldrovandi,
incappò nel misterioso e violentissimo "controllo" di polizia nel quale
fu ucciso. Aveva 19 anni e stava solo tornando a casa a piedi dopo una
notte in discoteca. Ci sarebbe voluta una faticosissima indagine
difensiva - una sorta di controinchiesta da parte dei familiari del
ragazzo e dei loro legali - perché i quattro agenti fossero condannati
in primo e secondo grado per eccesso colposo nell'omicidio colposo. Per
il 21 giugno è prevista la sentenza di Cassazione a mettere la parola
fine al filone principale del clamoroso caso di "malapolizia" che, tra i
vari strascichi, ha visto altri quattro tra colleghi e superiori dei
quattro agenti finire alla sbarra per aver contribuito a depistare le
indagini di quella domenica mattina.
Intanto, però, c'è quest'altro processo che ribalta le posizioni e
prova a inchiodare la madre coraggio grazie alla quale si riaprì un caso
dopo cento giorni di silenzio assordante e il tentativo di processare
lo stile di vita della vittima anziché gli abusi della polizia. La
querela della pm arriva nel 2010 dopo le sentenze sui depistaggi che,
probabilmente, le impedirono di impostare correttamente le indagini.
Però,
tra gli articoli "alla sbarra" ci sono anche quelli sul caso Bad Boys,
rampolli della Ferrara-bene, tra cui il figlio della pm, accusati di
spaccio. All'epoca ci fu chi tentò un collegamento tra quell'inchiesta e
la lentezza del caso Aldrovandi fino alla rinuncia della pm nel
febbraio 2006. E forse la pm vuole sciogliere proprio quel nodo. Ma
proprio quei tre mesi opachi potrebbero essere illuminati dal nuovo
procedimento all'apparenza paradossale. In aula con Patrizia ci saranno
anche giornalisti della Nuova Ferrara: il direttore Paolo Boldrini, il
giudiziarista Daniele Predieri e Marco Zavagli, collaboratore esterno,
direttore del quotidiano on-line Estense.com. Quest'ultimo non è
l'autore di uno degli articoli contestati, scritto invece dalla
giornalista Alessandra Mura ma la procura di Mantova e la gup che ha
deciso il processo sostengono che sarebbe lo pseudonimo usato da
Zavagli.
La pm Guerra si costituirà parte civile ma solo nei
confronti del quotidiano La Nuova Ferrara e non di Patrizia Moretti,
chiedendo ai giornalisti un risarcimento almeno di 300mila euro più 1
milione e mezzo di danni nel processo civile in corso ad Ancona. Guerra,
che quella mattina - forse depistata dagli agenti accorsi - non si
presentò sul luogo del delitto, è convinta di essere stata oggetto di
una «campagna denigratoria e diffamatoria».
Tra i testimoni a
Mantova, le difese hanno messo in lista i giudici Francesco Caruso,
Monica Bighetti, il pm Nicola Proto, gli ex procuratori capo Severino
Messina e Rosario Minna, il giudice d'appello Luca Ghedini. Anche il
sindaco estense Tiziano Tagliani, nella veste di avvocato, così come don
Domenico Bedin e Anne Marie Tseguaeu, testimone della colluttazione tra
Federico e gli che proprio Tagliani assisterà nella delicatissima fase
della sua presa di parola, unica testimone - terrorizzata per eventuali
ritorsioni - nella "zona del silenzio" ferrarese.
Per Articolo 21 e
per il sindacato dei giornalisti il processo altro non sarebbe che un
attacco alla libertà di stampa. «Amaramente penso che chi querela le
vittime non cerchi giustizia, ma affermazione di potere», scrive
Patrizia nel suo blog, quello da cui scaturì la campagna di
controinformazione decisiva per l'impulso alle nuove indagini. La donna
ha avuto già diverse querele anche da parte dei responsabili della morte
di Federico. Tutte archiviate. Fino al processo di Mantova deciso con
una rapidità irrituale. Anche il questore dell'epoca altri pezzi della
polizia si sono dedicati negli anni a inseguire, denunciare, intimorire i
frequentatori del blog con un'energia che avrebbe meritato altri
obiettivi.Doveva iniziare il primo marzo a Mantova ma subirà un rinvio,
per l'impedimento di un tecnico di parte civile, il processo a Patrizia
Moretti e ad alcuni cronisti ferraresi denunciati per diffamazione dalla
pm Mariangela Guerra, quella di turno all'alba del 25 settembre 2005
quando il figlio di Patrizia, Federico Aldrovandi, incappò nel
misterioso e violentissimo "controllo" di polizia nel quale fu ucciso.
Aveva 19 anni e stava solo tornando a casa a piedi dopo una notte in
discoteca. Ci sarebbe voluta una faticosissima indagine difensiva - una
sorta di controinchiesta da parte dei familiari del ragazzo e dei loro
legali - perché i quattro agenti fossero condannati in primo e secondo
grado per eccesso colposo nell'omicidio colposo. Per il 21 giugno è
prevista la sentenza di Cassazione a mettere la parola fine al filone
principale del clamoroso caso di "malapolizia" che, tra i vari
strascichi, ha visto altri quattro tra colleghi e superiori dei quattro
agenti finire alla sbarra per aver contribuito a depistare le indagini
di quella domenica mattina. Intanto, però, c'è quest'altro processo che
ribalta le posizioni e prova a inchiodare la madre coraggio grazie alla
quale si riaprì un caso dopo cento giorni di silenzio assordante e il
tentativo di processare lo stile di vita della vittima anziché gli abusi
della polizia. La querela della pm arriva nel 2010 dopo le sentenze sui
depistaggi che, probabilmente, le impedirono di impostare correttamente
le indagini. Però, tra gli articoli "alla sbarra" ci sono anche quelli
sul caso Bad Boys, rampolli della Ferrara-bene, tra cui il figlio della
pm, accusati di spaccio. All'epoca ci fu chi tentò un collegamento tra
quell'inchiesta e la lentezza del caso Aldrovandi fino alla rinuncia
della pm nel febbraio 2006. E forse la pm vuole sciogliere proprio quel
nodo. Ma proprio quei tre mesi opachi potrebbero essere illuminati dal
nuovo procedimento all'apparenza paradossale. In aula con Patrizia ci
saranno anche giornalisti della Nuova Ferrara: il direttore Paolo
Boldrini, il giudiziarista Daniele Predieri e Marco Zavagli,
collaboratore esterno, direttore del quotidiano on-line Estense.com.
Quest'ultimo non è l'autore di uno degli articoli contestati, scritto
invece dalla giornalista Alessandra Mura ma la procura di Mantova e la
gup che ha deciso il processo sostengono che sarebbe lo pseudonimo usato
da Zavagli. La pm Guerra si costituirà parte civile ma solo nei
confronti del quotidiano La Nuova Ferrara e non di Patrizia Moretti,
chiedendo ai giornalisti un risarcimento almeno di 300mila euro più 1
milione e mezzo di danni nel processo civile in corso ad Ancona. Guerra,
che quella mattina - forse depistata dagli agenti accorsi - non si
presentò sul luogo del delitto, è convinta di essere stata oggetto di
una «campagna denigratoria e diffamatoria». Tra i testimoni a Mantova,
le difese hanno messo in lista i giudici Francesco Caruso, Monica
Bighetti, il pm Nicola Proto, gli ex procuratori capo Severino Messina e
Rosario Minna, il giudice d'appello Luca Ghedini. Anche il sindaco
estense Tiziano Tagliani, nella veste di avvocato, così come don
Domenico Bedin e Anne Marie Tseguaeu, testimone della colluttazione tra
Federico e gli che proprio Tagliani assisterà nella delicatissima fase
della sua presa di parola, unica testimone - terrorizzata per eventuali
ritorsioni - nella "zona del silenzio" ferrarese. Per Articolo 21 e per
il sindacato dei giornalisti il processo altro non sarebbe che un
attacco alla libertà di stampa. «Amaramente penso che chi querela le
vittime non cerchi giustizia, ma affermazione di potere», scrive
Patrizia nel suo blog, quello da cui scaturì la campagna di
controinformazione decisiva per l'impulso alle nuove indagini. La donna
ha avuto già diverse querele anche da parte dei responsabili della morte
di Federico. Tutte archiviate. Fino al processo di Mantova deciso con
una rapidità irrituale. Anche il questore dell'epoca altri pezzi della
polizia si sono dedicati negli anni a inseguire, denunciare, intimorire i
frequentatori del blog con un'energia che avrebbe meritato altri
obiettivi. «In molti - dice ancora Patrizia - per la paura di un
processo hanno patteggiato e pagato loro dei soldi. La gente normalmente
teme i Tribunali, si sa. I miei avvocati hanno dovuto rispondere al
loro Ordine per richiami partiti dal vertice della Procura ferrarese. La
stessa procura che chiese l'identificazione dei giornalisti (tra cui
questo cronista, ndr) e dei direttori di quelle testate che parlavano
del caso Aldrovandi». «Quasi non riesco neanche più ad essere
arrabbiata, sono soprattutto triste, delusa, affranta da tutto questo.
Ma questo è niente rispetto all'assenza di Federico - si legge ancora
nel post - ma che cosa si vuole dimostrare con questa querela? Ormai
tutti sanno come sono andate le cose. E' scritto su almeno 3 sentenze e
in 6 anni di cronaca». «In molti - dice ancora Patrizia - per la paura
di un processo hanno patteggiato e pagato loro dei soldi. La gente
normalmente teme i Tribunali, si sa. I miei avvocati hanno dovuto
rispondere al loro Ordine per richiami partiti dal vertice della Procura
ferrarese. La stessa procura che chiese l'identificazione dei
giornalisti (tra cui questo cronista, ndr) e dei direttori di quelle
testate che parlavano del caso Aldrovandi». «Quasi non riesco neanche
più ad essere arrabbiata, sono soprattutto triste, delusa, affranta da
tutto questo. Ma questo è niente rispetto all'assenza di Federico - si
legge ancora nel post - ma che cosa si vuole dimostrare con questa
querela? Ormai tutti sanno come sono andate le cose. E' scritto su
almeno 3 sentenze e in 6 anni di cronaca».
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