lunedì 20 febbraio 2012

Marx, la crisi e l’Europa: due libri per capire di Vladimiro Giacchè

La crisi capitalistica, l’Europa, l’euro, la Sinistra. Due saggi di Riccardo Bellofiore pubblicati da Asterios ci aiutano a far luce, da un punto di vista marxista, su alcuni dei nodi principali del dibattito politico attuale. Un utile antidoto al mix micidiale di austerità e liberismo oggi di moda nel vecchio continente.
di Vladimiro Giacché  
 
 
Tutto quello che avreste voluto sapere sulla concezione marxista della crisi applicata alla crisi odierna e non siete mai riusciti a trovare in un solo libro. Ho immaginato questo sottotitolo per il libretto di Riccardo Bellofiore "La crisi capitalistica, la barbarie che avanza" (Trieste, Asterios, pp. 82, euro 7). Si tratta, molto semplicemente, di un testo indispensabile per chiunque voglia orientarsi tra i modi diversi di impiegare la teoria di Marx per capire la crisi (sto parlando degli utilizzi seri, non delle sciocchezze alla Tremonti).
È lo stesso autore, nelle prime pagine del libro, a offrirci la traccia del suo percorso: 1) una ricognizione delle diverse teorie della crisi riconducibili a Marx, 2) tentativo di integrare i diversi spunti marxiani sulla crisi all’interno di una lettura non meccanicistica della caduta del saggio di profitto, 3) quadro storico delle crisi capitalistiche dalla Grande Depressione di fine Ottocento sino agli anni Sessanta-Settanta, 4) ultimi decenni del Novecento e primo decennio del nuovo secolo.
Si tratta di un itinerario caratterizzato da un estremo rigore terminologico, ma anche da grande chiarezza. Certo, si tratta di pagine che vanno lette (direi assaporate) con attenzione e con calma, ma si è ampiamente ripagati di questo sforzo. Anche perché gli strumenti concettuali che vengono esposti nella prima parte di questo volumetto si aprono poi ad una spiegazione, incalzante e convincente, della parabola economica di questi ultimi decenni: fino alla crisi esplosa nel 2007 e ben lontana dal chiudersi.
Gli anni Sessanta e (primi) Settanta per Bellofiore segnano un’importante cesura: con il tentativo (poi sconfitto) di impedire una risposta alle difficoltà di valorizzazione del capitale in termini di aumento del grado di sfruttamento del lavoro, ossia (in fondo è la stessa cosa) il tentativo di rompere le compatibilità di sistema.
I decenni successivi sono segnati da precarizzazione e finanziarizzazione, “le due armi gemelle” che rappresentano la risposta alla crisi sociale degli anni Sessanta e Settanta e che producono: da una parte, “una ‘centralizzazione senza concentrazione’” – ossia un comando del capitale centralizzato, ma con unità produttive connesse in rete “lungo filiere transnazionali” e in grado di sfruttare l’offerta di lavoro mondiale per rompere la resistenza della classe operaia dei paesi del centro capitalistico; dall’altra, quella “‘sussunzione reale del lavoro alla finanza e al debito’” necessaria per sopperire alla carenza di domanda derivante dai bassi salari”.
Queste due armi “prima, hanno dato vita a una crescita reale drogata, poi hanno determinato il ritorno della instabilità e la fine di quel modello”. Esattamente la situazione attuale: nella quale la crisi appare senza sbocchi e ripropone – come conclude Bellofiore – “le questioni di un diverso modo di lavorare e di un diverso modo di organizzare la riproduzione come condizioni dell’uscita da questo mulinello sempre più infernale”.

Focalizzato maggiormente sugli sviluppi più recenti è un altro libro di Riccardo Bellofiore appena pubblicato: "La crisi globale, l’Europa, l’euro, la Sinistra" (Trieste, Asterios, 2012, pp. 78, euro 7). In questo volume sono raccolti tre saggi sulla crisi redatti tra la fine del 2008 e la seconda metà del 2011 (l’ultimo, scritto con Jan Toporowsky). Letti insieme, questi saggi formano un tutto organico e coerente, ben diversamente dalle tante caduche ricostruzioni della crisi a cui ci hanno abituato plotoni di opinionisti ed economisti mainstream in questi anni. Sarebbe vano voler ripercorrere e sintetizzare tutti i temi presenti in queste pagine. Scelgo qualche spunto, assumendomi il rischio dell’arbitrarietà.
Il primo riguarda neo-liberismo e social-liberismo, dottrine e pratiche politiche che l’autore vede come due facce della stessa medaglia. La loro tagliente disamina è a tratti sorprendente. Il neo-liberismo, osserva Bellofiore, “è stato certo liberista contro il lavoro, contro il welfare, a favore della grande finanza. Non è stato affatto liberista su altri terreni. Ha tutelato i monopoli; ed ha praticato alla grande i disavanzi del bilancio pubblico, quando gli serviva. Ha gestito la ridefinizione dei diritti di proprietà, e la privatizzazione dei beni comuni”.
Il social-liberismo è stata la risposta di sinistra (della sinistra istituzionale) al neo-liberismo. “Il social-liberismo – osserva giustamente Bellofiore – è per certi aspetti una impostazione ben più liberista del neoliberismo. Lo è, per esempio, nella sua mitologia della concorrenza come regolatore dei monopoli, per quel che riguarda per esempio i mercati dei beni e dei servizi. E si è mostrato ben più affezionato agli equilibri del bilancio pubblico”. Anche l’idea, che pure il social-liberismo coltiva, di politiche redistributive, regolarmente svanisce dall’orizzonte “quando si arriva al governo, per l’ossessione di ripristinare gli equilibri nel bilancio pubblico, che sono stati appunto mandati in rosso dai neoliberisti”.
Purtroppo, osserva Bellofiore, “l’egemonia del social-liberismo non è mai stata davvero messa in discussione”: e in effetti questa è una delle lezioni fondamentali che si ricavano dalle sfortunate vicende dei governi Prodi. Ma è questo che Bellofiore ci esorta a fare. Non tralasciando alcune indicazioni concrete sul da farsi qui e ora. “Il primo dovere della sinistra è – puramente e semplicemente – il rigetto senza ambiguità delle politiche di austerità. Avvitano in una spirale: aggravamento della crisi-ulteriore giro di vite fiscale.
Non basta, evidentemente: occorre mobilitarsi sulla richiesta che ci sia da parte delle istituzioni europee, e stato per stato, un sostegno dell’occupazione, un aumento del salario, una difesa del reddito e del welfare, una fiscalità progressiva e sui patrimoni”. Ma per questo, prosegue l’autore, è urgente “la costruzione di un ‘fronte unico’, di un blocco sociale, che si definisca anche per la definizione processuale di un ‘programma minimo’ di classe, che risponda all’esigenza di una diversa prosperità e di una difesa dall’insicurezza pervasiva... Un programma minimo il cui centro dovrebbero essere la socializzazione degli investimenti, la riconduzione delle banche a public utilities, un piano del lavoro che faccia dello Stato un fornitore diretto di occupazione e per questo garante del pieno impiego, il controllo dei capitali”. Ma tutto questo sarà possibile soltanto sulla base di “lotte davvero europee, su scala continentale”.
È fin troppo facile osservare che chiedere questo non è chiedere poco. Ma è altrettanto facile controbattere che neanche questa crisi è una crisi da poco. E che proprio per questo sarebbe vano pensare di poterla curare con i rimedi tradizionali: che sono poi, da un lato, il mix micidiale di austerity e liberazione dei mercati oggi di moda in Europa, e dall’altro il puro e semplice rilancio della domanda aggregata via deficit spending. Decisamente, dobbiamo osare di più.
Riccardo Bellofiore, La crisi capitalistica, la barbarie che avanza, Trieste, Asterios, 2012, pp. 82, euro 7.
e
Riccardo Bellofiore, La crisi globale, l’Europa, l’euro, la Sinistra, Trieste, Asterios, 2012, pp. 78, euro 7.

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