Dal
punto di vista della partecipazione numerica il Forum sui Beni Comuni,
organizzato a Napoli lo scorso 28 gennaio dall’amministrazione comunale,
è stato un successo.
Una grande folla ha partecipato alle assemblee plenarie e ai vari
tavoli tematici con un afflato che ricordava le vecchie esperienze dei
grandi eventi del movimento no global e no war.
I lavori del Forum sono stati aperti da Norma Rangeri, de il
quotidiano il Manifesto, la quale ha riletto la vicenda politica
italiana degli ultimi mesi in una chiave interpretativa tutta
incardinata sull’antiberlusconismo. Non ci è parso di cogliere,
nell’intervento della Rangeri, l’individuazione nella formazione e
nell’azione del governo Monti di quel salto di qualità che i poteri
forti stanno imprimendo all’agenda politica e sociale italiana nel
quadro dell’accentuarsi dei fattori di crisi generale e di competizione
globale.
Da qui la sottovalutazione di alcuni temi (il debito, i diktat
dell’Unione Europea, la dimensione continentale dello scontro, la
questione democratica…) e l’accentuazione – invece – di campagne singole
(i beni comuni come paradigma ma l’acqua pubblica come caso concreto)
le quali, se non interpretate in un unitario quadro analitico, corrono
il concreto rischio di sfilacciarsi e di depotenziarsi nei meandri delle
compatibilità e del bieco politicismo made in Italy.
Del resto tutta la discussione avviata nei vari tavoli tematici – al
di là della interessante mole di dati e di notizie socializzate –
rischia di doversi, di fatto, disciplinare ai vari dispositivi della
governance i quali, piaccia o meno, come dimostrano le esperienze
amministrative di Napoli o della Regione Puglia, sono le condizioni che
regolano il varo di provvedimenti e/o la subordinazione ai diversificati
tetti di bilancio imposti dal governo nazionale e/o dai vincoli
comunitari dell’Unione Europea.
Certo nel dibattito sono venute avanti idee e proposte (lo stesso
Assessore Lucarelli dell’amministrazione De Magistris si è fatto
portatore di alcune suggestioni in materia) che alludono anche a
pratiche di vera e propria disubbidienza (sia da parte delle
amministrazioni locali e sia da parte di comitati di scopo) verso
provvedimenti ritenuti lesivi dei diritti e dei servizi sociali ma – per
quanto ci è dato di capire – non sono state definite scadenze o
campagne di mobilitazione a riguardo che potrebbero iniziare a
configurare, anche tendenzialmente, un percorso di aggregazione sociale e
di lotta.
La stessa questione sociale e della condizione del lavoro,
rappresentata dalla Fiom, attraverso la testimonianza di un delegato
della Fiat di Melfi discriminato e colpito dalla cura Marchionne, pur
riscontrando attenzione, in sala è stata diluita e metabolizzata dentro
una generica ed interclassista questione della legalità. Una trincea,
questa, la quale non ci sembra adeguata ad offrire una efficace difesa
del lavoro e della generalità del mondo della precarietà e della
disoccupazione dai continui affondi antisociali e dal rullo compressore
della svalorizzazione capitalistica.
Più deludente, a nostro parere, la parte del dibattito che attiene agli sbocchi politici e al futuro di questa aggregazione.
La presenza di Vendola ha, sostanzialmente, canalizzato le varie
pulsioni elettorali che animano questo arcipelago sia in relazione al
prossimo appuntamento nazionale (il 2013 o la fine della primavera
prossima?) e sia con l’occhio puntato ad alcune situazioni locali come
quelle delle prossime amministrative del Comune di Roma.
Come al solito il guru della narrazione si è prodotto in
dichiarazioni ed interventi che, apparentemente, si distaccano dalla
foto di Vasto (la troika Bersani, Di Pietro e Vendola) attraverso
l’abusata esaltazione dei movimenti, della partecipazione e di
quant’altro possa sollecitare le corde emotive di un pubblico di
attivisti politici, sociali e sindacali.
In realtà, però, Vendola, ma anche lo stesso Luigi De Magisris, hanno
indicato nel prossimo appuntamento elettorale la scadenza dove si dovrà
palesare e sostanziare questa inedita aggregazione la quale – al
momento – non ci sembra abbia rotto i legami politici e culturali con i
veri snodi che afferiscono da un verso alla sacralità/centralità del
mercato e dall’altro a quella necessaria autonomia ed indipendenza dal
PD e dall’insieme dei poteri forti i quali sono il motore
dell’Azienda/Italia e del capitalismo tricolore.
In tal senso – al di là dell’immagine di facciata – abbiamo colto più
di un esplicito mugugno e qualche delusione tra i compagni del PRC e
tra quanti hanno guardato a questo appuntamento con curiosità ed
interesse perché animati da una onesta voglia di riscatto e di
attivizzazione nei movimenti ed oltre.
In definitiva ci sembra di poter dire che l’incontro di Napoli è
stato, comunque, lo specchio di una situazione politica generale ancora
confusa - che risente delle difficoltà emerse dopo la lunga stagione del
berlusconismo e del paralizzante antiberlusconismo - la quale, per
evolvere in direzione di una ripresa del conflitto a larga scala dovrà –
ancora - bruciare illusioni e presunte scorciatoie politiciste. Un
percorso e una modalità oggettiva ed obbligata la quali, come una sorta
di maledizione divina, accompagneranno l’enuclearsi di una tendenza
anticapitalistica adeguata alle nuove soglie dello scontro.
In questo - come in altri - crogiuoli sociali trova la sua ragione di
esistenza e di azione una moderna ed agente soggettività comunista.
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