mercoledì 1 febbraio 2012

Il pareggio di bilancio è un dogma sbagliato di Roberto Musacchio


crisi

Con il voto della costituenda Grossa Coalizione Italiana sono stati sdoganati i punti chiave della rivoluzione postdemocratica europea. Approvata la struttura burocratica e intergovernativa di euro plus; i provvedimenti che dettano cifre e metodi del governo fiscale, il six pack; dato il via libera al Trattato Fiscale Intergovernativo che costituzionalizza la politica di obbligo al pareggio di bilancio e lo fa dando mandato alla modifica delle Costituzioni nazionali. Tanta roba, che forse però non è chiara a tutti.
Costituzionalizzare una teoria monetaria, il dogma del pareggio di bilancio, è cosa che non fece neanche l'Urss di Breznev. Le conseguenze sono pesantissime: basti pensare, per l'Italia, a cosa significa rientrare in pochissimi anni dal 120% al 60% di debito! L'operazione realizzata intorno al debito è veramente straordinaria. Sul debito si costruisce un'intera narrazione, facendone oggetto di panico, elemento di colpa, chiave di volta per una rottura radicale con tutto il modello sociale europeo e quel compromesso che lo ha realizzato. Operazione che fa perno sulla Germania, dove non a caso la parola debito ha in tedesco la stessa etimologia della parola colpa, ma che viene accettata da tutte le borghesie europee e che annichilisce quelle che dovrebbero essere le sinistre.
Siccome sono convinto che la risposta a questo capolavoro di egemonia non sia negare l'esistenza del debito e della crisi, credo che sarebbe quanto mai importante contrapporre alla shock-politic delle classi dominanti, al loro dichiarare lo stato d'emergenza per commissariare la democrazia, la messa in campo di una straordinaria operazione democratica volta a discutere pubblicamente della natura del debito. Sono convinto che ne vedremmo delle belle. Prendiamo ad esempio gli ultimissimi anni, quelli della crisi che nasce finanziaria e in America, e rapidissimamente tracima in Europa. Il presidente Barroso ci dice che la cifra del sostegno pubblico, degli Stati membri e della Ue, al sistema bancario e finanziario dal 2008 al 2011, è stata di 4600 miliardi di euro. Cui vanno aggiunti i 500 stanziati successivamente e i 1000 in via di autorizzazione. Una cifra enorme che ha trasformato in debito pubblico quella che era una esposizione privata.
Se guardiamo poi ancora più a fondo, al cuore del processo che dovrebbe essere di integrazione europea, vediamo che parti considerevolissime di queste cifre sono impiegate a sostenere, oltreché la speculazione finanziaria mondiale, l'indebitamento di molti sistemi bancari e di Stati verso il sistema bancario, produttivo e statuale tedesco. Cioè sono un enorme sostegno alle esportazioni tedesche, laddove la Germania, invece che contribuire a una effettiva integrazione sociale e produttiva europea, ha considerato la Ue luogo privilegiato delle proprie esportazioni, per altro sostenute da un vero dumping dall'alto, quello derivante da una moderazione salariale totalmente immotivata a fronte degli aumenti di produttività. Il debito dunque registra il fallimento della politica di integrazione. Ma le borghesie nazionali, compresa l'italiana, sono ben liete di pagare il dazio tedesco perché questo consente una operazione di ristrutturazione selvaggia del mercato del lavoro e del Welfare altrimenti impensabile.
Questo è l'aspetto sistemico più macroscopico cui se ne possono legare altri che mi limito ad accennare. La ministra Fornero parte all'assalto della cassa integrazione, ma non dice che il governo Berlusconi chiese e ottenne di usare i soldi del Fondo Sociale Europeo per pagare l'esplosione della cassa data dalla crisi che era diventata, e resta, sociale: tra i 6 e i 7 miliardi di euro il solo primo anno che, per accordo con Bruxelles, devono essere reimmessi dalle Regioni. Denaro fresco dato al sistema delle imprese, senza neanche vincolarle a qualche clausola sociale come hanno fatto altri Paesi, e trasformato in debito pubblico. Della natura del debito pubblico italiano poi qualcuno dovrà pur dire, visto che esplode negli anni '80 quando per combattere l'inflazione fu strappata via la scala mobile. Strano? No per chi pensa che la svalorizzazione del lavoro sia alla base della crisi. E magari qualche accenno andrebbe fatto alla Tav, che costa in Italia 4/5 volte al km in più di quella che è la media europea, o al giochino del Cip 6 che trasformava energia tradizionale in rinnovata e denaro pubblico in incentivo privato. Sono due sole voci che valgono decine, o centinaia di miliardi di euro. E allora fermiamo quel Trattato insulso e facciamo un bell'audit dei cittadini europei.

Da Il Manifesto mercoledì 1 febbraio 2012

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