giovedì 23 febbraio 2012

L’insana passione del PD per il ‘Papa straniero’ - Fabrizio d'Esposito, Il Fatto Quotidiano


Da Montezemolo a Passera, ora l'ultimo è Monti. Il più grande inventore di queste figurine è stato Veltroni. Al primo posto della classifica: i banchieri. Ma venne anche il turno di Roberto Saviano
In meno di due anni, Mario Monti è il terzo “papa straniero” che Walter Veltroni propone per la leadership del centrosinistra. Tutto ruota attorno all’aggettivo “riformista”, ancora una volta. “Monti è un riformista, non lasciamolo alla destra”, così domenica scorsa a Repubblica l’ex quarantenne kennediano che a metà dei Novanta non voleva regalare alla destra neanche Lamberto Dini, altro ex premier tecnico oggi nel recinto dei satelliti del Pdl, con queste parole profetiche: “Ha vissuto da ministro l’esperienza Berlusconi, poi quella del suo governo appoggiato dal centrosinistra. Beh, quando gli hanno chiesto se avrebbe accettato un ruolo nel prossimo schieramento di destra, ha semplicemente risposto: ‘No, non mi ci vedo’. A buon intenditor…”. Difatti.
Andando a ritroso, dopo l’esternazione che sancisce la nascita del “partito di Monti” nel Pd, la passione di Veltroni per il leader che viene “dall’esterno” si colloca nel settembre del 2010. L’ex sindaco di Roma nonché ex candidato-premier (perdente) nel 2008 si fa vivo dopo mesi di pensoso silenzio e lancia il documento dei 75 per il “papa straniero” a capo dell’ex Ulivo ed ex Unione. Il nome del momento è quello di Alessandro Profumo, cacciato da Unicredit. Parafrasando il Fassino dell’estate dei furbetti del quartierino: “Abbiamo un banchiere”. L’ipotesi Profumo mette a soqquadro il Pd e irrita persino un moderato come Beppe Fioroni, democristiano doc: “Prendere come leader uno che è appena stato cacciato mi pare un’idea singolare della politica”. Ma i veltroniani non si rassegnano e un mese dopo ci riprovano con un altro nome. Stavolta a farlo è Goffredo Bettini, cervello politico del buonismo trasversale. Per lui, l’impegno in politica di Luca Cordero di Montezemolo “potrebbe avere un grande significato e una grande presa”. Il presidente della Ferrari (e di tante altre cose), secondo Bettini, dovrebbe “compiere un atto di servizio, unilaterale, disinteressato e a termine, mettendo la sua popolarità ed esperienza a disposizione di una battaglia civile e democratica”.
In questa fase il tema del “papa straniero” esplode (altro grande alfiere che difende il solco tracciato da Veltroni è il direttore di Repubblica Ezio Mauro) ed emergono anche le suggestioni dello scrittore anti-camorra Roberto Saviano e dell’ad di Fiat Sergio Marchionne. Ovviamente, sulla sponda opposta a quella presidiata da Veltroni, si mette seduto Massimo D’Alema, teorico del primato della politica e dei partiti e notoriamente allergico alla società civile, secondo una sua antica e feroce battuta copiata dalla propaganda nazista: “Quando sento parlare di società civile metto mano alla pistola”. Certo, Profumo, Montezemolo e Marchionne più che nella categoria “società civile” vanno inseriti sotto la voce “poteri forti” ma per D’Alema è lo stesso e fa sapere che quella del “papa straniero” è una “falsa strada”.
Rispetto a oggi, la discussione di due anni fa sembra preistoria. Soprattutto perché non c’è più Berlusconi a Palazzo Chigi. Dal novembre scorso, da quando cioè è nato il governo sobrio dei tecnici, la convinzione comune è che dopo Monti (e Passera) nulla sarà come prima. Non senza paradossi e contraddizioni. All’inizio i ruoli erano rovesciati. Nel senso che il superministro Corrado Passera, ex Intesa, era il candidato più gettonato del centrosinistra (sempre per la serie “abbiamo un banchiere”) e Monti per il centrodestra. Oggi è il contrario. Roberto Formigoni, governatore della Lombardia, ha proposto Passera al posto di Alfano per la successione a Berlusconi, Veltroni ma anche Enrico Letta si sono buttati su Monti.
Nel centrosinistra, la questione del leader esterno, da non regalare agli altri, è affiorata all’alba della Seconda Repubblica, all’indomani della sconfitta della gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto. Non a caso, il partito montiano del Pd ripete che la foto di Vasto (Bersani, Di Pietro, Vendo-la) sarebbe il bis di quell’esperienza. Prima della candidatura di Romano Prodi nel 1996, fu proprio Veltroni a lanciare il nome di Carlo Azeglio Ciampi, ma questi ringraziò e rifiutò. Il Pds inseguì anche Mariotto Segni, sempre per sottrarlo alla destra.
In quella zona grigia e bipartisan tra i due poli sono stati vari i nomi dei leader intercambiabili prima di Monti, Passera e Montezemolo. Sergio D’Antoni, quando lasciò la Cisl, fu corteggiato da destra e sinistra (oggi è nel Pd). Ma la vera passione tra i postcomunisti sono i banchieri, causato forse dal complesso della “sinistra stracciona”. Nel duemila spuntò l’ipotesi di Antonio Fazio, governatore di Bankitalia. Disse Massimo Cacciari: “Ci vorrebbe un cattolico democratico di alto profilo disposto a farsi carico del problema di arginare questa destra che con le destre europee non ha niente da spartire. Io vedo solo Antonio Fa-zio”. Oggi l’argine al “papa straniero” è soprattutto Bersani, che vede tramontare la sua candidatura a premier ma più di tanto, in pubblico, non ha osato. Questa la sua risposta a Veltroni su Monti: “Il mio partito ha una proposta alternativa, non a Monti, ma alla destra. Poi Monti e i suoi ministri potranno decidere con quale polmone respirare”. Appena tre giorni prima aveva detto che Monti “non fa cose di sinistra”.

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