Da Montezemolo a Passera, ora l'ultimo è Monti. Il più grande inventore di
queste figurine è stato Veltroni. Al primo posto della classifica: i banchieri.
Ma venne anche il turno di Roberto Saviano
In meno di due anni, Mario
Monti è il terzo “papa straniero” che Walter Veltroni propone per la
leadership del centrosinistra. Tutto ruota attorno all’aggettivo
“riformista”, ancora una volta. “Monti è un riformista, non lasciamolo alla
destra”, così domenica scorsa a Repubblica l’ex quarantenne kennediano che a
metà dei Novanta non voleva regalare alla destra neanche Lamberto Dini,
altro ex premier tecnico oggi nel recinto dei satelliti del Pdl, con queste
parole profetiche: “Ha vissuto da ministro l’esperienza Berlusconi, poi quella
del suo governo appoggiato dal centrosinistra. Beh, quando gli hanno chiesto se
avrebbe accettato un ruolo nel prossimo schieramento di destra, ha
semplicemente risposto: ‘No, non mi ci vedo’. A buon intenditor…”. Difatti.
Andando a ritroso, dopo l’esternazione che sancisce la nascita del “partito
di Monti” nel Pd, la passione di Veltroni per il leader che viene
“dall’esterno” si colloca nel settembre del 2010. L’ex sindaco di Roma nonché
ex candidato-premier (perdente) nel 2008 si fa vivo dopo mesi di pensoso
silenzio e lancia il documento dei 75 per il “papa straniero” a capo dell’ex
Ulivo ed ex Unione. Il nome del momento è quello di Alessandro Profumo,
cacciato da Unicredit. Parafrasando il Fassino dell’estate dei furbetti del
quartierino: “Abbiamo un banchiere”. L’ipotesi Profumo mette a soqquadro il Pd
e irrita persino un moderato come Beppe Fioroni, democristiano doc: “Prendere
come leader uno che è appena stato cacciato mi pare un’idea singolare della
politica”. Ma i veltroniani non si rassegnano e un mese dopo ci riprovano con
un altro nome. Stavolta a farlo è Goffredo Bettini, cervello politico del
buonismo trasversale. Per lui, l’impegno in politica di Luca Cordero di Montezemolo
“potrebbe avere un grande significato e una grande presa”. Il presidente della
Ferrari (e di tante altre cose), secondo Bettini, dovrebbe “compiere un atto di
servizio, unilaterale, disinteressato e a termine, mettendo la sua popolarità
ed esperienza a disposizione di una battaglia civile e democratica”.
In questa fase il tema del “papa straniero” esplode (altro grande alfiere che
difende il solco tracciato da Veltroni è il direttore di Repubblica Ezio Mauro)
ed emergono anche le suggestioni dello scrittore anti-camorra Roberto
Saviano e dell’ad di Fiat Sergio Marchionne. Ovviamente, sulla sponda
opposta a quella presidiata da Veltroni, si mette seduto Massimo D’Alema,
teorico del primato della politica e dei partiti e notoriamente allergico alla
società civile, secondo una sua antica e feroce battuta copiata dalla
propaganda nazista: “Quando sento parlare di società civile metto mano alla
pistola”. Certo, Profumo, Montezemolo e Marchionne più che nella categoria
“società civile” vanno inseriti sotto la voce “poteri forti” ma per D’Alema è
lo stesso e fa sapere che quella del “papa straniero” è una “falsa strada”.
Rispetto a oggi, la discussione di due anni fa sembra preistoria. Soprattutto
perché non c’è più Berlusconi a Palazzo Chigi. Dal novembre scorso, da quando
cioè è nato il governo sobrio dei tecnici, la convinzione comune è che dopo
Monti (e Passera) nulla sarà come prima. Non senza paradossi e
contraddizioni. All’inizio i ruoli erano rovesciati. Nel senso che il
superministro Corrado Passera, ex Intesa, era il candidato più gettonato del
centrosinistra (sempre per la serie “abbiamo un banchiere”) e Monti per il
centrodestra. Oggi è il contrario. Roberto Formigoni, governatore della
Lombardia, ha proposto Passera al posto di Alfano per la successione a
Berlusconi, Veltroni ma anche Enrico Letta si sono buttati su Monti.
Nel centrosinistra, la questione del leader esterno, da non regalare agli
altri, è affiorata all’alba della Seconda Repubblica, all’indomani della
sconfitta della gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto. Non a caso, il
partito montiano del Pd ripete che la foto di Vasto (Bersani, Di Pietro,
Vendo-la) sarebbe il bis di quell’esperienza. Prima della candidatura di Romano
Prodi nel 1996, fu proprio Veltroni a lanciare il nome di Carlo Azeglio
Ciampi, ma questi ringraziò e rifiutò. Il Pds inseguì anche Mariotto Segni,
sempre per sottrarlo alla destra.
In quella zona grigia e bipartisan tra i due poli sono stati vari i nomi dei
leader intercambiabili prima di Monti, Passera e Montezemolo. Sergio
D’Antoni, quando lasciò la Cisl, fu corteggiato da destra e sinistra (oggi
è nel Pd). Ma la vera passione tra i postcomunisti sono i banchieri, causato
forse dal complesso della “sinistra stracciona”. Nel duemila spuntò l’ipotesi
di Antonio Fazio, governatore di Bankitalia. Disse Massimo Cacciari: “Ci
vorrebbe un cattolico democratico di alto profilo disposto a farsi carico del
problema di arginare questa destra che con le destre europee non ha niente da
spartire. Io vedo solo Antonio Fa-zio”. Oggi l’argine al “papa straniero” è
soprattutto Bersani, che vede tramontare la sua candidatura a premier ma più di
tanto, in pubblico, non ha osato. Questa la sua risposta a Veltroni su Monti:
“Il mio partito ha una proposta alternativa, non a Monti, ma alla destra. Poi
Monti e i suoi ministri potranno decidere con quale polmone respirare”. Appena
tre giorni prima aveva detto che Monti “non fa cose di sinistra”.
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