Difficile fare il normale sindacato. La Fiom
di Landini registra l'autoritarismo crescente nel governo e nelle
relazioni industriali.
Questa intervista è importante per molti motivi. In primo
luogo perché, partendo dalla "normalità" del conflitto sociale - tra
impresa e lavoro - si scopre che dall'altra parte (nel governo e tra le
imprese) sta cescendo la tentazione di annullare la "mediazione
sociale". Che in regime liberale e democratico si chiama "contratto",
quell'istituto in cui due interessi diversi convergono temporaneamente
per definire a quali condizioni e con quali oneri e per chi si
manterranno determinati rapporti. Se si salta la mediazione contrattuale
si arriva immediatamente all'imposizione autoritaria della forza,
all'esercizio sfrenato di uno strapotere che oggi sembra incontenibile.
Ma che contiene, come ogni rottura, anche gli elementi che ne preparano
il superamento (sul lungo periodo, sia chiaro), generando una diversa
dinamica conflittuale.
In secondo luogo, la Fiom si accorge - o decide ora di evidenziare -
che andamento delle relazioni industriali e politica marciano allo
stesso ritmo e sulla stessa strada. Il che segnala anche una separazione
forse irrecuperabile con la "politica" della fase precedente, con il
chiacchiericcio tatticista dei Bersani e o dei Vendola. Non si tratta
ovviamente di una rottura "soggettiva" (nemmeno la si vuole, da parte
Fiom, con ogni evidenza), ma della constatazione che l'azione dei
partiti classici non serve più a modificare nemmeno marginalmente le
scelte di governance decise a Bruxelles o Francoforte, non più a
palazzo Chigi. Ne deriva la constatazione, che facciamo noi, che la
politica intesa come attività finalizzata alla competizione elettorale
per "andare al governo" o per "battere Berlusconi" è arrivata a un
capolinea da cui non partono più autobus.
In terzo luogo, ed è importante, viene sottolineata la "natura di
classe" particolare di questo governo presuntamente tecnico: rendita
immobiliare e speculazione finanziaria sono le matrici di tutti i
ministri. nemmeno uno che abbia a che fare con la "produzione". E anche
questo ha un senso, se non si vuool fare solo un'analisi ideologica.
Un dettaglio che ovviamente nell'intervista non ci poteva essere:
tutto il governo e tutti i partiti che lo votano sono pronti a "spezzare
le reni" al movimento operaio. E poi si squagliano davanti
all'"insurrezione" dei tassisti... C'è qualcosa di malato, non vi
sembra?
«Questi sono toni autoritari»«I redditi dei ministri? Puntano su immobili e finanza, non l'economia reale»Francesco Piccioni, Il Manifesto
La sensazione - tra le sortite dei ministri e l'irruzione di Marchionne su Confindustria - è che si stia stringendo un cappio intorno alla condizione del lavoro e anche alla democrazia. Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, sta preparando uno sciopero generale dei metalmeccanici che ha in piattaforma anche le scelte del governo, a partire dall'art. 18.
Hai sentito le parole di Fornero?
Penso che queste affermazioni del ministro del lavoro e di Monti, che indicano la volontà di fare una riforma del mercato del lavoro anche senza il consenso delle parti sociali, o addirittura dei partiti che sostengono il governo, assumono preoccupanti toni autoritari. Riforme che vogliono durare nel tempo debbono essere costruite con il consenso dei soggetti che sono coinvolti. Non c'è coesione sociale senza un vero processo democratico. Nel merito: in questa fase, il problema è creare nuovi posti di lavoro. Trovo non accettabile e sbagliata l'idea di cancellare la cassa integrazione straordinaria (cigs) che è, e rimane, l'istituto utile per favorire processi di riorganizzione industriale senza aprire ai licenziamenti collettivi.
Chi finanzia la cig?
In generale è pagata con i contributi di lavoratori e imprese, non dallo stato. La possibilità di estendere gli ammortizzatori sociali - una nostra richiesta importante - si realizza se tutte le imprese e i loro dipendenti, di qualsiasi dimensione e settore, pagano un contributo per averla. Questa ossessione di considerare come problema ineludibile la modifica del diritto a essere reintegrati nel lavoro quando si è ingiustamente licenziati, è un altro tema che non c'entra nulla con la riduzione della precarietà e il creare nuovi posti di lavoro.
L'art. 18 divide anche Confindustria: Bombassei con Marchionne contro Squinzi.
Penso di non sbagliarmi se dico che la maggioranza degli imprenditori ritiene che il problema non sia l'art. 18. È una bugia pura dire che in Italia non c'è la possibilità di riorganizzare le imprese perché non si può ridurre in modo concordato il personale. La imprese non assumono perché non hanno da lavorare. Come si superano i ritardi del paese? C'è un problema di infrastrutture, un livello di corruzione altissimo, di illegalità e di evasione fiscale senza paragoni, un atteggiamento delle banche che non aiuta chi vuol fare impresa. È questo che sconsiglia gli investitori dal venire in Italia, non l'art. 18. Chi vuole abolirlo, non solo punta a licenziamenti individuali facili, ma soprattutto vuole modificare il sistema di relazioni sindacale. L'idea è cancellare la contrattazione collettiva come mediazione sociale tra impresa e lavoro.
Perché un Presidente di Confindustria dovrebbe dire «vogliamo licenziare solo ladri e fannulloni»?
Le trovo sinceramente affermazioni inaccettabili e irrispettose per la persone al lavoro. Descrivono un'idea piuttosto sballata delle relazioni sindacali e del lavoro.
Com'è il clima in cui state preparando lo sciopero del 9 marzo?
Tra i metalmeccanici stiamo riscontrando un consenso diffuso. Contro le scelte della Fiat, certo.Ma c'è anche un crescente dissenso sulle scelte di politica economica del governo. A partire dalla riforma delle pensioni, che viene percepita come una cosa contro l'occupazione giovanile, e che non tiene conto della diversità tra i vari lavori. E si pone un problema di democrazia. Chiediamo che il governo cancelli l'art. 8 della «manovra Sacconi» (che permette accordi ind eroga a contratti e leggi, ndr) e faccia una riforma che riduca davvero la precarietà, estendendo tutele e regole a tutti. C'è bisogno di un piano straordinario di investimenti, pubblici e privati, per cambiare il modello di svluppo. Non solo Fiat non sta più investendo in Italia. Grandi gruppi, persino pubblici come Finmeccanica, dicono di voler dismettere produzioni nell'energia civile o nei trasporti. Su questo c'è un vuoto preoccupante di iniziativa da parte del governo.
C'è una relazione col tipo di ricchezze denunciate da tutti i ministri attuali?
Da una lettura dei loro redditi mi colpisce il fatto che ci siano investimenti solo in operazioni immobiliari o finanziarie. Dà l'idea che in questi anni si è imposta una scarsa attenzione a investire su attività «reali». Dimostrano la necessità di un cambiamento culturale: svalorizzazione del lavoro e forza della finanza hanno portato molte persone a svalorizzare il ruolo dell'attività manifatturiera. Questo influisce sul tipo di logica con cui si guarda al «bene comune» del paese.
C'è consenso anche fuori dalle tute blu?
La difesa di un lavoro con diritti, la democrazia sui posti di lavoro, il superamento della precarietà, parlano a tutti, non solo a noi, Ci sono riscontri molto positivi con studenti, precari e movimenti costruiti in questi anni su una diversa idea di uscita dalla crisi. Da quello per l'acqua a molti altri soggett. Prevedo una grande manifestazione, il 9. Trovo invece preoccupante che un governo - eletto in Parlamento, ma non con un voto popolare - possa avere un atteggiamento vero il Parlamento o i partiti tipo «o fate come dico io, o ve ne assumete la responsabilità». C'è un problema anche per il governo, di rispetto delle regole della democrazia nel nostro paese.
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