Resi
pubblici i redditi dei componenti del governo. Ciò che colpisce non è
solo il quanto ma il come sono ricchi, spesso ricchissimi.
Domina
infatti la rendita, i “rentier” di marxiana memoria, a scapito del
lavoro ovviamente. Sono loro quelli veramente “immobilisti e
conservatori”, per questo ci odiano.
Da
ieri sono reperibili on line tutti i redditi dei ministri del governo
Monti, il quale è stato l'ultimo ad ottemperare a questa operazione
“trasparenza”. La sua dichiarazione infatti è arrivata soltanto
un'ora prima della "chiusura" prefessita. Ma occorre ammettere che è
dettagliata. Il reddito complessivo del presidente del Consiglio per
l'esattezza è di 1.515.744 euro nel 2010 ed uno stimato, per il 2011, di
1.010.000, che probabilmente non salirà nel 2012 avendo rinunciato al
compenso da premier e da ministro del Tesoro. Il suo patrimonio è
formato da appartamenti, uffici e negozi. Consistenti anche le attività
finanziarie: tra fondi comuni azionari e obbligazionari oltre che di
liquidità Monti può contare su oltre 11 milioni di euro divisi tra
Intesa San Paolo, Bnp Paribas, Ing e Banco di Brescia. La più ricca tra i
ministri è l'avvocatessa Paola Severino (Giustizia), con 7 milioni di
euro. Subito dopo, dichiarando la metà, il titolare dello Sviluppo
Economico Corrado Passera. Una disamina dei patrimoni dei ministri,
indica che la loro ricchezza si basa soprattutto su immobili e attività
finanziarie. Un dettaglio? Niente affatto.
Quello
che colpisce, infatti, non è solo il dato quantitativo della ricchezza
dei patrimoni dei “professori e tecnici” che compongono il governo
Monti. Che questo fosse un esecutivo di ricchi e ricchissimi lo si era
intuito dall'inizio. Che avrebbe dato priorità agli interessi dei ricchi
lo si sta verificando. Colpisce invece la “qualità della ricchezza” dei
ministri del governo Monti, perchè essa appare coerente con le
caratteristiche del capitalismo italiano centrato a stragrande
maggioranza sulla rendita piuttosto che sul profitto. Contraddizione in
termini? No. E' lo specchio fedele della realtà che – anche da un punto
di vista meramente capitalistico – ostacola e immobilizza lo sviluppo
economico del nostro paese. Il problema infatti è la struttura della
ricchezza privata – ben superiore al Pil che viene usato come indicatore
– e che vioene contabilizzata in circa 9.000 miliardi di euro.
La
impietosa e dettagliata radiografia della ricchezza privata è
documentata su Affari e Finanza di lunedi 19 settembre (vedi anche http://www.contropiano.org/it/economia/item/3469-la-rendita-anticapitalista-la-ricchezza-italiana-che-non-produce-sviluppo
), una radiografia che ci conferma come il principale ostacolo alla
crescita economica e sociale del paese sia la sua borghesia e le sue
caratteristiche parassitarie. “La ricchezza lorda delle famiglie
italiane alla fine del 2010 ammonta a 9 mila 732 miliardi di euro, i
debiti (sempre delle famiglie) a circa mille miliardi, la ricchezza
netta è quindi pari a 8 mila 700 miliardi” scrive Affari e Finanza. Si
tratta di una ricchezza molto superiore al Pil e al debito pubblico che
ci viene rovesciato addosso come ricatto sul futuro. Il problema,
ovviamente, è l'uso e la distribuzione di questa enorme ricchezza. “Per
capire perché questa immensa ricchezza privata non produce crescita,
dobbiamo guardarci dentro. Quello che troviamo già dice quasi tutto. Di
quei 9 mila 732 miliardi di patrimonio lordo il 57,8 percento è
rappresentato da immobili, il 4,9 per cento da beni di valore e da
impianti, macchinari, scorte, attrezzature, brevetti, avviamenti (le
cosiddette attività reali) e il 37,3 per cento da attività finanziarie”.
In sostanza, è questa ricchezza ad essere immobile, immobilizzata,
vincolata a produrre solo rendita. Non produce benessere perchè viene
tassata molto meno che il lavoro, non produce neanche profitti perchè
non viene investita nella produzione e nella tecnologia ma solo in
rendita immobiliare e finanziaria. La quota di ricchezza che la
borghesia stracciona del nostro paese destina alla produzione appare
infatti irrisoria: solo il 4,9%. Ma è su questa quota (e sui lavoratori
ad essa collegati) che i ministri del governo Monti non investono i loro
patrimoni – preferendo i settori che producono solo rendita immobiliare
e finanziaria – ed è su questa quota della ricchezza privata che si
abbatte la maggior parte dell'imposizione fiscale e dei provvedimenti
tesi a ridurre sempre di più il monte salari da destinare ai lavoratori.
Gli
uomini e le donne del governo Monti, dunque, sono coerenti con le fonti
della loro ricchezza e funzionali al carattere rentier e parassitario
della struttura del capitalismo nel nostro paese. Le loro battute
sprezzanti verso lavoratori, sfigati, giovani alla ricerca del posto
fisso, leggi che tutelano i diritti sociali, diventano ancora più
odiose, in tutti i sensi.... e reciprocamente, speriamo.
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