La discussione sulla legge elettorale deve partire
dalla drammatica perdita di fiducia nelle istituzioni. Metà del popolo
italiano non ritiene utile andare a votare e il prestigio dei partiti è
sotto zero. Per discutere di legge elettorale occorre quindi partire dal
fallimento della Seconda Repubblica.
Questa, da un lato, ha coinciso con un progressivo svuotamento di poteri
dello Stato a favore dei mercati finanziari e delle decisioni europee,
assunte al di fuori di qualsiasi percorso democratico. Non è un caso che
le politiche economiche dei diversi governi si
assomiglino sempre più e che oggi in Italia abbiamo addirittura un
governo che, lungi dall’essere tecnico, ci parla dell’obiettiva
convergenza dei più grandi partiti su queste politiche. La Seconda
Repubblica, nell’esaltare il tema dell’alternanza, ha in realtà visto
un’imbarazzante continuità sul versante delle politiche economiche.
Dall’altro, la Seconda Repubblica si è caratterizzata con il bipolarismo
e il porcellum, che hanno contribuito alla distruzione di ogni
prestigio della politica, dando vita a un parlamento di nominati. Anche
in virtù della contiguità di scelte economiche, la politica è stata
trasformata in una specie di tifo calcistico in cui si vota più contro la coalizione avversaria che a favore della propria.
La strada maestra per uscire da questa situazione è quella di partire dal popolo e non dalle forze politiche. Occorre ridare potere ai cittadini. Questo richiede una modifica delle politiche economiche ma impone – per quanto riguarda la legge elettorale – di ridare ai cittadini la possibilità di scegliere chi votare, senza costrizioni o voti utili di sorta: la strada maestra si chiama proporzionale, in cui i cittadini possano liberamente scegliere sia i partiti che le persone. Se le scelte più rilevanti sono fatte al di fuori dai parlamenti e dai governi nazionali, se i governi si muovono in una strada che è in larga parte segnata a priori, è necessario che i parlamenti abbiano almeno la funzione di rappresentare i popoli, senza sbarramenti o coalizioni che non hanno ragion d’essere.
Anche per questo, se la modifica della legge elettorale dovesse portare a un sistema fatto unicamente per conservare la posizione di rendita dei grandi partiti, ritengo necessario dar vita a una grande lista di sinistra in cui confluiscano la Federazione della Sinistra, Sel, l’Idv, comitati e associazioni della società civile e tutti coloro condividano il progetto, così come ha proposto in questi giorni anche Antonio di Pietro.
La strada maestra per uscire da questa situazione è quella di partire dal popolo e non dalle forze politiche. Occorre ridare potere ai cittadini. Questo richiede una modifica delle politiche economiche ma impone – per quanto riguarda la legge elettorale – di ridare ai cittadini la possibilità di scegliere chi votare, senza costrizioni o voti utili di sorta: la strada maestra si chiama proporzionale, in cui i cittadini possano liberamente scegliere sia i partiti che le persone. Se le scelte più rilevanti sono fatte al di fuori dai parlamenti e dai governi nazionali, se i governi si muovono in una strada che è in larga parte segnata a priori, è necessario che i parlamenti abbiano almeno la funzione di rappresentare i popoli, senza sbarramenti o coalizioni che non hanno ragion d’essere.
Anche per questo, se la modifica della legge elettorale dovesse portare a un sistema fatto unicamente per conservare la posizione di rendita dei grandi partiti, ritengo necessario dar vita a una grande lista di sinistra in cui confluiscano la Federazione della Sinistra, Sel, l’Idv, comitati e associazioni della società civile e tutti coloro condividano il progetto, così come ha proposto in questi giorni anche Antonio di Pietro.
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