mercoledì 22 febbraio 2012

Guerra in Confindustria, su quali interessi?

Il padronato italiano si divide. E non su questioni secondarie, ma sul tipo di “modello sociale” entro cui i diversi generi di imprenditori pensano di collocare il proprio business.

Lo scontro tra Bombassei e Squinzi per la presidenza di Confindustria, dunque, è un scontro politico a tutto tondo. Non a caso la questione dell'art. 18 ritorna anche in questo scontro. Le piccole-medie imprese rappresentate dal patron della Mapei, in stragrande maggioranza, non ne “soffrono”, e quelle sopra i 15 dipendenti, in goni caso, hanno una struttura di relazioni con i dipendenti di tipo “paesano”. Sono imprese in genere molto legate al territorio, dove il padrone, gli impegati e gli operai sono vicini di casa e magari si ritrovano la sera al bar. Imprenditori che avevano sposato Berlusconi con entusiasmo perché quel mix tra evasione fiscale, falso in bilancio, scappatoie furbette a ogni angolo della legislazione tornava loro utilissimo per racimolare profitti extra senza “spremere” troppo un personale per molti versi “incomprimibile”. La ragione non è moralistica o affettiva: i lavoratori dipendenti, propri o altrui, sono anche i “consumatori-tipo” delle proprie merci.
Al contrario, le grandi imprese multinazionali, o comunque export oriented, vedono nell'art. 18 l'ultima trincea difensiva sia dei delegati sindacali “veri”, sia dei singoli lavoratori che possono contraddire qualche ordine o anche solo “mugugnare” (per esempio: contro la velocità della catena di montaggio, i turni, gli straordinari obbligatori, ecc). Qui il potere aziendale è decisamente più impersonale, distaccato, deterritorializzato. Il mercato di sbocco è il pianeta, non questo specifico paese. Qui costruiscono, ma non sono obbligati a vendere “solo” qui.
Questa differenziazione va anche oltre la sfera produttiva e investe direttamente la sfera politico-istituzionale, ossia l'Italia che Monti e i poteri continentali vanno costruendo. È uno scontro interessante. Lo sarebbe di più se la nostra classe sociale riuscisse a far valere il proprio punto di vista con molta più forza – e soprattutto consapevolezza della posta in gioco - di quanto finora ha messo in campo.

Fiat, a volte ritornano
Tommaso De Berlanga, Il Manifesto
C'è qualcuno che sta peggio del Pd e della Cgil. È Confindustria. Lo scontro in atto in vista del rinnovo delle cariche - Emma Marcegaglia è in scadenza - si sposa alla perfezione con il «rinnovamento» in atto nelle relazioni industriali dopo l'irruzione del «modello Pomigliano» e l'uscita di Fiat dall'associazione degli industriali, e soprattutto con le «riforme strutturali» che il governo sta portando avanti. E la stessa Marcegaglia ne risente in modo pesante.
A Firenze, in quello che doveva essere un normale convegno nazionale di Federmeccanica, si sono avuti due segnali per molti versi chiarissimi. Il più importante è lo schieramento esplicito, pesante, dittatoriale, esercitato da Marchionne e dalla Fiat. Che - va ricordato - è uscita dall'organizzazione, e non paga più le quote pur di applicare un «contratto» diverso da quello nazionale. Ma soffermarsi sulla volgarità dello stile, in questo momento, è superfluo. «Bombassei è un uomo aperto al dialogo, all'innovazione e al cambiamento - ha scritto Marchionne dal suo altrove - Queste sue doti sarebbero molto utili a Confindustria che dovrà essere profondamente rinnovata per partecipare da protagonista alla modernizzazione del nostro paese, in linea con le riforme che il governo Monti sta portando avanti». Difficile essere più chiari. Su Squinzi, patron della Mapei, avversario di Bombassei e attualmente in vantaggio nella «campagna elettorale» interna, è stato gelido: «non mi posso pronunciare perché non lo conosco».
È lo scontro tra due tipi di imprenditori: quelli ormai completamente interni al mercato internazionale, che vedono nell'Italia solo un «luogo di produzione» a costi da comprimere il più possibile; e gli altri, che vedono nel paese sia l'aspetto produttivo che «il mercato di riferimento» per le proprie merci. Ai primi, della bontà delle relazioni industriali importa poco; per i secondi, avere in loco un «domanda solvibile» (clienti con i soldi in tasca) è invece fondamentale.
La tensione deve aver ormai raggiunto i livelli di guardia se Marcegaglia, uscente e quindi in teoria indifferente all'esito dello scontro, ha tenuto a sottolineare soprattutto due cose. Una rivolta manifestamente all'interno: «non distruggiamo Confindustria», perché «questa è un'istituzione forte e credibile», certamente «da migliorare, ma è l'unica casa che abbiamo». Quasi un'accusa aperta ai Marchionne che l'hanno abbandonata e dall'esterno ancora pretendono di deciderne orientamento e sorti.
La seconda, invece, è rivolta al sindacato e sembra a sua volta duramente condizionata dal conflitto interno agli industriali. «Noi vogliamo licenziare le persone che non fanno bene il proprio mestiere, gli assenteisti cronici, i fannulloni». Attenzione alle parole: qui non c'è la «questione politica» dell'art.18, c'è una torsione - squallida - della funzione delle leggi. Aggravata da un attacco frontale agli interlocutori che fin qui (digerendo persino l'«accordo del 28 giugno») avevano spianato la strada a una riforma peggiorativa del mercato del lavoro: «vorremmo avere un sindacato che non protegge assenteisti cronici, ladri e quelli che non fanno il loro lavoro».
Inevitabile la furiosa - anche se Twitter non sembra il medium più efficace, quando si vuol esibire una profonda rabbia per un insulto così grave - del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso: «È davvero troppo. Sono affermazioni non vere che offendono e mettono in discussione il ruolo del sindacato confederale. Le smentisca». Il cinico Raffaele Bonanni ha subito sfoderato il pugnale, ma non certo per difendere la Cgil: «Marcegaglia farebbe bene a precisare di quale sindacato parla». Un vero signore.

Il secondo strappo della Fiat per fare un vero partito
Rinaldo Gianola, L'Unità
Perchè Sergio Marchionne ha deciso proprio questo momento per entrare a gamba tesa nella corsa per la presidenza di Confindustria scegliendo il duro Alberto Bombassei? Perchè la Fiat entra in campo dopo aver sbattuto la porta ed essere uscita dall`organizzazione degli industriali? Forse il motivo è lo stesso per cui Emma Marcegaglia, che sta su un altro versante industriale, ieri si è lasciata andare a sorprendenti espressioni contro il sindacato, responsabile di difendere «fannulloni e ladri» grazie all`articolo 18.
Ed è proprio dall`articolo 18, autentica ossessione di parte delle imprese italiane e della nostra destra politica, su cui oggi si gioca non solo la riforma del mercato del lavoro, la contrattazione, pure un principio di libertà e di dignità, ma anche gli assetti futuri dei vertici della Confindustria e il mantenimento di un sistema di relazioni industriali finalizzato alla coesione sociale, al rispetto dei ruoli autonomi di rappresentanza, anzichè alla rottura e all`affermazione assoluta della prevalenza degli interessi dell`impresa sul lavoro. Da queste vicende, poi, usciranno anche più chiaro il profilo del governo Monti e l`esito della transizione politica nella prossima legislatura.
Il gesto di Marchionne che decide di appoggiare l`amico, il fornitore, il consigliere di Fiat Industrial, Bombassei per la Confindustria potrebbe apparire l`abbraccio della disperazione, la puntata dell`ultimo momento su un cavallo che arranca faticosamente dietro Giorgio Squinzi, il candidato che oggi appare in vantaggio. Ma c`è una battaglia da combattere. Per cambiare l`esito finale ci vuole una sorpresa, una mossa che sparigli le carte e scuota gli animi delusi ma arrabbiati di tanti imprenditori vittime consapevoli delle promesse mancate di Berlusconi. Ed ecco la scelta di Marchionne, il modernizzatore, apprezzato persino da qualche esponente di sinistra che si era illuso che Pomigliano sarebbe stata «un`eccezione» e ancora attende gli investimenti a Mirafiori rinviati al 2014, quando finirà il piano Fabbrica Italia, di cui però nessuno parla più perchè soldi, modelli e lavoro non si vedono.
È un impegno duro come testimonia il pressing di casa Fiat sulle aziende dell`indotto, che vale la pena continuare, perchè la vittoria potrebbe dare grandi soddisfazioni al Lingotto, ai fedeli sodali, compreso Luca di Montezemolo che sogna la politica, di un potere un pò appannato ma pur sempre rilevante. Il messaggio di Marchionne è chiaro. Cari imprenditori, volete che i contratti in stile Pomigliano diventino la condizione generale del rapporto tra aziende e lavoratore? Volete finalmente riconquistare il pieno potere in fabbrica, su turni, organizzazione, pause, contratti, sanzioni e licenziamenti senza che il sindacato possa contrastare o negoziare? Bene, Marchionne indica la strada dopo esser già uscito da Confindustria: votate Bombassei, che vuole rifondare l`organizzazione e se tutto andrà bene, magari più avanti anche la Fiat ritornerà nel cerchio magico confindustriale. Questa è la sfida, dal sapore di ricatto, della Fiat che, tuttavia, nella sua diaspora confindustriale per ora si è portata dietro solo l`onorevole Jannone del Pdl, titolare della Pigna. E nemmeno gli industriali torinesi sembrano appassionarsi tanto a Bombassei. Il capo degli imprenditori locali, Carbonato, ha confermato l`amicizia con Bombassei, ma l`associazione si asterrà perchè le voci sono assai diversificate.
Il passo di Marchionne è stato deciso non casualmente ieri.
Federmeccanica, che raccoglie gli industriali metalmeccanici come la Fiat e la Brembo di Bombassei, era pronta, infatti, ad annunciare la propria preferenza per Squinzi.
Lo stesso Bombassei non si è fatto vedere all`assemblea di Firenze di Federmeccanica perchè temeva che i suoi colleghi gli avrebbero riservato una brutta sorpresa. La scelta per Squinzi doveva essere annunciata con un`intervista al Sole 24 ore del presidente degli industriali meccanici, Pierluigi Ceccardi. Per Bombassei sarebbe stato il colpo finale, quasi un tradimento, ma l`intervento della Fiat sembra aver dato un po` di fiato al leader della Brembo che con i suoi sostenitori non lesina l`impegno per raccogliere consensi.
Un caso clamoroso, finora taciuto, è accaduto a Brescia. Il presidente dell`Associazione industriali, Dellera, che ha scelto Bombassei, ha minacciato l`espulsione del collega Pasini, presidente di Federacciai, «colpevole» di aver appoggiato Squinzi. Questa è l`aria che tira negli ambienti signorili di Confindustria.
Un segno che la posta in gioco è altissima, e non riguarda solo il vertice di viale dell`Astronomia.
C`è da chiedersi se gli imprenditori vogliono davvero seguire la strada indicata dalla Fiat, condivisa dal «rifondatore» Bombassei che porta dritti dritti allo scontro e alla rottura sociale. Per battere la recessione, ristrutturare le imprese, riorganizzare la produzione, le imprese vogliono davvero seguire l`opzione Marchionne e affidarsi a Bombassei? Attendiamo il risultato.


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