Secondo i dati elaborati dal ministero del Lavoro tedesco, a partire dal 2030 più di un terzo dei pensionati tedeschi dovranno cavarsela con 688 euro lordi al mese, una cifra che, per ammissione dello stesso ministro Ursula von der Leyen, costringerà il pensionato "a chiedere il sussidio statale di povertà"
Guadagnate 2.500 euro al mese e vi sembra poco? Godetevela finché
potete, perché il futuro potrebbe davvero grigio. A fare i primi conti
su come si trasformerà l’importo una volta in pensione,
ci hanno pensato i tedeschi che non la vedono affatto bene. E se i
ricchi piangono, o meglio, piangeranno, figuriamoci i poveri italiani
che ancora stanno cercando di orientarsi nei meandri del labirinto della
riforma previdenziale del ministro Fornero.
Ma partiamo con la Germania. Secondo i dati elaborati dal ministero del Lavoro tedesco, a partire dal 2030 più di un terzo dei pensionati tedeschi dovranno cavarsela con 688 euro
lordi al mese, una cifra che, per ammissione dello stesso ministro
Ursula von der Leyen, costringerà il pensionato “a chiedere il sussidio statale di povertà“.
E a ritrovarsi in questa situazione non saranno coloro che hanno svolto
un part time o lavorato con discontinuità, ma lavoratori a tempo pieno
che per 35 anni hanno percepito un salario lordo di 2.500 euro. La colpa
è della riduzione della percentuale di calcolo della pensione rispetto
allo stipendio, che nel 2030 sarà del 43% del salario netto, contro
l’attuale 51%, che garantisce a parità di stipendio una pensione di 816
euro.
Questi dati sono stati rivelati dall’edizione domenicale del quotidiano Bild,
che scrive anche che, in una lettera inviata ai giovani parlamentari
della Cdu, la von der Leyen sottolinea l’importanza di sottoscrivere una
pensione aggiuntiva privata finanziata totalmente dal
lavoratore. Secondo l’Ufficio statistico federale, più di un terzo degli
occupati tedeschi a tempo pieno guadagna meno di 2.500 euro lordi al
mese. Già oggi in Germania, dove dal 1998 è stato più volte riformato il
sistema previdenziale, si va in pensione a 65 anni (per poi salire
progressivamente a 67) e il costo del sistema previdenziale è pari al
10,5% del prodotto interno lordo, contro il 14,1% fatto registrare
dall’Italia.
Secondo i dati raccolti dall’istituto Hans-Böckler,
infermieri, panettieri, imbianchini, educatrici, commesse, camerieri,
operatori socio-sanitari e cuochi sono alcuni degli impieghi il cui
stipendio lordo medio è inferiore ai 2.500 euro. Tenuto conto del trend
demografico la von der Leyen non intende però modificare l’attuale
sistema pensionistico ma puntare sulle pensioni integrative. “Molti
lavoratori non si rendono conto che rischiano la povertà in vecchiaia e
che hanno assolutamente bisogno di una pensione integrativa per non cascare nella trappola della povertà una volta andati in pensione“.
I calcoli del ministero del Lavoro di Berlino si basano però solo sul
cosiddetto primo pilastro pensionistico, ovvero la pensione erogata
direttamente dallo Stato, a cui lavoratori e imprese versano contributi
mensili nell’ordine del 20% equamente distribuiti (10% il dipendente e
10% l’azienda, in Italia per contro il lavoratore versa il 10% e
l’azienda il 32%).
Nel sistema previdenziale tedesco esistono però
anche un secondo e un terzo pilastro, rispettivamente i fondi aziendali
e i fondi pensionistici volontari. Visto che i fondi aziendali sono
molto diffusi e danno un deciso contributo al totale della pensione dei
lavoratori, un confronto con l’Italia risulta
estremamente difficile. Nel nostro Paese infatti mancano i fondi
aziendali, mentre è stato da pochi anni avviato il conferimento del Tfr
ai fondi pensioni. Al di là delle differenze dei due sistemi
pensionistici, poi, c’è anche il fatto che in Italia oggi è impossibile
calcolare in maniera realistica l’importo della pensione che un
lavoratore percepirà nel 2030.
“Posso solo dire che per avere una pensione dignitosa, il lavoratore dovrà aver versato nel corso della sua vita lavorativa almeno 300-400 mila euro di contributi, una cifra molto alta – spiega Temistocle Bussino,
docente della Bocconi in materia previdenziale – Una cifra del genere è
difficilmente raggiungibile per un lavoratore dipendente, per chi ha
altri contratti di lavoro è sostanzialmente impossibile“. Per Bussino
anche in Italia, dopo il passaggio a un sistema esclusivamente
contributivo, è di fondamentale importanza una previdenza complementare
che vada a integrare quella erogata dallo Stato: “Allo stato attuale
delle cose, ma è molto probabile che cambino da qui al 2030, la
pensione è inferiore al 50% dell’ultimo stipendio percepito“.
Secondo
l’esperto, infatti, potrebbero cambiare i coefficienti legati alla
speranza di vita, così come non sono da escludere nuovi interventi sulle
pensioni. “Non credo che i futuri governi interverranno sull’età a cui
poter andare in pensione, perché la riforma Fornero prevede già che nel
2050 si possa andare in pensione a 70 anni, però non sono affatto da
escludere interventi sui coefficienti, in modo da ridurre l’enorme costo
del sistema previdenziale“, conclude Bussino. Insomma, anche i ricchi
piangono ma i poveri di più.
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