Eccolo qui, Giorgio Napolitano, di nuovo in campo, con tutta
l’autorità di un Presidente della Repubblica, per una “giusta causa”: la
messa al bando del Movimento No-Tav. Si badi: non delle iniziative
assunte da gruppi che nulla hanno a che vedere con il pur duro dissenso
dei valligiani e dell’ampio concerto di soggetti sociali che intorno
alle donne e agli uomini della Valle Susa si sono stretti. Il “frontale”
di Napolitano, l’invito esplicito alle “forze dell’ordine” alla
tolleranza zero, alla repressione più severa è nei confronti del
Movimento in quanto tale, perché ormai – secondo il Presidente – non
distinguibile dagli “obbiettivi criminali delle frange estreme”
cresciute ai margini della protesta che ne avrebbero”snaturato ogni
legittimo profilo di pacifico dissenso e movimento di opinione”. Il
pacco bomba inviato a un cronista del quotidiano La Stampa è stato
dunque l’occasione colta da Napolitano per imprimere un salto di qualità
nell’offensiva in atto per stroncare ogni resistenza alla realizzazione
del “mostro”. Poco importa che il giornalista de La Stampa medesimo
abbia subito e per primo voluto distinguere le responsabilità, evitando
ogni strumentale criminalizzazione dei No-Tav. Più in alto si ragiona
diversamente. Come più e più volte è accaduto nel nostro Paese, anche
ora lo stigma del terrorismo viene usato per bollare il conflitto
sociale e negare ad esso ogni legittimità democratica. Oggi, di questa
crociata autoritaria, si fa interprete il Presidente della Repubblica.
”Come ho avuto modo di osservare ricevendo di recente il Commissario
Virano e da lui apprendendo l’accrescersi dell’impegno di coloro che –
sindaci e cittadini – hanno originariamente dato vita a quel movimento,
non posso che condividere il più netto richiamo al superamento di ogni
tolleranza e ambiguità nei confronti di violenze di stampo ormai
terroristico” – ha concluso Napolitano nel suo comunicato – rinnovando
il proprio “apprezzamento per come magistratura e forze dell’ordine
stanno operando in quella tormentata area della Val di Susa”.
Apprendiamo dunque che per il Capo dello Stato una protesta è
legittima soltanto se si mantiene entro i confini del movimento di
opinione. Una concezione assai povera, diciamo pure conservatrice,
liberal-borghese, della democrazia. Una concezione che nega in radice
tutti quei conflitti sociali che da sempre sono stati il lievito del
progresso civile, aprendo le condizioni per il riscatto delle classi
subalterne e sviluppando la democrazia e la libertà per tutti. Anche
questo ci parla del regresso culturale che sta ammorbando l’atmosfera di
questo Paese. Un regresso al quale noi non intendiamo rassegnarci.
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