Dispiace che appuntamenti tanto importanti come quelli che si
susseguiranno a Roma tra oggi e la prossima settimana debbano vivere
distinti e separati, anzi quasi contrapposti. Eppure le manifestazioni
in programma sono connotate dalla stessa radicalità, da un vistoso
antagonismo, confinanti in molti contenuti, coincidenti per alcuni
aspetti, univoche perfino in varie sottolineature: soprattutto nel
rivendicare maggiore democrazia, diritti sociali, alternative di
politica economica. E inoltre gli stessi promotori, oggi discordi, in
più di un’occasione si sono nel passato ritrovati insieme e insieme
hanno organizzato lotte e mobilitazioni. Dispiace insomma questa cesura,
i cui motivi sono forse comprensibili a una lettura più ravvicinata dei
come e dei perché, alla luce di storie antiche e cronache recenti, ma
che in ogni caso sicuramente danneggiano quelle stesse ragioni alla base
delle rispettive scelte di manifestare. Ragioni che, al di là di
esitazioni, pudori e reticenze, possono essere sintetizzate nel
tentativo di sollecitare le innumerevoli energie sociali e culturali che
animano la scena nazionale ad autorappresentarsi e proporsi come una
grande coalizione sociale, una nuova soggettività politica
d’opposizione. Che è poi quella cosa di cui questo nostro maltrattato
paese avrebbe un enorme bisogno, ma che purtroppo, da tempo, non riesce
concretizzarsi. Se in fondo di questo si tratta, di smarcarsi
dall’avvilente deriva della sinistra che fu, di contrastare l’arroganza
assassina di governi servili, di fermare i processi autoritari, di
combattere la crisi economica con il lavoro e le tutele sociali, di
aprire insomma nuovi scenari democratici, allora è al dialogo e al
confronto che appare necessario ricorrere. Se al contrario si rinuncia
in partenza alla ricerca di una qualche comunanza, s’insiste anzi a
tracciare differenze e alterità e perfino a scambiarsi reciproche
scomuniche, diventa poi alquanto difficile recuperare senso generale e
avviare nuove prospettive. E purtroppo, di ora in ora, sembra montare
quella perversa dinamica di attribuire, ora agli uni ora agli altri,
intenzioni e moventi che spezzano ancor di più destini e percorsi.
Insinuazioni e accuse si susseguono: compatibilisti e compiacenti,
ruvidi e velleitari. E naturalmente ci si rinfaccia di agire al
contrario di quanto si proclami: chi di aiutare con le sue contiguità
l’attuale quadro politico, chi di offrirgli alibi repressivi con il suo
sterile estremismo. Si dirà che così vanno le cose perché così devono
andare, considerato l’irresistibile slancio divisivo della sinistra
italiana, che i più colti definiscono anche pulsione di morte . Quella
frammentazione identitaria che spinge a non riconoscere niente e nessuno
tranne se stessi. Quell’inconsapevolezza della propria forza che, se
omissiva, rischia di trasformarsi in irresponsabilità. Quella pigrizia
intellettuale che confina con la subalternità e a volte con
l’opportunismo. Quella mancanza di coraggio, figlia dell’insicurezza,
che rifugge le relazioni e impedisce le contaminazioni. Non ultima,
quella strenua competizione tra oligarchie e nomenclature che tormenta i
soggetti sociali non meno dei soggetti politici. Si sta consumando un
amaro paradosso. Più scolorisce, fino ad affievolirsi, il portato
storico della sinistra italiana, più si fatica a consolidare un processo
d’alternativa. Prigioniero di se stesso, quel che ancora a stento si
definisce centrosinistra è preda di un vortice suicidario in cui sembra
del tutto smarrirsi ogni vocazione al cambiamento, perfino ogni
allusione a mondi migliori e più giusti. Mentre è in continua espansione
una protesta sociale e culturale, che senza una nuova grammatica
politica rischia di restare senza sbocchi, se non qua e là ed
episodicamente, e ridursi a scaricare il suo potenziale in un
incollerito e sterile abbandono o a consolarsi nei propri ridotti sempre
più ridotti. Tutto ciò non suoni scoraggiante, alla vigilia di queste
manifestazioni, che anzi devono raccogliere il massimo del consenso e
della partecipazione: e in questo senso non mancherà certo il nostro
contributo. Ma resta il problema di come dar seguito alla protesta, di
come convogliare questo montante dissenso popolare verso un percorso
incisivo, un orizzonte condiviso. Un problema che si riproporrà a
maggior ragione all’indomani del successo delle manifestazioni. Un
grande vecchio, il sociologo Bauman, ha detto qualche giorno fa che il
futuro non esiste più, riecheggiando (chissà quanto consapevole) il no
future del movimento punk negli anni settanta. E ha aggiunto che non c’è
altra strada che costruirselo in proprio, il futuro. Anche per la
sinistra italiana è così: c’è da ricostruirla.
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