Sabato 12 ottobre e il 18-19 ottobre sarò in piazza a manifestare.
Attorno a queste due mobilitazioni si è creato un certo dibattito e
anche qualche contrapposizione. Dirò subito che non condivido le prese
di posizione che tendono a contrapporre le due manifestazioni – o
quantomeno a separarle nettamente – e ritengo al contrario necessario
costruire un forte dialogo tra queste. Innanzitutto penso che queste
manifestazioni siano due facce della stessa medaglia. Entrambe sono contro i progetti del governo,
che vuole manomettere la Costituzione, che riduce a precarietà l’intero
universo lavorativo, che non fa alcuna politica pubblica per la casa,
che vuole imporre a tutti i costi la Tav in Val di Susa, nonostante la
sua conclamata inutilità e la contrarietà manifesta della popolazione.
Si tratta quindi di due manifestazioni che oltre ad opporsi alle politiche del governo, propongono una alternativa:
l’applicazione della Costituzione a partire dai temi del lavoro, la
richiesta di una politica pubblica per garantire il diritto all’abitare a
tutti e tutte, una politica dei trasporti basata sul bene comune e non
sugli interessi privati di poche imprese. Ovviamente le due
manifestazioni sono convocate da generazioni diverse e su temi
parzialmente diversi, ma non è questo che divide. Mi pare che il punto problematico vero sia quello delle forme di lotta e al fondo il tema della legalità.
Posto che tutti condividiamo il no alla violenza sulle persone e la
scelta di avere percorsi democratici nella definizione delle azioni di
lotta – penso all’assemblea di valle del movimento No Tav in Val di Susa – credo sia necessario sottolineare due elementi:
In primo luogo sovente le lotte del movimento operaio hanno valicato il confine della legalità. Le lotte contro la legge truffa del 1953
sono per noi una pagina gloriosa della difesa della democrazia ma certo
hanno significativamente travalicato il rispetto formale della
legalità. Quando un corteo di lavoratori blocca i binari di una stazione
o fa un blocco stradale da luogo a una violazione della legalità, ma
non per questo ci sogneremo di condannare questa lotta.
In secondo luogo
perché la legalità costituzionale presuppone che sia possibile
instaurare una contrattazione tra le parti in causa al fine di
perseguire il bene comune. Ma oggi sovente chi gestisce il potere tende a
sottrarsi ad ogni forma di discussione per imporre la propria volontà. Pensiamo a quando Marchionne ricatta i lavoratori dicendo che o si lavora come dice lui oppure chiude le fabbriche. Pensiamo al tema della casa: in Francia
lo stato è proprietario di una grande quota di abitazioni e inoltre da
alle famiglie un contributo per chi deve cercare casa sul mercato. In Italia
non esiste nulla di tutto questo: lo stato ha svenduto tutto il suo
patrimonio e non ha alcuna politica per gli inquilini. Questo fa si che
le lotte per la casa in Italia si svolgano
principalmente nella forma dell’occupazione di edifici vuoti e di
picchetti finalizzati ad impedire l’esecuzione degli sfratti. Due forme
di lotta illegali non per una scelta estetica di chi li fa ma perché lo
stato italiano semplicemente non è disponibile a nessuna forma di
interlocuzione al fine di risolvere il problema sociale.
In questo contesto a me pare che il vero problema politico sia quello non di dividere i movimenti a partire dalle forme di lotta
ma piuttosto di aprire un dialogo per ragionare comunemente su come
rendere maggiormente efficace l’azione del complesso dei movimenti. Se
vi è un rischio, questo è dato proprio dalla “trappola dell’impotenza”,
che nel disastro prodotto dalla crisi può facilitare l’opera del governo
che cerca di trasformare le questioni sociali e politiche in problemi
di ordine pubblico.
Il tentativo di trasformare le questioni
sociali e politiche in un problema di ordine pubblico è il vero nemico,
ed è interesse di chi ha convocato tanto la manifestazione del 12 quanto
quella del 19 battere questo progetto. Il vero disegno eversore e
anticostituzionale è precisamente il tentativo di recintare il campo
della politica all’applicazione del neoliberismo, trasformando in
crimine tutto cosa si muove fuori e contro queste politiche. Per questo
ho condiviso la lettera aperta a Rodotà scritta da Lele Rizzo, attivista No Tav,
perché mi pare ponga correttamente il problema: dobbiamo evitare che il
governo restringa artificiosamente lo spazio democratico ponendo l’alternativa dell’integrazione o della criminalizzazione. Noi dobbiamo lavorare a cancellare questa linea di divisione, dobbiamo lavorare per costruire un dialogo tra i movimenti, per costruire uno spazio pubblico di dibattito sulle pratiche di lotta.
Perché la Costituzione
si può difendere e applicare in primo luogo se si apre un terreno di
confronto tra tutti coloro che lottano per i propri diritti, impedendo
la creazione di facili capri espiatori e di facili criminalizzazioni,
che alla fine travolgerebbero tutti e tutte.
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