Ieri
a Roma c’erano la bellezza di quattromila agenti a controllare la
manifestazione dei sindacati di base e oggi l’imponente e spropositato
dispositivo è stato persino rafforzato in vista del corteo di protesta
di movimenti no Tav e no Muos. La notizia dunque non è solo quella di un
movimento sindacale che cerca di uscire allo scoperto dopo essere stato
sterilizzato dalle grandi sigle ormai del tutto subalterne al potere,
ma anche la commovente trepidazione governativa in difesa di qualche
eventuale vetrina che si scontra ogni giorno con la realtà del
contemporaneo smantellamento dei servizi, delle tutele, dei diritti
compresi quelli degli uomini destinati a difendere il fantasma
dell’ordine pubblico come scenario per coprire il disordine morale,
l’impotenza ideale, il marasma economico del Paese.
Così mentre non è dato sapere quante delle vetrine salvaguardate manu
militari rimarranno aperte nel prossimo futuro grazie all’austerità
brandita come una clava dagli orbi del governicchio, viene da domandarsi
da dove nasca la fobia e il terrore della piazza che pure è uno degli
elementi naturali della democrazia la quale certo non può essere
sostenuta solo dalla rappresentanza come da oltre 40 anni vogliono farci
credere. Ma basta sfogliare un po’ di letteratura liberista, a
cominciare dal delirante von Hayek, autore preferito dai grandi
finanzieri e dai 200 mila potenti del mondo, per rendersi conto che la
piazza, il libero incontro delle persone in vista di un obiettivo, anche
confuso, è una vera spina nel cuore per le società oligachiche che si
vogliono costruire. Non per l’eventuale violenza che si può sviluppare,
ma per l’antidoto che l’insieme fisico delle persone costituisce alla
loro separazione individuale e divisione realizzata anche grazie ai
media. Inoltre la piazza costituisce la rappresentazione di un
malcontento che diventa palese e può far detonare quello sopito dalla
distrazione di massa che simula una pluralità d’idee, una maggioranza e
un’opposizione solo come spettacolo. Soprattutto è la dimostrazione
dell’esistenza in vita di concezioni e proteste generali non riducibili
alla verità unica e non esauribili a rivendicazione banale come quello
di un ufficio clienti.
La piazza insomma in questa fase è l’opposizione alla messa in scena
di uno scontro inesistente tra le valve di una politica mollusca: le
loro frizioni sono in realtà funzionali a proteggere l’ospite. Dunque
essa va demonizzata, fatta temere, raccontata come luogo di violenza
effettiva e potenziale. Mentre un cassonetto incendiato, assume le
proporzioni di un bombardamento, ad onta del fatto che esso provochi
assai meno danni di quanti non ne causi ai cittadini la tangente che su
di esso, con quasi matematica certezza, è stata pagata all’acquisto. Ma
le buste non s’incendiano e non fanno casino, non sembrano
potenzialmente pericolose quanto due cartoni avvolti dal fuoco,
soprattutto raramente si vedono. Ma anche se nemmeno un cerino viene
acceso e i manifestanti non fumano, la loro presenza intenzionalmente
collettiva in vista di richieste sociali è qualcosa di negativo in sé
perché è come una bestemmia per i profeti dell’uomo separato e
consumatore, a cui l’unica consapevole alienazione concessa è quella del
voto. Infatti i media ne danno ormai da anni un’immagine di evento
clandestino, ne parlano il meno possibile, come viene loro ordinato,
mentre sono capaci di cianciare per ore sulle tessiture orali di un
qualunque cretino.
Non è affatto un caso che l’Europa sia intenzionata ad intervenire
anche su questo e darsi regole estremamente restrittive, perché il
problema che c’è in Italia si riverbera, dappertutto, anche se con in
forme e con problemi peculiari. Se scendi in piazza non sei democratico,
questa è il severo monito di chi vuol distruggere la democrazia e dello
stato, come appunto preconizzava von Hayek della cui medaglia è stato
fregiato e sfregiato Monti, vuole conservare solo i poteri repressivi.
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