«Ci sono cose che vanno cambiate in modo
quasi violento, nel senso del procedimento, non della via men che
pacifica. Ci vuole un cambiamento radicale, strutturale, profondo su
tutto».
Per una volta ci
verrebbe di dire che siamo d'accordo con Matteo Renzi. E siamo stupiti
dal fatto che, sui giornali di oggi, nessuno abbia commentato, neanche
di sfuggita, il “salto di qualità” nella retorica del cosiddetto
premier. Evocare la violenza, infatti, di solito attira strali feroci,
alte lamentazioni,
lunghe tirate moralistiche. Se poi a farlo è un presidente del
consiglio “paracadutato” in quel ruolo dallo spirito divino (o più
probabilmente da quello finanziario-massonico), che vuole stravolgere la
Costituzione con il consenso di Hindenburg-Napolitano,
che si attira ogni giorno una nuova accusa di tentazioni autoritarie
(ci è arrivato persino Bersani, ormai)... l'evento meriterebbe almeno
una piccola riflessione.
Proviamo a farla noi.
Come scrive anche Loretta Napoleoni – parlando del capitalismo nel suo complesso, non della sola Italia - “Stiamo
vivendo in un sistema che non funziona più e come tutti i sistemi che
non funzionano devono auto distruggersi. Non c’è una soluzione o un
nuovo modello”.
Cosa vogliamo dire? Che questo sistema – aggravato qui in Italia da
storiche “anomalie” - è assolutamente indifendibile e chiunque si ostini
a “conservarne” pezzi passa facilissimamente dalla parte del torto. La
situazione sta diventando invivibile, al di là di ogni possibile
sopportazione, persino per quella parte di popolazione – il cosiddetto
“ceto medio” che vive di stipendio e di una casa di proprietà – che di
solito veniva portato ad esempio di benessere e virtù civiche, da
imitare e porsi come obiettivo di autorealizzazione. È lo stesso che ora
viene invece indicato come “egoista”, anacronistico, conservatore (per
l'appunto), in quanto cerca – molto debolmente – di non perdere tutto e
tutto insieme.
Bisogna
dire che i reazionari sanno fare benissimo il loro mestiere. Non
altrettanto si può dire dei comunisti, e non solo in questo paese. La
“difesa dei diritti” - sacrosanta – è il minimo sindacale, ma parla
ormai a un blocco sociale in via di estinzione se non si costruisce una
prospettiva di cambiamento generale, capace di accogliere i bisogni e
gli interessi di strati sociali già da venti anni messi fuori dal ciclo
“virtuoso” lavoro-contrattazione-salario-diritti. La prospettiva
“moderata” fin qui egemone anche nella sinistra cosiddetta radicale
(altrimenti detta “contrattazione a perdere”, o “menopeggismo”) è
arrivata a fine corsa. Può solo esibirsi in contorsioni ripetitive,
neppure più gratificate da un risultato elettorale positivo.
Quando Renzi dice di voler fare il Jobs Act per “occuparsi
di chi non si è mai occupato nessuno”, dei precari e dei co.co.co.,
punta esplicitamente a fare delle vittime principali dei governi degli
ultimi venti anni la massa di manovra
per un golpe, schiera muta cui viene chiesto soltanto consenso al
“cambiamento”. Che lui stesso definisce “violento”. Ma con una
“procedura pacifica”.
Che vuol dire “cambiamento violento con procedimento pacifico”? È un ossimoro, una contraddizione in termini.
E quando c'è una contraddizione in termini siamo sicuramente di fronte a
una menzogna gigantesca. Ricordate la “guerra umanitaria”, le “truppe
di pace”, ecc?
Diciamola così: la violenza nell'azione di governo è
certa. Punta a distruggere ceti sociali, istituzioni, meccanismi di
selezione della rappresentanza, culture, valori fondamentali. È insieme
economica, politica e anche ideologica. Resterà pacifica nelle forme solo se non incontrerà resistenza. Sarà una violenza dall'alto,
feroce nei fatti e “promettente” nella retorica. Come la cinematografia
dei “telefoni bianchi” sotto il fascismo mentre si preparava il macello
della seconda guerra mondiale, si riempivano le galere di antifascisti o
li si faceva assassinare persino all'estero. Ci stanno dicendo chiaro e
forte "basta con la democrazia, ostacola la crescita". E non saranno
molti quelli che si batteranno per la prima, come stiamo vedendo.
Qui tocca a noi. Sia chiaro: “noi” come classe,
sindacalismo conflittuale, soggettività politiche. Vanno cancellati i
ragionamenti soltanto tattici, di breve momento, finalizzati
all'autoconservazione dei piccoli gruppi, alla disperata ricerca di
qualche via di ritorno a una “normalità” che non solo è fattualmente
impossibile, ma ti iscrive di fatto nelle fila dei “conservatori”,
inutili a sé e agli altri.
Bisogna
resistere qui e ora, certamente, ma pensare sui tempi storici,
individuare e nominare la prospettiva. Il sistema non tiene più, i
reazionari alla Renzi stanno indicando una direzione di “cambiamento”
presentandola come l'unica possibile. Siamo capaci di indicarne una
opposta?
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