Saranno poliziotti, carabinieri ed altri corpi armati dello Stato a fungere da punta di diamante nella risposta del pubblico impiego alla negazione delle risorse necessarie per il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro e il ripristino di livelli salariali adeguati ai sensi dell’art. 36 della Costituzione?
Si tratta di categorie che, pur presentando indubbie specificità, rientrano a pieno titolo nel più ampio genus
degli impiegati pubblici. Essi sono peraltro addetti a funzioni di
grande delicatezza e importanza per la convivenza civile. La costante
riduzione non solo dei loro appannaggi salariali ma anche della quantità
e qualità degli strumenti indispensabili per lo svolgimento di tali
funzioni costituisce senza dubbio un pericolo per il futuro del nostro Paese. Di questo i poliziotti e gli altri tutori dell’ordine si rendono pienamente conto.
Viviamo in un Paese dove l’illegalità
costituisce una realtà quotidiana che si riflette in modo pesantemente
negativo sulla qualità della vita dei cittadini, sulla tutela dei beni
comuni, primo fra tutti l’ambiente, sulla sicurezza sociale, sulla
possibilità di reperire in modo equo e ben distribuito le risorse
necessarie ai poteri pubblici.
Un Paese dove le mafie, variamente denominate,
controllano buona parte del territorio nazionale, non solo nel
Mezzogiorno, nonché delle attività economiche e vedono il loro potere in
costante crescita, grazie all’enorme disponibilità di denaro liquido e
alla connivenza di settori della politica e dell’amministrazione.
Un Paese che destina all’acquisto di inutili e inaffidabili strumenti di morte come gli F-35
somme con le quali si potrebbe provvedere al risanamento dell’edilizia
scolastica e al pagamento dei rinnovi contrattuali per tutto il pubblico
impiego.
Un Paese che impiega le proprie forze dell’ordine per
funzioni di dubbia costituzionalità o di evidente stampo
particolaristico, come le scorte accordate a questo o quel personaggio,
la repressione indiscriminata, a beneficio esclusivo delle cricche,
delle popolazioni in lotta per i propri diritti alla tutela ambientale e
all’uso del territorio, come avviene in Val di Susa ed altrove,
l’amministrazione dei migranti che dovrebbe invece essere assunto in
toto dalle amministrazioni civili.
Un Paese che, per difetto di
mezzi economici o di adeguate impostazioni culturali, non è in grado di
formare un numero adeguato di poliziotti, carabinieri e finanzieri in
grado di operare efficacemente per contrastare i grandi flagelli che lo
affliggono, a partire dall’evasione fiscale e dalla corruzione, per non
parlare della piccola e grande criminalità. Con la conseguenza che la
bassa professionalità e la scarsa formazione giuridica e civile degli
operatori determinano episodi tragici, come le morti di Federico Aldrovandi
e delle altre troppe vittime di chi, non riuscendo ad essere un fedele e
professionalizzato servitore della collettività, si trasforma a volte,
troppe volte, in un killer esagitato indegno di portare l’uniforme. Da
ultimo il giovane Bifolco, barbaramente ucciso da un carabiniere a Napoli.
Vale
in fin dei conti per la sicurezza il discorso che si fa per la scuola,
la cultura, la sanità, i trasporti e tutti i servizi pubblici. La crisi fiscale
dello Stato causata da politiche precise volte ad esaltare il privato a
danno del pubblico che si attuano sia in ambito europeo che più
specificamente nazionale mette a repentaglio il Paese.
Poliziotti,
carabinieri, finanzieri sono stanchi di essere usati come strumento per
contenere le tensioni sociali dovute alla crisi e alla sua iniqua
gestione da parte dell’Europa e del governo. Di dover fungere a volte da
vere e proprie forze di occupazione militare, come avviene in Val di Susa o in certi quartieri di Napoli.
Tutti
temi sui quali occorre approfondire la discussione, a partire da quella
che deve coinvolgere in prima persona i componenti delle forze
dell’ordine. I quali intanto fanno sapere che sciopereranno
contro l’iniquo e anticostituzionale blocco salariale. Il primo
sciopero generale convocato da sindacati della polizia e
Cocer-interforze. Il governo non si illuda di poter mettere a tacere
tale giusta protesta facendo ricorso a qualche slide o a qualche annuncio presto smentito dai fatti. E neanche violando il diritto di sciopero
che costituisce un diritto fondamentale di ogni lavoratore. Compresi
quelli che fanno parte delle forze dell’ordine. Va infatti contestata,
anche mediante ricorso alla Corte costituzionale, la legittimità di una
norma come l’art. 84 della legge 1° aprile 1981, n, 121 che escludendo tout-court gli “appartenenti alla Polizia di Stato” dall’esercizio del diritto di sciopero, rappresenta un vulnus inaccettabile all’eguaglianza fra cittadini e lavoratori e al principio sancito dall’art. 40 dalla Costituzione.
Esistono peraltro spazi sia per l’esercizio di azioni di protesta nel
quadro della legge sia per significativi atti di disubbedienza civile.
L’importante è reagire. Tanto più che in gioco non ci sono solo pur
sacrosanti diritti salariali e contrattuali ma la sopravvivenza stessa e
il necessario miglioramento dello Stato che l’attuale cinico/demenziale
classe politica si accinge a peggiorare o a rottamare.
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