Appare utile socializzare la trascrizione dell’ormai famigerata risposta di Fausto Bertinotti a una domanda di Alessio Falconio, direttore di radio radicale (il video completo dell’intervista) nel corso del Todi Festival. La sintesi dell’intervento
messa on line dal quotidiano berlusconiano Libero ha suscitato una
marea di insulti sui social network. La cosa che più mi ha stupito non è
il dissenso o il consenso rispetto alle argomentazioni, ma che si
prenda sul serio un articolo di un giornale come Libero. E’ talmente
evidente la forzatura nella titolazione dell’articolo e dello stesso video messo in giro da Bechis che è incredibile che tante persone l’abbiano presa per buona.
Preciso
che non penso che Bertinotti sia soltanto vittima della manipolazione,
altrimenti avrebbe diffuso due righe chiarificatrici nelle ore
successive, almeno per precisare che – come si evince dal testo – non si
era dichiarato “comunista pentito”. Probabilmente gli ha fatto piacere
che la rabbia suscitata tra i compagni sui social network abbia attirato
comunque un minimo di attenzione. Dubito che sia la modalità migliore
per costruire percorsi di riflessione collettiva ma pare che da tempo
Bertinotti provi un certo gusto nel fare incazzare quelli che un tempo
affollavano i suoi comizi. L’intervento di Fausto non mi ha
particolarmente scandalizzato, forse perché mi son sempre considerato un
comunista/socialista liberale e libertario (consiglio la lettura di una
mia nota di 4 anni fa in calce al decalogo liberale di Bertrand Russell).
Varie cose non mi hanno convinto, ma prima di discutere e dissentire
nel merito (cosa che farò forse in un prossimo post) meglio leggere che
cosa ha effettivamente detto Bertinotti. Cerchiamo di far buon uso della
rete.
Alessio Falconio, direttore di radio radicale:
noi ci
siamo sentiti per telefono una sera per discutere di un pezzo che poi
sarebbe uscito il giorno dopo, un pezzo a firma Fausto Bertinotti, sul
quotidiano Il garantista che si rivolgeva a Marco Pannella in un momento
in cui ha reso nota la sua malattia che però non lo toglie affatto
dall’attività politica… e che cosa ha scritto Bertinotti in questo articolo?
“marxisti e liberali si sfidavano sul destino dell’uomo e della polis.
Oggi, dopo la grande sconfitta del movimento operaio, gli eredi di
quelle tradizioni sono chiamati a drastici ripensamenti. E persino a
mescolarsi”. Si riparte da qui?
Fausto Bertinotti: Io
credo di si. Vedi come torna la questione dello sguardo del vinto
giusto. Nel Novecento contro i totalitarismi… in realtà ci sono state
queste tre grandi culture. Una che proveniva dal cristianesimo politico,
cioè dalla dottrina sociale cattolica e poi dalla formazione delle
grandi formazioni politiche del mondo cattolico, partiti e sindacati, e
poi due grandi tradizioni diciamo laiche, una liberale, e una movimento
operaio di origine marxista. Queste sono state le tre grandi culture.
La mia opinione è che se passiamo dalle persone alle culture potremmo chiamare queste tre grandi tradizioni i vinti giusti.
Per ciò
che riguarda il cattolicesimo basta ascoltare le parole del pontefice
per verificare il fondamento di questo considerarsi sconfitto, parole
che usa quotidianamente e che secondo me gli stanno guadagnando il
consenso di mondi lontani dal mondo cattolico, è che davvero sembra di
assistere alla presenza nel mondo di una parola profetica. Delle tre
grandi componenti sembra essere l’unica che ha riacquistato una
vitalità. Non casualmente nasce da un atto rivoluzionario, cioè dalle
imprevedibili dimissioni di un papa. Fintanto che non era avvenuto
nessuno poteva immaginare che un papa si potesse dimettere. L’operazione
di rottura realizzata da Benedetto XVI ha consentito che si producesse
questa grandissima innovazione di un uomo che viene chiamato da un altro
mondo. Le parole che usa sono indicative di una sconfitta(…)
Le altre
due culture sotto scacco, naturalmente non sto parlando delle singole
persone, (…)so bene che nell’una e nell’altra tradizione esistono forme
di resistenza e di riappropriazione ma io sto parlando invece delle
grandi culture e quindi dell’espressione in grandi soggettività.
E’
evidente che noi oggi assistiamo a una desertificazione della politica
tanto che in un qualsiasi dibattito parlamentare è difficilissimo
rintracciare le tradizioni di queste grandi culture. Oggi in un
qualsiasi dibattito parlamentare dove sta la cultura liberale o la
cultura di origine marxista? Non saprei dirlo. Perché? Perché i nuovi
soggetti che stanno sulla scena hanno cambiato la loro natura. Hanno
cambiato la loro natura e sono rivolti non a realizzare una nuova idea
di società ma a guadagnare una posizione di governo. La politica si è
ridotta a questo rango, a una competizione a che arriva a governare, chi
vince. Si è banalizzata la vicenda politica, è come una gara sportiva,
conta chi vince.
(…) di
fronte a una sconfitta così bruciante io credo che nessuno di noi possa –
quandanche avesse forti nostalgie -pensare di ritornare al passato,
cioè non è che noi possiamo pensare di tornare a costruire il partito
liberale – che non c’è mai stato – di massa, o il partito comunista o
socialista. Questa ipotesi è impraticabile perché il novecento è finito.
In questo senso vinti giusti. Nel novecento avevano avanzato delle
suggestioni che potevano realizzarsi e infatti sono andate vicino a
realizzarsi qualche volta. Ma quando quel mondo finisce ed è finito
perché è cambiata la scena, è cambiata l’economia, la tecnologia, la
scienza, la comunicazione (…) Ci può essere qualche forzatura ma per
dire in che orizzonte ci stiamo collocando. Noi tutti siamo con un piede
in un mondo che è quello che conosciamo e un piede in un mondo che
fuoriesce totalmente da questo quadro di relazioni e di conoscenze.
Dunque la politica non può tornare indietro… io sono cresciuto con il
lavoro di sezione, della lega, con il rapporto diretto, con il comizio.
Credo di aver fatto migliaia di ore di comizi e non saprei immaginare la
politica diversamente. E anzi penso, come per tutti gli strumenti, che
alcune di queste forme sono destinate a essere rivitalizzate, così come
la stampa nei confronti della radio, così come la radio nei confronti
della televisione, così come la televisione nei confronti di internet,
ecc.
C’è
sempre una possibilità di rimodellamento ma…ma sei entrato in una nuova
scena. Questa nuova scena chiede una rifondazione delle grandi visioni
del mondo.
La sinistra che io ho conosciuto era… se a me chiedi: “ma per te che cos’è la sinistra?”. Per me la sinistra è la lotta per l’eguaglianza. La sinistra pensa che sia possibile raggiungere l’eguaglianza tra gli uomini, non l’eguaglianza delle opportunità che è una banalità, no! L’eguaglianza! Questa cosa che per me è importantissima e che ovviamente è legata all’idea di un soggetto che possa conquistarla questa eguaglianza. Come nasce l’idea di “proletari di tutto il mondo unitevi”? Nasce perché proletari di tutto il mondo unitevi perché voi che siete senza potere conquisterete il potere per farci tutti uguali. Il proletariato liberando se stesso libererà l’intera umanità. Quella cosa lì indipendentemente dai cento errori è finita con la sconfitta e il mondo a cui io appartengo – io appartengo a questo mondo! – questo mondo è stato sconfitto dalla falsificazione della sua tesi – crollo dell’Unione Sovietica – e da un cambiamento della scena del mondo che possiamo chiamare globalizzazione e capitalismo finanziario globale.
La sinistra che io ho conosciuto era… se a me chiedi: “ma per te che cos’è la sinistra?”. Per me la sinistra è la lotta per l’eguaglianza. La sinistra pensa che sia possibile raggiungere l’eguaglianza tra gli uomini, non l’eguaglianza delle opportunità che è una banalità, no! L’eguaglianza! Questa cosa che per me è importantissima e che ovviamente è legata all’idea di un soggetto che possa conquistarla questa eguaglianza. Come nasce l’idea di “proletari di tutto il mondo unitevi”? Nasce perché proletari di tutto il mondo unitevi perché voi che siete senza potere conquisterete il potere per farci tutti uguali. Il proletariato liberando se stesso libererà l’intera umanità. Quella cosa lì indipendentemente dai cento errori è finita con la sconfitta e il mondo a cui io appartengo – io appartengo a questo mondo! – questo mondo è stato sconfitto dalla falsificazione della sua tesi – crollo dell’Unione Sovietica – e da un cambiamento della scena del mondo che possiamo chiamare globalizzazione e capitalismo finanziario globale.
Nel
momento in cui questa scena viene cambiata io penso che la cultura
liberale che è stata attenta più di me – della mia cultura –
all’individuo cioè alla difesa dei diritti dell’individuo e della
persona contro tutto, il potere economico ma anche lo Stato, questa
cultura è indispensabile per intraprendere il nuovo cammino di
liberazione. Adesso ve la dico un po’ grossolanamente e vi chiedo scusa
ma io vengo da una cultura che – faccio fatica a dirlo – ma io
appartengo a una cultura che ha pensato che si potessero comprimere
almeno per un certo periodo dei diritti individuali in nome di una causa
di liberazione …per cui se dobbiamo in un certo periodo mettere la
mordacchia al dissenso “e vabè ragazzi miei è la rivoluzione”. Un grande
comunista italiano disse una frase terribile. gli dissero: “ma lei tra
la verità e la rivoluzione cosa sceglie?” e lui rispose “la rivoluzione è
la verità” che è la formula rovesciata rispetto a quella di Gramsci
che diceva che la verità è rivoluzionaria però non casualmente la
formula di Gramsci la dice prima di andare in carcere e la formula
successiva è quella di un mondo che sembrava conquistabile dal
comunismo. E’ chiaro?
Quindi
la mia storia, che è una storia grande, grande e terribile ma grande, ha
pensato che si potesse comprimere e non sto a dire adesso “ma a me
non”, è irrilevante. Quella storia ha accettato la compressione…adesso
la dico in termini tragici: ma l’intellettualità europea tra il ’45 e il
’50 è stata quasi tutta comunista, l’intellettualità! Jean Paul Sartre,
Gide, Camus, per parlare dei francesi. In Italia tutti! Tutti i registi
del neorealismo, i principali cattedratici italiani, i grandi
scrittori, le case editrici, bè adesso non mi dite per favore che non si
sapeva niente di cosa accadeva in Unione Sovietica e che bisognava
attendere il ’56 o Praga. In realtà…c’è una frase di Sartre – se uno
cita un comunista si dice vabbè – prendiamo Sartre, il maggiore teorico
europeo dell’esistenzialismo, quello che ha scritto i libri più
drammatici e alti sul valore della persona e dell’esperienza della
persona, quando Camus gli dice “ma scusa tu difendi l’Unione Sovietica,
ma come fai a difenderla con i processi barbarici che vengono fatti
contro i suoi dissensi interni?” Vi ricordate cosa rispose Sartre? Parlo
di Sartre insisto. Rispose: Io difendo l’Unione Sovietica “pour ne pas
désespérer Billancourt”, per non introdurre la disperazione a
Billancourt, per non introdurre la disperazione tra gli operai delle
grandi fabbriche francesi che devono potere – questo lo aggiungo io-
alimentarsi di un mito, il mito dell’Unione Sovietica. Se io gli tolgo
il mito quelli cadono nella disperazione. Quindi non questo o quello,
nella mia parte c’è dentro questa devoluzione, in nome della causa, dei
diritti individuali.
Io penso
che la cultura liberale che secondo me ha altre cose da farsi perdonare
per esempio la complicità con meccanismi di accumulazione capitalistica
che sono stati spesso letti acriticamente tuttavia ha in maniera
feconda difeso prima, scoperto poi, rivalutato poi, il diritto
individuale come incomprimibile e anche alcune vicende che a me
sembravano quasi un lusso – che so io i diritti di un popolo quasi
sconosciuto di non subire un’oppressione oppure le parole del Dalai
lama, le battaglie radicali – a me paiono assolutamente indispensabili
alla mia ricostruzione.
Se io
devo riprendere il cammino, nel mio bagaglio vorrei mettere insieme a
ciò che di meglio c’è nella mia tradizione rivisitata criticamente ciò
che viene portato da ciò che io considero più dialogante con me della
tradizione liberale come da quella cattolica. Io penso cioè che le tre
grandi culture eredi del novecento politico sono chiamate a rimescolarsi
e a andare oltre il dialogo, a accettare una contaminazione perché
abbiamo subito una sottrazione di capacità di premonizione del futuro.
In questo senso i vinti giusti sono uno sguardo di attenzione sul futuro
perché hanno perso nel loro tempo ma ciò che hanno guardato merita di
essere riguardato.
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