Quando si parla di povertà alimentare quasi automaticamente si pensa a
Paesi arretrati o in via di sviluppo. Il perdurare della crisi economica sta
tuttavia facendo riemergere bisogni primari legati all’alimentazione anche nei
Paesi più avanzati, con conseguenze sociali gravissime che non si
registravano dal secondo dopoguerra. Quest'anno, per esempio, il
Banco Alimentare, oltre alla tradizionale raccolta autunnale nei supermercati
italiani, ha dovuto fronteggiare il maggior bisogno con una colletta di beni
straordinaria prima dell'estate.
Partiamo dal presupposto che la povertà alimentare è riconducibile al più
ampio concetto di povertÃ
economica, che dall’inizio della crisi ha segnato un notevole aumento (Figura 1). Negli ultimi anni è infatti
cresciuto il numero di persone che, scivolate verso una condizione
socioeconomica peggiore rispetto al passato, si sono spesso viste costrette a
optare per il pagamento di spese “incomprimibili” - come affitto, rate del
mutuo, bollette, etc. – e operare tagli sulle spese “comprimibili” come,
appunto, quelle alimentari. Molte famiglie hanno cambiato le proprie abitudini,
limitando o evitando l’acquisto di determinati prodotti, mentre un numero
crescente di persone si è addirittura trovato nell’impossibilità di
comprare beni considerati di prima necessità (pasta, pane, latte, scatolame, etc.).
Chi oggi in Italia è colpito dalla povertà alimentare, dunque, non
necessariamente appartiene a fasce sociali tradizionalmente deboli ma, anzi, coloro i quali devono
ricorrere all’aiuto di realtà caritative che distribuiscono cibo agli indigenti
sempre più spesso sono esponenti del ceto medio, molti dei quali si sono
trovati disoccupati a causa del perdurare della crisi. In questo senso appaiono
significativi i dati Istat, che mostrano come tra il 2010 e il 2012 l'incidenza
della povertà relativa – parametro che indica la capacità di consumo
rispetto a una soglia minima nazionale calcolata su base statistica – è
passata dall'11% al 12,7%, arrivando a toccare 3.232.000 nuclei famigliari.
La povertà assoluta, ovvero l’impossibilità di acquisire beni e servizi che permettano uno
standard di vita ritenuto "minimo accettabile" nel contesto sociale
di riferimento, è invece passata dal 4.6% al 6,8%, interessando
1.725.000 nuclei famigliari (Figura 2). Oltre che tra le famiglie
di operai (dal 6,4% al 9,4%), la poverta` assoluta è aumentata tra coloro che
lavorano in proprio (dal 4,1% al 6%), tra gli impiegati e i dirigenti
(dall’1,4% al 2,6%) e anche tra imprenditori e liberi professionisti (dal 3,4%
al 4,9%).
Tuttavia mentre tra i lavoratori l’incidenza della povertÃ
assoluta è passata dal 3,5% al 5,5%, tra i disoccupati questo dato ha segnato
un aumento molto più consistente, passando dal 12,8% del 2010 al 23,6% del
2012.
A
confermare lo stretto legame tra l’aumento della povertà economica e l’aumento
dei bisogni alimentari primari sono i dati di AGEA, l’Agenzia per le Erogazioni
in Agricoltura, che periodicamente provvede a distribuire gli aiuti economici
provenienti dall’Unione Europea ai maggiori enti caritativi che operano in
contrasto all’indigenza .
I dati relativi alle erogazioni garantite da questo organismo risultano
utili a capire la reale incidenza della povertà alimentare nel nostro Paese e
possono essere confrontati con i numeri precedentemente citati. In soli due
anni, tra il 2010 e il 2012, gli indigenti assistiti grazie al sostegno di AGEA
sono passati da 2.763.379 a 3.686.942, segnando un aumento del 33.4%,
pari a 923.563 unità (Figura 3).
E’ interessante vagliare questi dati prendendo in considerazione le diverse
aree geografiche cui fanno riferimento. Nel Nord del Paese il numero degli
indigenti assistiti è passato da 797.939 a 987.042, aumentando di 189.103
unità , ovvero del 23,7%; al Centro da 537.068 a 669.163, in aumento di 132.095
unità , +24.6%; nel Mezzogiorno da 1.428.342 a 2.030.268, in aumento di 601.926
unità , + 42,14% (Figura 4).
Se si opera un confronto tra la
popolazione residente in queste aree e il numero di persone assistite il dato
risulta ancora più impressionante.
In media in Italia circa 5.560 persone ogni 100.000 residenti devono
ricorrere a forme di sostegno alimentare: al Nord sono in media 3.552 , al
Centro 5.543, nel Mezzogiorno 9.850 (Figura 5).
In soli due anni, tra il 2010 e il 2012, quasi 1 milione di persone in
più si sono trovate catapultate in una situazione di indigenza tale da dover ricorrere al
sostegno di organizzazioni benefiche che distribuiscono derrate alimentari.
Attualmente gli ultimi dati relativi al numero di individui sostenuti
attraverso questi canali fanno riferimento al 2012, ma se si tiene conto dei
peggioramenti registrati a livello generale risulta molto probabile un
ulteriore, drastico peggioramento della situazione.
Gli ultimi dati Istat sulla povertà in Italia, pubblicati nel luglio 2014 e
riferiti al 2013, mostrano infatti una crescita preoccupante di diversi
indicatori che fanno propendere verso questa ipotesi. Mentre rispetto al 2012
l’incidenza della povertà relativa tra le famiglie è rimasta stabile a livello
nazionale – passando dal 12,7 al 12,6% – la povertà assoluta risulta in forte
aumento. Rispetto al 2012 quet indicatore è passato dal 6,8% al 7,9%
coinvolgendo 2.028.000 famiglie (+302.000) pari all’incirca a 6 milioni di
individui. Le regioni del Sud si confermano ancora come le più colpite
dal fenomeno: in un solo anno l’indicatore nel Mezzogiorno ha registrato un
balzo notevole passando dal 9,8 al 12,6%.
Questo significa che circa la metà dei poveri assoluti presenti sul
territorio nazionale risiedono nelle regioni del Sud e nelle Isole: su 6
milioni 20 mila persone in povertà assoluta, 3 milioni 72 mila si trovano nel
Mezzogiorno. Tra il 2012 e il 2013 sono aumentate di oltre 750 mila unità .
Non ci sarebbe dunque da stupirsi se anche i dati riferiti agli aiuti
alimentari, che speriamo possano presto essere disponibili, segnassero un
ulteriore espansione sulla falsa riga di quelli relativi alla povertà .
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