L’ottimismo di plastica del premier è scosso dalla scoperta che anche i poteri forti gufano, certificando tra l’altro come inutili le riforme “epocali” già in campo. Renzi veste i panni del cavaliere senza macchia e senza paura, e si appella al popolo. Ma il governo è in affanno.
È fallita la fondamentale scommessa europea, e il semestre di presidenza italiano scorre nella indifferenza di tutti. Della agognata flessibilità non v’è traccia, e i falchi del nord affilano becchi ed artigli. Arriva invece una stangata di una ventina di miliardi, che colpirà anche servizi essenziali. La ripresa si allontana, i pochi mesi diventano mille giorni. Una lunga quaresima, anche per i credenti più robusti.
L’Italia del XX secolo, con due guerre mondiali e 20 anni di fascismo, ha saputo affrontare duri sacrifici in condizioni terribili. E perfino un sonnacchioso Prodi ha galvanizzato il paese sull’entrata nell’euro, bene o male che fosse. Oggi, manca a Renzi un progetto compreso e condiviso dal popolo cui si appella. In realtà, un progetto Renzi c’è. Ma si volge primariamente al come mantenersi al governo, e non sul che fare con i poteri di governo. Un progetto per i governanti, non per i governati. Lo vediamo in filigrana negli scontri sulle riforme istituzionali insieme a quello sul superamento dell’art. 18.
Si può mai seriamente sostenere che si perseguono obiettivi di giustizia sociale ed eguaglianza togliendo i diritti a chi li ha? E perché le barricate, se l’art. 18 è un pezzo di archeologia politica e sindacale che non tutela nessuno? Se non difende il lavoratore, nemmeno offende il padrone.
La questione dell’art. 18 ha due punti focali: l’indennizzo, e il reintegro nel posto di lavoro. Il governo alza la barriera sul secondo, e non sul primo. Perché? L’indennizzo ha la valenza individuale di un ristoro economico per il lavoratore leso nei suoi diritti. Il reintegro va oltre. Cancellarlo significa consentire al padrone di liberarsi dei lavoratori scomodi, che turbano l’esercizio del potere di comando senza giungere a comportamenti che darebbero causa per un licenziamento. Chi oserà mai parlare sulle condizioni di lavoro, le misure di sicurezza, lo sfruttamento? Chi rischierà di organizzare i compagni di lavoro nella protesta? Si coglie allora che cancellare il reintegro è funzionale all’espulsione del sindacato. Togliendo l’ostacolo all’allontanamento del militante sindacalizzato, è un colpo alle organizzazioni dei lavoratori. Un disegno complementare al plateale rifiuto governativo della concertazione.
Qui vediamo il nesso con le riforme istituzionali. Si colpisce la rappresentatività del parlamento, con un senato non elettivo, e una legge elettorale che con premi ipermaggioritari e soglie altissime toglie voce a milioni di cittadini e pone ostacoli difficilmente superabili ai newcomer. Ma colpire il parlamento significa colpire i soggetti politici che in esso agiscono, e trovano la sede per rivolgersi al paese. L’esito ultimo è indebolire le forme organizzate della politica, che si chiamino partiti, movimenti o quant’altro. E bisogna considerare che altri colpi sono stati già inferti, con la cancellazione del finanziamento pubblico, e il ricorso a primarie aperte, incompatibili con qualsiasi modello di partito organizzato. Una primaria aperta ha dato a Renzi il potere assoluto sul Pd, facendo prevalere il voto dei non iscritti su quello degli iscritti. E la storia continua con la raffigurazione del partito come luogo in cui una maggioranza comanda e una minoranza obbedisce.
Vanno nel mirino le organizzazioni politiche e sindacali. La partita in atto è indebolire o azzerare i corpi intermedi che la Costituzione definisce come formazioni sociali entro le quali si svolge la personalità (art. 2), oltre che strumenti di partecipazione (artt. 3, co. 2, 39, 49). Per questo è un progetto sul come mantenersi al governo. Punta a liberare i governanti dalla fastidiosa incombenza di tener conto di quello che il paese pensa, nelle sedi in cui si forma una volontà effettivamente collettiva, e non in ordine sparso, magari attraverso una mail gabellata come consultazione popolare.
Non basta richiamare, a sostegno, le colpe di partiti e sindacati. Ancor meno basta la pubblicità ingannevole sul consenso del 40% del 58% degli aventi diritto nelle elezioni europee. È in gioco la partecipazione democratica assunta in Costituzione a fondamento della Repubblica, direttamente contrapposta al populismo plebiscitario e leaderistico. E il dibattito sull’art. 18 nella direzione Pd potrebbe avere rilievo oltre la specifica questione.
Sono queste le preoccupazioni che conducono gufi e parrucconi a parlare di autoritarismo strisciante. Certo, i poteri forti gufano da destra, e per altri motivi. Renzi ne trae l’orgoglio di non avere padroni, o padrini. Prendiamo atto. Vogliamo solo essere sicuri che non si senta padrone di noi tutti.
MASSIMO VILLONE
da il manifesto
Nessun commento:
Posta un commento
Di la tua