martedì 30 settembre 2014

Art. 18: Ma in che società siamo ridotti a vivere? di Maurizio Scarpa



licenziato
Ma in che società siamo ridotti a vivere? Una società che monetizza la discriminazione, la prevaricazione, il ricatto. Quanto mi costa compiere un’ ingiustizia? Tre mensilità? Sei giovane, vali poco; la tua schiavitù la posso comprare con poco. Un anno di stipendio? Sei vecchio, mi costi di più ma ne vale la pena. Ti sbatto fuori e mi prendo uno schiavo più giovane, più prestante e produttivo. Sei donna e hai avuto l’ardire di andare in maternità? Quando torni, lascio passare sei mesi e poi a casa senza rottura di palle di congedi e permessi… Sei malato. E pretendi di stare nella mia fabbrica? Io ho bisogno di gente che lavora!
Ingiustizia non solo è fatta, ma si spaccia a piene mani e si può comprare legalmente. E’ divenuta una merce come un’altra, ha il suo prezzo e, tutto sommato, a buon mercato. La legge, senza più ritegno e senza cercare alibi, si adegua al volere dei prepotenti.
Io datore di lavoro ho potere di vita e di morte sul tuo reddito. Lo posso ammazzare con una semplice lettera di licenziamento. E se, insieme al tuo reddito, uccido anche la tua dignità di cittadino/ lavoratore, che possiamo farci? è un effetto collaterale. In fondo, anche le bombe intelligenti ammazzano e, come si sa, i padroni non brillano neppure per essere intelligenti. E’ il mercato bellezza.
E’ vero, è il mercato che dispiega, in tutta la sua evidenza, la sua mancanza di valori, di etica. Uno stato fondato sul libero mercato che non ha più cittadini ma sudditi. Schiavi in cerca di reddito. Ricattati e succubi di chi ha il potere di offrirti un lavoro. Schiavi sì perché, con il totale libero arbitrio nel potere di licenziare, anche leggi, contratti di lavoro, Costituzione divengono carta straccia. Sei suddito e non cittadino perché non ti puoi permettere di esigere i tuoi diritti. Il potere del ricatto è più forte dello stato di diritto.
Ma da sempre “filosofia” si coniuga con la matematica. Allora guardiamo qualche dato che cementa i mattoni di questa prigione che stanno costruendo intorno a noi.
Sappiamo tutti che l’articolo 18 della legge 300 è oramai un simulacro di quello che il legislatore nel lontano 1970 scrisse. Già oggi, dopo la riforma Fornero, la tutela contro il licenziamento senza motivo si è drasticamente ridimensionata. Questo è un passaggio del Corriere della Sera (che oggi sostiene pancia a terra Renzi) del 13 aprile 2013 “Oltre un milione di persone sono state licenziate nel 2012. Per l’esattezza: 1.027.462, con un aumento del 13,9% rispetto al 2011. È quanto si evince dal sistema delle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro. Nel solo ultimo trimestre sono stati 329.259 in un aumento del 15,1% sullo stesso periodo 2011.
I DATINell’intero 2012 sono stati attivati circa 10,2 milioni di rapporti di lavoro a fronte di quasi 10,4 milioni cessati, nel complesso, tra dimissioni, pensionamenti, scadenze di contratti e licenziamenti. I licenziamenti registrati nel periodo riguardano sia quelli collettivi, sia quelli individuali (per giusta causa, per giustificato motivo oggettivo o soggettivo).”
Basterebbero queste brevi righe per smentire tutti gli ipocriti, dai politici ai baroni universitari, che parlano di inaccettabili impedimenti per le imprese nell’interrompere un rapporto di lavoro.
Si parla di 10 milioni, dicasi dieci milioni di cessazioni (quindi compresi i contratti a termine) e ben 1 milione di licenziati di contratti a tempo indeterminato. I lavoratori dipendenti privati occupati del 2012 sono stati 12.288.047 (dato INPS), conseguentemente ben l’ 8,35% degli occupati con contratto a tempo indeterminato, nel solo anno 2012, è stato raggiunto da una lettera di licenziamento. Quasi uno su dieci. Questo sarebbe un mercato del lavoro “ingabbiato” da lacci e lacciuoli”. Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò.
Nel 2012 i dati dicono che i disoccupati sono cresciuti di 165.457 unità (-1,3%), ma questo numero non rende giustizia. Una parte importante di quel milione di licenziati con contratto a tempo indeterminato è certamente andata ad ingrossare le file dei contratti a termine. Se i dati statistici (volutamente nascosti) ci fossero forniti scopriremmo che le ore complessivamente lavorate in meno ci direbbero che il lavoro disponibile è diminuito molto, ma molto di più di quelle 165 mila unità dichiarate per il 2012. E se questo calcolo fosse esteso a tutto il periodo della crisi 2008/2014 scopriremmo che le ore di lavoro di lavoro perse, tramutate in posti di lavoro, sarebbe qualche milione .
Che dire in conclusione? Che si è creato uno stato autoritario fondato sull’arbitrio, sul ricatto, sulla passività dei cittadini.
Che fare? La semplicità che è difficile da farsi: proletari e proletarie di tutto il mondo unitevi!

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