Alla vigilia della presunta "battaglia" nella direzione del Pd, oggi pomeriggio, Renzi si è fatto omaggiare da Fabio Fazio - ormai un'imitazione di Bruno Vespa - per sparare tutto quel che aveva e ha da dire contro i lavoratori. Come sempre, si è esibito in un vortice di rovesciamenti ("voglio abolire la precarietà" è quasi un record...), ma qualcosa di chiaro stavolta gli è uscito fuori. In fondo, per quanto si sia bravi a mentire, se la cosa è troppo grossa non si può coprire.
Citiamo dunque:
A Renzi è scappato di bocca esattamente questo concetto, sia pure nelle forme ambigue che gli sono proprie: "Questo diritto che c'è arriva da un giudice, noi vogliamo cancellare questo. Non voglio che la scelta di licenziare o assumere sia in mano ad un giudice, deve essere in mano all'imprenditore".
Nella democrazia liberale - non nel "socialismo" - il giudice applica la legge; e la legge (un sistema di leggi) regola in genere anche i rapporti tra datori di lavoro e dipendenti. Dire che i giudici non devono metter naso sui licenziamenti (soltanto quelli "senza giusta causa", peraltro) signfica dire che non ci deve essere alcuna legge che impedisca all'imprenditore di fare ciò che vuole cn le persone che lavorano per lui. Punto. Significa presentare come "futuro", e addirittura "speranza", la situazione che c'era nell'Ottocento e fino alla metà nel Novecento. Il passato remoto come futuro, non c'è male come "innovazione".
Sulle menzogne, invece, non si è davvero risparmiato, anche quando ha ilustrato alcune cose vere. Per esempio:
Un esempio può servire a chiarire ancora meglio: se un impiegato o funzionario di un partito di sinistra si rivela in realtà un fascista o un infiltrato, chi mai può costringere quell'organizzazione a tenerselo? Vale anche per un partito cattolico o liberale, naturalmente, alle prese con "dipendenti infedeli". Anche gli impiegati della Chiesa, infatti, non sono coperti dall'art. 18; ma Renzi non l'ha mica nominata... In una organizzazione politico-sindacale, insomma, ci si lavora solo se c'è condivisione degli scopi. Nel lavoro dipendente "normale", nella produzione di merci, questo non è necessario. Io possofare auto per Marchionne anche se sono comunista e gli auguro quotidianamente qualche brutta malattia.
Renzi, nelle se sparate retoriche, salta tutti questi passaggi, semplifica, si veste dei luoghi comuni dell'ignorante qualunque. E utilizza al meglio anche la caduta di qualità nel "lavoro sindacale" (e nei partiti politici), nella perdita di "senso della missione" che animava (e dovrebbe animare) quel lavoro. E' un fenomeno in atto da tempo (quanti di voi conoscono gente che "lavorava in Rifondazione", o "lavora in Cgil", e ne parla come di un posto di lavoro qualsiasi, in cui l'unica cosa che conta è lo stipendio?), un degrado della politica che ora viene spazzato via, come i rifiuti in mezzo alla strada.
Lo diciamo sapendo che siamo dentro un cambio di regime, per molti versi inarrestabile perché moltissimo di quel che c'è - sul piano istituzionale, legislativo, delle rappresentanze storiche - è assolutamente indifendibile e odiato dalla stragrande maggioranza della popolazione. Il sindacato "complice" si è guadagnato l'odio e l'ostilità persino dei suoi iscritti, a forza di cedere pezzi sempre più consistenti di diritti, salario, certezze; a forza di accettare precarietà, esternalizzazioni, differenze di trattamento ignobili. La stessa minaccia di uno "sciopero generale", agitata da una contraria agli scioperi come Susanna Camusso, suona assolutamente poco credibile perché esplicitamente condizionato all'eventualità che "il governo decida con un decreto". Persino ora, insomma, la Cgil si preoccupa solo del proprio "ruolo politico", del suo poter sedere a un tavolo di trattativa, piuttosto che del "merito" del Jobs Act.
Una melma in cui Renzi (chi lo ha selezionato e messo nel posto che occupa) è cresciuto come un tumore che ora passa, ramazza tutto e fa pagare i conti a qualcun altro.
Citiamo dunque:
"Noi non cancelliamo semplicemente l'art 18, ma tutti i co.co.co, co.co.pro, cancelliamo il precariato e tutte quelle forme di collaborazione che hanno fatto del precariato la forma prevalente del lavoro. Questo diritto che c'è arriva da un giudice, noi vogliamo cancellare questo. Non voglio che la scelta di licenziare o assumere sia in mano ad un giudice, deve essere in mano all'imprenditore. L'importante è che lo Stato non lasci a casa nessuno".Sui contratti precari affonda nel burro. Le 46 forme contrattuali che centrodestra e centrosinistra hanno regalato alle imprese dalla metà degli anni '0 ad oggi, non sono servite davvero a "rilanciare la crescita"; hanno solo creato un paio di generazioni di lavoratori poveri, ricattati, senza diritti e senza pensione. Dire di voler "superare" questa situazione è insieme facile e demagogico: quei tipi di contratto non servono più alle imprese (hanno complicato il lavoro degli uffici del personale), ma soprattutto con il "contratto unico a tutele crescenti" (e senza più l'art. 18) la precarietà diventerà universale. Se un imprenditore può licenziare chiunque, in qualsiasi momento, gli si ridà in mano un potere di ricatto totalitario.
A Renzi è scappato di bocca esattamente questo concetto, sia pure nelle forme ambigue che gli sono proprie: "Questo diritto che c'è arriva da un giudice, noi vogliamo cancellare questo. Non voglio che la scelta di licenziare o assumere sia in mano ad un giudice, deve essere in mano all'imprenditore".
Nella democrazia liberale - non nel "socialismo" - il giudice applica la legge; e la legge (un sistema di leggi) regola in genere anche i rapporti tra datori di lavoro e dipendenti. Dire che i giudici non devono metter naso sui licenziamenti (soltanto quelli "senza giusta causa", peraltro) signfica dire che non ci deve essere alcuna legge che impedisca all'imprenditore di fare ciò che vuole cn le persone che lavorano per lui. Punto. Significa presentare come "futuro", e addirittura "speranza", la situazione che c'era nell'Ottocento e fino alla metà nel Novecento. Il passato remoto come futuro, non c'è male come "innovazione".
Sulle menzogne, invece, non si è davvero risparmiato, anche quando ha ilustrato alcune cose vere. Per esempio:
"Il sindacato è l'unica impresa che sta sopra i 15 dipendenti e non ha l'articolo 18. È il sindacato, che poi ci viene a fare la lezione".E' vero che i sindacati, così come i partiti politici, possono licenziare e non c'è un diritto al reintegro sul posto di lavoro. Perché la legge - quel che Renzi vuole eliminare - permette questa differenza di trattamento? Per un buon motivo: il "lavoro nel sindacato", così come quello in un partito politico, non ha (non dovrebbe avere) come obiettivo la produzione di un bene vendibile, ma è un'attività di rappresentanza sociale e/o politica. Un'attività dichiaratamete "di parte", politica in senso stretto e non "neutra" come produrre auto, formaggio o buste paga. Cosa significa? Che se un impegato o funzionario, in un sindacato o in un partito, è "incompatibile con le finalità particolari" che caratterizzzano quel partito o quel sindacato può venire "licienziato" e nessun giudice può farlo rientrare.
Un esempio può servire a chiarire ancora meglio: se un impiegato o funzionario di un partito di sinistra si rivela in realtà un fascista o un infiltrato, chi mai può costringere quell'organizzazione a tenerselo? Vale anche per un partito cattolico o liberale, naturalmente, alle prese con "dipendenti infedeli". Anche gli impiegati della Chiesa, infatti, non sono coperti dall'art. 18; ma Renzi non l'ha mica nominata... In una organizzazione politico-sindacale, insomma, ci si lavora solo se c'è condivisione degli scopi. Nel lavoro dipendente "normale", nella produzione di merci, questo non è necessario. Io possofare auto per Marchionne anche se sono comunista e gli auguro quotidianamente qualche brutta malattia.
Renzi, nelle se sparate retoriche, salta tutti questi passaggi, semplifica, si veste dei luoghi comuni dell'ignorante qualunque. E utilizza al meglio anche la caduta di qualità nel "lavoro sindacale" (e nei partiti politici), nella perdita di "senso della missione" che animava (e dovrebbe animare) quel lavoro. E' un fenomeno in atto da tempo (quanti di voi conoscono gente che "lavorava in Rifondazione", o "lavora in Cgil", e ne parla come di un posto di lavoro qualsiasi, in cui l'unica cosa che conta è lo stipendio?), un degrado della politica che ora viene spazzato via, come i rifiuti in mezzo alla strada.
Lo diciamo sapendo che siamo dentro un cambio di regime, per molti versi inarrestabile perché moltissimo di quel che c'è - sul piano istituzionale, legislativo, delle rappresentanze storiche - è assolutamente indifendibile e odiato dalla stragrande maggioranza della popolazione. Il sindacato "complice" si è guadagnato l'odio e l'ostilità persino dei suoi iscritti, a forza di cedere pezzi sempre più consistenti di diritti, salario, certezze; a forza di accettare precarietà, esternalizzazioni, differenze di trattamento ignobili. La stessa minaccia di uno "sciopero generale", agitata da una contraria agli scioperi come Susanna Camusso, suona assolutamente poco credibile perché esplicitamente condizionato all'eventualità che "il governo decida con un decreto". Persino ora, insomma, la Cgil si preoccupa solo del proprio "ruolo politico", del suo poter sedere a un tavolo di trattativa, piuttosto che del "merito" del Jobs Act.
Una melma in cui Renzi (chi lo ha selezionato e messo nel posto che occupa) è cresciuto come un tumore che ora passa, ramazza tutto e fa pagare i conti a qualcun altro.
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