E' già finita l'alzata di testa della Cgil davanti al Jobs
Act di Renzi & co. Anzi, il ducetto di Pontassieve parte alla
carica contro i malpancisti interni al Pd, certo di non trovare alcuna
resistenza efficace.
Il sindacato guidato da Susanna Camusso, con una "moderna" raffica di
tweet, ha provato a mettere in atto la solita stupida tattica abituale
ai tempi della concertazione: "parliamone, ma senza diktat". La
traduzione è ormai nota: Vi daremo molto, praticamente, ma lasciateci il
ruolo di interlocutori. Non hanno capito - o ancora ben metabolizzato -
che la Troika e Renzi hanno chiuso con l'epoca della rappresentanza;
quindi anche con la presenza del "sindacato generale", un soggetto
riconosciuto come rappresentante dei lavoratori quale figura sociale che
andava tenuta dentro il patto costituzionale.
La tattica cigiellina, insomma, punta insomma ancora a "ricostruire
le condizioni della fase precedente", quella più nota e abituale. Una
coazione a ripetere che ha introiettato determinate relazioni e le
conseguenti movenze e sembra non riuscire a capire la dimensione del
rovesciamento in atto. Una tatticha che somiglia a quella iniziale degli
umani in "Indipendence day", i quali - sotto l'attacco dei
crudelissimi alieni - chiedono all'unico nemico catturato "cosa possiamo
fare per dialogare con voi?". Sentendosi rispondere "dovete morire".
Due logiche e due strategie opposte, dunque: quella del compromesso come
regola "normale" e quella della guerra in cui non si fanno prigionieri.
Non c'è dubbio su chi andrà la vittoria...
Certo del facile successo sulla Cgil, infatti, lo staff renziano
parte subito all'attacco della "sponda politica" del sindacato complice,
ovvero le minoranze sofferenti all'interno del Pd, gli ex Pci che hanno
realizzato il capolavoro di portare alla testa del partito quei
reazionari "moderni" che ora li vogliono muti o fuori.
La "lettera agli iscritti" che campeggia su tutti i siti ha lo stesso
obiettivo e gli stessi contenuti del video anti-Cgil. Un concentrato di
menzogne, ideologia neoiberista presentata come "nuovismo", salti
logici e slogan ripresi pari pari dalla letteratura degli "autonomi"
(garantiti/non garantiti).
Sul fronte interno, per esempio, c'è la santificazione della
"vittoria di maggio", l'ossessiva ostentazione di quel "40,8%" che gli
avversari interni - i D'Alema e i Bersani - si potevano soltanto
sognare; e che quindi possono essere facilemnte accusati di "volerci
riportare al 25%". Per un partito dove ormai il successo era diventato
un valore, indipendentemente dal programma e dai valori, è un'accusa
mortale.
Sul piano programmatico, invece, la lettera riprende la montagna di
menzogne con cui il renzismo prova presentare il Jobs Act come una "cosa
di sinistra". Leggiamola:
Il 29 settembre presenterò in direzione nazionale il JobsAct. Dobbiamo attirare nuovi investimenti, perché senza nuovi investimenti non ci saranno posti di lavoro e aumenteranno i disoccupati. Ma dobbiamo anche cambiare un sistema ingiusto che divide i cittadini in persone di serie A e di serie B e umilia i precari. Chi oggi difende il sistema vigente difende un modello di diseguaglianze dove i diritti dipendono dalla provenienza o dall'età. Noi vogliamo difendere i diritti di chi non ha diritti. Quelli di cui nessuno si è occupato fino ad oggi.
Come nelle peggiori provocazioni dei
servizi segreti si mescolano fatti veri e falsi vergognosi. Il sistema
attuale è infatti certamente e visibilmente "ingiusto". AI lavoratori
assunti con contratto a tempo indeterminato e coperti da contrattazione
nazionale sono ancora riconosciuti alcuni diritti. Pochi, incerti,
sempre meno; così come sono sempre meno i contratti nazionali di lavoro
rinnovati. Ai precari, invece, nessun diritto. E' un sistema
indifendibile, mostruoso, che critichiamo e contro cui lottiamo da
vent'anni, che va rivoluzionato usando il criterio dell'equità verso l'alto; ovvero dando più diritti
a tutti. I renzi-boys, al contrario, hanno contribuito a crearlo,
stando nei partiti o nelle amministrazioni che hanno lentamente
stravolto le relazioni industriali e la legislazione sul lavoro. E ora
si coprono col criterio dell'equità - ma nell'azzeramento, verso il basso - per coprire il coltello che tengono in mano.
Dove sono le menzogne vere? Certamente
ai Bersani e ai D'Alema (e ai Prodi, ai Berlusconi, Sacconi, ecc) va
imputata fino alla morte la legalizzazione del mercato nero del lavoro
avvenuta col "pacchetto Treu" e la "legge 30". Ma certamente i cani
rabbiosi che si sono intruppati dietro Renzi hanno fatto una parte
importante nella creazione legislativa dell'"ingiustizia". Con la faccia
di tolla di chi sembra dire "io non c'ero" - falso anche sul semplice
piano anagrafico - Renzi e i suoi ministri scaricano solo sugli
avversari del momento ogni responsabilità. Così come hanno fatto con la
Cgil ("dove eravate mentre si creava la disparità?"; al tavolo di
concertazione,certo).
Ma è forse vero che il Jobs Act vuole "difendere
i diritti di chi non ha diritti"? L'analisi che che tutti noi - e anche
gli imprenditori - abbiamo condotto dice esattamente l'opposto. Questo
golpe legislativo contro i diritti dei lavoratori punta a creare un sistema coerente dove nessuno possiede più diritti certi. Né quelli che prima ne avevano, né quelli che non li hanno mai avuti.
La retorica di Renzi è criminale e
reazionaria perché - mentendo in modo spudorato e promettendo quel che
non farà mai - punta a utilizzare la rabbia dei precari come una vandea
sociale contro il lavoro tutelato; travolgendo così non tanto o non solo
i sindacati "complici", quanto la possibilità di ogni lavoratore -
attuali precari compresi - di difendersi dalla prepotenza padronale, di
contrattare salario, orario, ritmi, modalità del lavoro, ecc.
Vediamo un paio di punti chiave.
L'art. 18, il "totem ideologico", nella
pratica quotidiana sui posti di lavoro è "solo" una difesa dall'arbitrio
padronale che copre soprattutto quei lavoratori che si assumono il
rischio di organizzare sindacalmente gli altri dipendenti. Fatti salvi
dunque i casi di "discriminazione" (colore della pelle, religione,
preferenze sessuali, ecc), peraltro tutelati in ogni paese
industrializzato, anche se con strumenti normativi differenti (in genere
leggi sui diritti civili), l'art. 18 ha "protetto" finora i delegati e i
lavoratori che non chinano la testa a ogni urlaccio del padorne o del
capetto. Cancellarlo, insomma, serve solo a garantire il comnado
assoluto sulla forza lavoro, senza distinzioni. Quindi non dà alcun
diritto a chi non ne ha, ne toglie uno - decisivo - a tutti.
Ancora peggio con la possibilità del
"demansionamento". Un qualsiasi lavoratore dipendente, fin qui, ha
svolto la sua attività sapendo di essere stato assunto per svolgere un
determinato lavoro ("mansione"), definita nel contratto collettivo e
retribuita a seconda delle competenze necessarie per svolgerla (per "il
merito", dunque"). Un "quadro" o un fresatore specializzato non può
insomma esser messo a spalare detriti, magari "per punizione". Non è
invece mai stato possibile - ne mai lo sarà - che un manovale o un
facchino sia messo improvvisamente a svolgere mansioni superiori; per il
buon motivo che il datore di lavoro non si fiderebbe a farglielo fare
(si può sempre imparare, e per questo è prevista - e normata - la
formazione professionale, l e progressioni di carriera, ecc).
La possibilità di "demansionare",
insomma, è sempre diretta verso il gradino inferiore. Un modo per
diminuire il salario, rafforzare il ricatto sul dipendente (un "mobbing"
legalizzato), vanificare la contrattazione collettiva (che definisce le
mansioni e la loro retribuzione), "isolare" il singolo lavoratore
davanti al capo o al padrone.
Anche in questo caso, insomma, non si dà
alcun diritto a chi non ne ha; si elimina invece un diritto
"sistemico", eguale per tutti.
I renziani potrebbero dire a questo
punto: "ma noi - per esempio - concediamo il diritto alla maternità per
le lavoratrici precarie che fin qui non si potevano permettere questo
'lusso'... E' falso anche questo. Si può anche scrivere in un testo di
legge che una donna con contratto di "collaborazione continuativa" o "a
progetto", ecc, ha diritto a un periodo di maternità senza perdere il
lavoro. E' facile, e i codici di questo paese sono strapieni di norme
anche bellissime ma inattuate.
Il problema reale è che si lavora nel
mondo reale, in un "sistema di regole" scritte e non scritte. Se, come
fa il Jobs Act, si elimina ogni possibilità di contrattazione collettiva
e si liberalizza il licenziamento arbitrario, nessuna "norma sulla
maternità" potrà essere davero esigibile. Chi è che andrà a chiedere un
diritto scritto sulla carta se è certo di poter essere sanzionato -
licenziato - per averne chiesto l'applicazione? Sono decenni ormai che
le donne, in molti posti di lavoro, si vedono imporre all'atto
dell'assunzione una "lettera di dimissioni in bianco", che provvederà
poi il padrone a completare e rendere esecutiva in caso la lavoratrice
rimanga incinta. Chi impedirà a quel padrone di licenziarla?
Sono solo singoli punti di un "disegno
organico", chiarissimo. Di fronte al quale la Cgil "complice", gli ex
Pci "liberali", i vendoliani stanchi e persino molti "antagonisti", si
muovo come gattini ciechi speranzosi di tornare al tran tran precedente.
Non succederà.
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