Ora: è vero che Ferruccio De Bortoli è già stato licenziato (uscita
prevista in primavera) quindi potrebbe anche fottersene dei suoi
azionisti. Ma in effetti è difficile non vedere che qualcosa è cambiato,
negli ultimi due mesi, nei cosiddetti poteri forti. O, se preferite
meno complottismo, nei salotti in cui si incrociano grossi imprenditori,
banchieri e proprietari dei media. Categorie che peraltro in Italia
sono intrecciatissime e complessivamente composte, a star larghi, da un
centinaio di persone.
Un centinaio di persone che, sia chiaro, seppure con interessi simili
non sempre hanno un’anima e una voce sola, né hanno sempre strategie
chiarissime. Ricordo bene il sospetto e le divisioni con cui accolsero
Berlusconi, vent’anni fa, dopo aver puntato tutto su Giorgio La Malfa o
almeno Mariotto Segni. Poi quasi tutti si adeguarono, lo abbracciarono,
marciarono con lui: fino a mollarlo bruscamente nel 2011, terrorizzati
fra l’altro che dal berlusconismo si uscisse bruscamente con Vendola
premier – questi erano i sondaggi, allora, e questo dicevano le primarie
e le elezioni amministrative di quell’anno – e allora dal cappello
spuntò Monti.
Dopo il flop di Monti (non solo elettorale), si sono attaccati a
Enrico Letta, «ultima spiaggia», pure lui sgonfiatosi però in pochi
mesi.
Poi, si sa, è seguito l’innamoramento per Renzi. Che univa al
dinamismo e alla trasversale popolarità anche il vantaggio di provenire
da un partito di sinistra, o almeno sedicente tale: e da sempre i
nocchieri dell’economia sanno che solo un governo “di sinistra” può fare
riforme di destra senza scatenare la piazza.
Di qui la soffocante unanimità con cui i media (quasi tutti ) hanno
accolto ed esaltato Renzi nei primi sei mesi di governo. Un coro che ha
un solo precedente, almeno nella mia memoria: il periodo della
“solidarietà nazionale”, tra la fine dei ‘70 e l’inizio degli ‘80
(oddio, erano stati imbarazzanti anche i peana iniziali per il governo
Monti, ma almeno lì, ogni tanto, lo bastonavano i berlusconiani offesi
per lo spodestamento).
Negli ultimi due mesi, però, è successo qualcosa: già si annusava prima, l’editoriale del Corrierone ne è solo la conferma.
E’ successo, probabilmente, che il Salotto dei cento – per capirci –
ha iniziato a incrinarsi. A dividersi. Tra chi ancora decisamente punta
su Renzi: come ad esempio Marchionne; e chi invece pensa che il premier
sia una bolla di blabla destinata a scoppiare lasciando ignoto e
macerie, ma anche violenti conflitti sociali per loro tutt’altro che
auspicabili.
Qui, a occhio, siamo.
Per questo credo che sia un po’ naif, con permesso, considerare oggi
Renzi un eroe su cavallo bianco che sfida i poteri forti: semplicemente,
una parte di questi ultimi teme, dopo aver puntato tanto su di lui, che
non riesca a mettere in atto i loro propositi, che sia solo chiacchiere
e distintivo, che produca solo disastri; quindi questa parte sogna la
Troika, o qualcosa di simile. Mentre un’altra parte continua a
“endorsarlo”, sperando che porti a termine senza troppe bizze ciò a cui
loro puntano.
E tifare per l’una o per l’altra curva di questo salotto, credo,
sarebbe ugualmente sciocco, per chi ha invece il dovere e l’urgenza di
costruire progetti e possibilità diverse tanto da Renzi quanto dalla
Troika. Perché, sia chiaro, il Salotto dei cento è certo influente ma
non è una Spectre onnipotente né è il motore immobile dell’universo:
come invece piace pensare a chi con questo alibi giustifica la propria
rassegnazione.
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