Ha
preso il via ieri a Ghilarza la prima scuola internazionale estiva
sull’autore dei «Quaderni del carcere». Un’intervista allo storico
Gianni Francioni, uno degli organizzatori dell’incontro
Antonio Gramsci, con una forza speculativa e coerenza
esistenziale difficilmente eguagliabili, è stato colui che ha
mostrato al mondo come l’individuo che agisce possedendo una teoria
che supporti tale azione (nesso inscindibile e reciproco di teoria
e praxis), smette per ciò stesso di essere un ingranaggio di
ideologie, dogmi e superstizioni che vorrebbero degradarlo da
fine a mezzo per scopi che non sono i suoi. Qui ritroviamo anche il suo
messaggio pedagogico. Ne parliamo con Gianni Francioni, storico
della filosofia a Pavia e tra i fondatori della Ghilarza Summer
School, la prima scuola internazionale di studi gramsciani.
Quale ritiene sia il metodo opportuno con cui
cogliere l’insegnamento essenziale del teorico sardo, in un contesto
così autorevole e ambizioso?
Come per tutti i «classici», anche Antonio Gramsci può e deve
essere letto in ogni epoca e da ogni angolo visuale con la massima
libertà. Ciò che la Ghilarza Summer School (Gss) si prefigge, è di
dare un contributo affinché tutto ciò sia realizzabile nelle
migliori condizioni. Di più: la Gss aspira a diventare il punto di
riferimento degli «studi gramsciani» nel mondo. Si è discusso molto,
qualche anno fa, su come si dovesse «studiare» Gramsci, oscillando
tra un approccio totus politicus e uno, quasi per
contraccolpo, «depoliticizzato». Ma è un’alternativa sbagliata:
trattare Gramsci come un classico non significa confinarne il
lascito in uno spazio bonificato, pacificato. Al contrario, nella
Gss riteniamo che studiare i testi di Gramsci e la loro
collocazione nel tempo che fu loro, con gli strumenti della critica
filologica e della storia del pensiero, sia una precondizione
affinché la loro politicità possa emergere con nettezza, e il
lettore possa oggi avere tutti gli strumenti per apprezzarne il
significato. Un’operazione democratica, anti-retorica e, se vuole,
anti-autoritaria.
In questi tempi di anniversari si stanno
celebrando le figure storiche del comunismo italiano, a partire
da Togliatti e Berlinguer. Ma la figura di Gramsci, tra i fondatori
del Pci, non è meno importante, tanto che a livello internazionale
si moltiplicano gli studi sul suo pensiero e la sua azione politica.
Certamente, anche se su questo punto probabilmente occorre
distinguere Gramsci in quanto co-fondatore del PCd’I nel 1921, suo
ri-fondatore nel 1923–26 e infine in quanto autore dei Quaderni del carcere.
Quest’ultimo Gramsci, come riconobbe Palmiro Togliatti nel 1964, non
appartiene solamente al Pci ma anche alla cultura italiana (e oggi
possiamo senz’altro aggiungere europea e mondiale). È necessario
anche aggiungere che grazie a Gramsci possiamo oggi rileggere le
vicende del comunismo mondiale dell’età di Stalin sfuggendo alle
classiche alternative tra marxismo orientale o occidentale, tra
Stalin e Trockij, tra dittatura e democrazia. Il progetto dei Quaderni
fa emergere in modo assolutamente imparziale grandezza e limiti
di quella stagione. Un fatto, mi pare, straordinario, soprattutto
se consideriamo la difficoltà che un compito del genere presenta
agli storici odierni.
Alcune interpretazioni recenti, a dire il vero
soltanto italiane, hanno proposto un Gramsci in forte contrasto
con Togliatti e con l’ortodossia comunista in genere. Fino a parlare
di un approdo del pensatore sardo alla teoria liberale, con tanto di
un Quaderno inedito, sapientemente nascosto dalla dirigenza
comunista, in cui egli avrebbe manifestato tutto il proprio
dissenso. Lei cosa ne pensa?
Sul preteso mistero del quaderno scomparso mi sono pronunciato
pubblicamente in un articolo pubblicato dal quotidiano «l’Unità»
il 2 febbraio 2012. Lì chiarivo che il salto di numerazione dei
quaderni da parte di Tatiana accade per un suo errore materiale nel
momento in cui, dopo la morte di Gramsci, intraprende la
catalogazione del suo lascito. Preferisco non tornare sui
dettagli di quella spiegazione. Del resto, si può disputare solo se
tra i disputanti – come ben sapevano Aristotele e dopo di lui gli
scolastici – esistono comuni presupposti metodologici. In ogni
caso, la commissione per lo studio dei quaderni gramsciani,
nominata dalla Fondazione Istituto Gramsci e della quale ho fatto
parte insieme a Franco Lo Piparo, Luciano Canfora, Giuseppe Cospito,
Fabio Frosini e Giuseppe Vacca, è giunta ad accertare circostanze
materiali che avvalorano la mia tesi: Tatiana commette numerosi
errori nell’etichettatura, torna indietro, rinumerando vari quaderni
e finendo per aumentare la confusione. Al di là di queste
constatazioni, non vedo come si possa sostenere scientificamente
qualche altra posizione.
Il tema portante di questo primo anno accademico
riguarda due lemmi centrali nel pensiero di Gramsci:
egemonia/subalternità. Quanto mai attuali in questa epoca di ritorno
del populismo e della demagogia. Come li affronterete?
È fondamentale considerare il populismo e la demagogia
«gramscianamente», cioè come fenomeni importanti, addirittura
centrali nella politica del XX e del XXI secolo (per come finora lo
conosciamo). Come fenomeni, oso aggiungere, che richiedono tutta la
nostra energia mentale per afferrarne la novità, il significato di
novità (come Gramsci fece negli anni Trenta dello scorso secolo). Detto
ciò, non credo che nessuno di noi immagini facili scorciatoie che
conducano dal testo dei Quaderni a questo nostro mondo «grande e terribile».
In ambito internazionale (area anglo-indiana
e anglo-americana) si è andata costruendo un’immagine del pensatore
sardo che finisce col restituircelo fortemente cambiato rispetto
a come lo abbiamo conosciuto e studiato. Come vi collocate, voi
della Scuola, rispetto a questo «Gramsci globale» che sembra
emergere dagli studi stranieri?
Crediamo che gli studi gramsciani debbano essere posti su di una
base scientifica: di ciò vi è urgente bisogno, anche per aiutare il
«Gramsci globale» che oggi ritorna in Italia dalle traduzioni
inglesi a camminare su gambe più solide, e nutrirsi cioè di
riferimenti storici meno superficiali ed estemporanei. Ma
crediamo anche che ciò possa accadere se i due versanti – storico
e teorico – sono portati a dialogare e a contrarre obblighi
reciproci. L’obiettivo che ci prefiggiamo è esattamente questo.
Su quali lemmi vi impegnerete nei prossimi anni
e quali sono, in genere, gli argomenti e le questioni su cui ritenete
che occorra concentrare gli studi rispetto a un pensatore così
centrale e controverso della storia politica e filosofica
internazionale?
Gramsci è senza alcun dubbio un pensatore centrale nel
dibattito filosofico e politico internazionale, anche se
l’Accademia italiana, sempre più chiusa nel suo orticello conchiuso,
sembra non riuscire ad accorgersene. Abbiamo previsto di
dedicare il prossimo anno alla questione dell’ideologia e il
successivo alla società civile. Sono argomenti di cui si dibatte,
spesso con scarsa cognizione di causa. Formando i giovani
ricercatori di tutto il mondo, la nostra «officina» intende gettare
i semi di una discussione e soprattutto di ricerche future che
squarcino il velo delle frasi fatte, e inaugurino, a partire dalle
nuove forze, una stagione anch’essa nuova, all’insegna della sobrietà
e dell’antiretorica.
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