Giù la
maschera. Con la vicenda del pubblico impiego e lo sciopero minacciato
dalle forze dell’ordine Renzi si mostra per quale è: il ragazzino
bugiardo, cresciuto nella doppia morale, il padroncino arrogante che non
ha mai lavorato un giorno se non brevemente nell’azienda di famiglia,
cioè a casa, e che durante l’effimera esperienza ha tentato di fottere i
propri dipendenti finendo per essere condannato in cassazione. L’uomo
dedito a coltivare infingimenti e pregiudizi al posto di idee e
prospettive e dunque capace di dire tutto e il contrario di tutto nella
stessa giornata, un caleidoscopio di bugie e frasi fatte suggerite dagli
spin doctor
Insomma un tracotante ologramma, manovrato col joystick da altri
poteri che deve il successo proprio alla sua inconsistenza. Ma le bugie
alla fine vengono al pettine e così dopo aver annunciato mesi fa che i
soldi per il rinnovo del contratti pubblici sarebbero stati inseriti
nella legge di stabilità ora fa dire alla Madia, insulso ectoplasma in
quota figlio del presidente, che non ci sono le risorse, anzi che loro –
signori e signorine di governo – non alimentano aspettative che non
possono mantenere. E ancora una volta si attacca agli 80 euro, così
come le suggerisce il suo notevole acume. Questo dopo aver invece
alimentato le aspettative e per mesi (vedi nota*).
Ma di fronte al primo
sciopero generale delle forze dell’ordine nella storia della
Repubblica, annunciato per fine settembre, il premier non rinuncia a
starsene finalmente zitto un po’ e in due frasette da bar fa scoprire
agli italiani chi è davvero Matteo Renzi. La prima è che lo sciopero non
è la rivendicazione di qualcosa, ma “è un ricatto”, cosa che
non si era sentita dire da un politico dai tempi di Bava Beccaris, anche
se abbonda sulle labbra dei rampolli di terza o quarta generazione
della ex industria italiana.
La seconda saremmo tentati di definirla marciume retorico allo stato
puro, se non fosse che essa esprime la considerazione che Renzi ha del
lavoro: “lo sciopero dei dipendenti del pubblico impiego è ingiusto nei
confronti di tanti disoccupati”. Ragionamento da capra, da bar
malfamato di Caracas, ma tradotto vuol dire: non avete capito che la mia
riforma del lavoro consiste proprio per farvi accettare un salario da
fame grazie allo spettro perenne della disoccupazione? Come osate
rivendicare il rinnovo del contratto?. Il lavoro cari miei non è un
diritto e nemmeno un’attività retribuita secondo la quantità di valore
prodotto o comunque attribuito: è una regalia che viene dall’alto e
qualunque cosa contenga la dovete accettare con gratitudine.
Non è certo il solo a pensarla così: ci sono fior di banchieri, di
economisti assoldati con l’offa della carrierina, fior di Bilderberg che
la pensano così. Ma almeno sanno prefigurare il nuovo medioevo in
maniera meno grossolana e primitiva, meno sordidamente scoperta,
l’astrusità è il dash delle loro coscienze. Però il padroncino Renzi che
ha introiettato questi istinti fin da piccolo, ne ha respirato i fumi
nella loro forma più immediata e rozza, non ce la fa a trattenersi e lo
dice papale papale, come del resto gli è capitato altre volte nella sua
veste di sindaco di Firenze. Siamo arrivati al punto che persino l’Ocse è
arrivato a criticare la riforma del lavoro Poletti perché troppo
spostata verso la precarietà. Siamo davvero al colmo. Così come lo è un
Paese che torna al medioevo, senza essere mai riuscito ad uscirne
davvero.
*“Nel Documento di economia e finanza 2014 non è contenuto, e non
potrebbe esserlo, alcun riferimento a ipotesi di blocco di
contrattazione nel settore pubblico”. Parola di Pier Carlo Padoan il 10 aprile scorso per placare le inquietudini dei sindacati, già sul piede di guerra.
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