Qual
è lo stato di salute dell’informazione e della comunicazione nella
sinistra antagonista? L’occasione per fare il punto è stato il seminario
“A viva voce” che si è tenuto ieri pomeriggio presso la sala delle
conferenze dell’università di Tor Vergata a Roma. Un appuntamento che ha
avuto il patrocinio della facoltà di Studi umanistici e che ha visto la
partecipazione dell’ambasciatore del Venezuela, insieme a una lunga
serie di operatori dell’informazione di “testate giornalistiche
resistenti”, studiosi dei mass media e docenti universitari.
Il dilagare di web e multimedialità e, comunque, l’affermarsi di una direzione orizzontale nei canali dove corre l’informazione sta cambiando con forza i modelli culturali e quindi la stessa produzione del consenso da parte del potere. A questo, però, non corrisponde una "contronarrazione" altrettanto efficace.
Se da una parte il web può rappresentare una grande opportunità nella lotta contro il pensiero liberista in quanto offre una platea di ascolto molto più ampia, dall’altra il mito della cosiddetta “Rete democratica” sta subendo colpi durissimi. Pochi gruppi monopolistici stanno imponendo i propri standard a partire dall’accesso alle reti per finire a moduli di elaborazione dei contenuti ricavati direttamente dai "frame", ovvero dagli elementi che servono a costruire le campagne elettorali.
La sinistra antagonista, nel mentre, sembra scontare un doppio ritardo, sia in relazione alla battaglia per una informazione come bene pubblico sia nel dare visibilità ai propri contenuti. E’ chiaro che a questo punto la moltiplicazione di siti e testate che fanno riferimento a questo o quel progetto politico non aiuta a creare quella massa critica sufficiente ad assicurare “viralità”. Nel caso del Venezuela poi, quello a cui si assiste è una vera e propria campagna su scala internazionale basata su menzogne, falsi e disinformazione. La nascita in Italia di un coordinamento di operatori dell’informazione e di semplici militanti e simpatizzanti con la causa bolivaria testimonia della necessità di correre ai ripari su un piano sistematico. Se da una parte è vero che occorre rispondere colpo su colpo alle falsità orchestrate dal liberismo con la complicità di molti media occidentali, dall’altra è sempre più urgente attrezzare una propria procedura, e un propria visibilità. Proprio per questo la stessa TeleSur è stata pensata come una vera e propria “confederazione” di testate dell’America Latina per dare alla battaglia mediatica quel necessario assetto globale di cui ha bisogno per contrastare le mire del liberismo.
Oggi l’obiettivo del sistema dei mass media è immediatamente politico e non mostra più alcun interesse a creare “informazione come merce”, quanto, invece, una merce funzionale al potere, ovvero la rassicurazione di fronte alla complessità del mondo. Solo rassicurando l’opinione pubblica la si può indirizzare, mantenendola in un clima da “campagna elettorale continua” e imponendo scelte fuori dalla portata critica dei cittadini. In questo schema non resta più niente dell’informazione “utile al cittadino”, che quindi non può valutare liberamente i dati “di realtà” e prendere una decisione “consapevole”. In questo schema, l’unico messaggio che passa è quello “unico” del pensiero e della pratica liberista. Il messaggio che non dà luogo ad alternative e che chiude il “cittadino” dentro un universo unidimensionale. Senza contare che sul piano normativo e delle leggi la repressione delle poche voci libere è senza esclusione di colpi. E i colpi sono querele per diffamazione, taglio dei contributi pubblici, etc.
Sarà in grado la sinistra di conquistare posizioni, magari all’interno di uno schema “a rete”? Dopo i tempi gloriosi di "Genova 2001" e le mille videocamere in grado di ribaltare la "narrazione del potere" saremo in grado di strutturare esperienze in grado di fronteggiare la situazione? La rete sembra a questo punto uno degli elementi che ancora, per poco, sembrano reggere. Tanto più che la rete è una invenzione nata proprio dal seno della storia del movimento dei lavoratori. Rete, coalizione, cooperativismo possono rappresentare le chiavi, anche nel connubio tra operatori dell’informazione e militanza, per cercare di uscire dall’angolo in cui sembra chiusa la sinistra antagonista. Non si può più aspettare. Né si può aspettare che ciò avvenga immediatamente dopo la costruzione di un soggetto politico riconosciuto. Occorre che la “comunità” si metta in camino e cominci ad elaborare pratiche e modelli organizzativi, rispetto ai quali non può essere estraneo un nuovo modo di fare informazione e, dall’altra parte, un nuovo impegno a forme di fund raising e partecipazione.
La relazione di apertura è stata tenuta da Fabio Sebastiani, direttore di Controlacrisi. Tra i relatori, l'ambasciatore del Venezuela Isaías Rodriguez Diaz, la responsabile dell'Ufficio stampa dell'ambasciata Mayling Lòpez, e Giuliano Santoro. La prevista relazione di Dino Greco non è stata resa pubblica per problemi tecnici e verrà allegata agli atti. Tra gli interventi, Alfredo Vilora Perez (primo segretario dell'ambasciata del Venezuela in Italia), Jacopo Venier, direttore di Libera Tv, Marco Santopadre, redazione contropiano, Mattia Della Rocca, Gigi Mazza, John Manisco. Le conclusioni sono state a cura di Raul Mordenti.
Il dilagare di web e multimedialità e, comunque, l’affermarsi di una direzione orizzontale nei canali dove corre l’informazione sta cambiando con forza i modelli culturali e quindi la stessa produzione del consenso da parte del potere. A questo, però, non corrisponde una "contronarrazione" altrettanto efficace.
Se da una parte il web può rappresentare una grande opportunità nella lotta contro il pensiero liberista in quanto offre una platea di ascolto molto più ampia, dall’altra il mito della cosiddetta “Rete democratica” sta subendo colpi durissimi. Pochi gruppi monopolistici stanno imponendo i propri standard a partire dall’accesso alle reti per finire a moduli di elaborazione dei contenuti ricavati direttamente dai "frame", ovvero dagli elementi che servono a costruire le campagne elettorali.
La sinistra antagonista, nel mentre, sembra scontare un doppio ritardo, sia in relazione alla battaglia per una informazione come bene pubblico sia nel dare visibilità ai propri contenuti. E’ chiaro che a questo punto la moltiplicazione di siti e testate che fanno riferimento a questo o quel progetto politico non aiuta a creare quella massa critica sufficiente ad assicurare “viralità”. Nel caso del Venezuela poi, quello a cui si assiste è una vera e propria campagna su scala internazionale basata su menzogne, falsi e disinformazione. La nascita in Italia di un coordinamento di operatori dell’informazione e di semplici militanti e simpatizzanti con la causa bolivaria testimonia della necessità di correre ai ripari su un piano sistematico. Se da una parte è vero che occorre rispondere colpo su colpo alle falsità orchestrate dal liberismo con la complicità di molti media occidentali, dall’altra è sempre più urgente attrezzare una propria procedura, e un propria visibilità. Proprio per questo la stessa TeleSur è stata pensata come una vera e propria “confederazione” di testate dell’America Latina per dare alla battaglia mediatica quel necessario assetto globale di cui ha bisogno per contrastare le mire del liberismo.
Oggi l’obiettivo del sistema dei mass media è immediatamente politico e non mostra più alcun interesse a creare “informazione come merce”, quanto, invece, una merce funzionale al potere, ovvero la rassicurazione di fronte alla complessità del mondo. Solo rassicurando l’opinione pubblica la si può indirizzare, mantenendola in un clima da “campagna elettorale continua” e imponendo scelte fuori dalla portata critica dei cittadini. In questo schema non resta più niente dell’informazione “utile al cittadino”, che quindi non può valutare liberamente i dati “di realtà” e prendere una decisione “consapevole”. In questo schema, l’unico messaggio che passa è quello “unico” del pensiero e della pratica liberista. Il messaggio che non dà luogo ad alternative e che chiude il “cittadino” dentro un universo unidimensionale. Senza contare che sul piano normativo e delle leggi la repressione delle poche voci libere è senza esclusione di colpi. E i colpi sono querele per diffamazione, taglio dei contributi pubblici, etc.
Sarà in grado la sinistra di conquistare posizioni, magari all’interno di uno schema “a rete”? Dopo i tempi gloriosi di "Genova 2001" e le mille videocamere in grado di ribaltare la "narrazione del potere" saremo in grado di strutturare esperienze in grado di fronteggiare la situazione? La rete sembra a questo punto uno degli elementi che ancora, per poco, sembrano reggere. Tanto più che la rete è una invenzione nata proprio dal seno della storia del movimento dei lavoratori. Rete, coalizione, cooperativismo possono rappresentare le chiavi, anche nel connubio tra operatori dell’informazione e militanza, per cercare di uscire dall’angolo in cui sembra chiusa la sinistra antagonista. Non si può più aspettare. Né si può aspettare che ciò avvenga immediatamente dopo la costruzione di un soggetto politico riconosciuto. Occorre che la “comunità” si metta in camino e cominci ad elaborare pratiche e modelli organizzativi, rispetto ai quali non può essere estraneo un nuovo modo di fare informazione e, dall’altra parte, un nuovo impegno a forme di fund raising e partecipazione.
La relazione di apertura è stata tenuta da Fabio Sebastiani, direttore di Controlacrisi. Tra i relatori, l'ambasciatore del Venezuela Isaías Rodriguez Diaz, la responsabile dell'Ufficio stampa dell'ambasciata Mayling Lòpez, e Giuliano Santoro. La prevista relazione di Dino Greco non è stata resa pubblica per problemi tecnici e verrà allegata agli atti. Tra gli interventi, Alfredo Vilora Perez (primo segretario dell'ambasciata del Venezuela in Italia), Jacopo Venier, direttore di Libera Tv, Marco Santopadre, redazione contropiano, Mattia Della Rocca, Gigi Mazza, John Manisco. Le conclusioni sono state a cura di Raul Mordenti.
La relazione introduttiva di Fabio Sebastiani
L’idea di questo seminario nasce dall’esigenza di creare un luogo,
speriamo permanente, di riflessione e approfondimento attorno al grande
tema dell’informazione e della comunicazione a sinistra. E anche un
luogo di pratiche comuni, come dirò poi nelle conclusioni accennando a
qualche proposta operativa.
Il titolo della relazione, “Non c’è rappresentanza senza rappresentazione”, è stato volutamente formulato con l’intento provocatorio, con l’idea di mettere a nudo l’impasse della sfera politica, vittima del nodo scorsoio della logica del soggetto. Oggi non puoi più pensare di rappresentare se non hai una strategia di rappresentazione.
Se siamo qui condividiamo tutti, credo, l’importanza della battaglia sul simbolico e nel simbolico. Parlo della battaglia politica, e anche di quella professionale. Oggi il rango di quell’impegno è cresciuto perché il capitale ha un estremo bisogno di determinare i comportamenti. E non lascia nulla di intentato. Come rispondiamo a questo? Aspettando che finalmente nasca un nuovo soggetto oppure provando a creare comunità di scopo che comincino a misurarsi su questo terreno? Abbiamo capito o no che il passaggio dall’on line all’off line è lo specifico del giornalismo militante? A sinistra veniamo da una stagione di grandi fallimenti editoriali. Stagione che ha intersecato la forte accelerazione dell’innovazione tecnologica, la cui spinta propulsiva non sembra attenuarsi. E dal piano dei meccanismi si sta trasferendo ai linguaggi e alle modalità stesse di composizione, trasmissione e diffusione del pensiero.
Ovviamente in questa sede non vale mettere avanti la crisi della politica, anzi dei soggetti politici. La sinistra,che negli anni ’70 aveva in mano il vessillo dell’informazione con il quale conduceva una agguerrita battaglia politica, ora non solo è in arretramento netto su questo terreno ma in evidente affanno rispetto ad un mondo che sembra aver cambiato qualche coordinata di troppo. E non è che non fosse tra le sue responsabilità, soprattutto di quella antagonista, capire come queste coordinate si stavano modificando e come stava aumentando il peso specifico del simbolico.
L’offensiva del capitalismo
Il punto, vorrei far sommessamente notare, non è più nemmeno quello di aumentare la potenza di fuoco, chiamiamola così per intenderci, della cosiddetta controinformazione. Di fronte a un capitalismo che entra nei meccanismi intimi di formazione del consenso, e quindi di direzione,controllo e induzione dei comportamenti, non c’è controinformazione che tenga. E comunque, siamo di fronte a una sfida non certamente comparabile con i tempi attuali di diffusione dell’informazione presso l’opinione pubblica.
La velocità dell’informazione è una variabile importante in questo ragionamento. Ai livelli attuali non permette di formare alcuna consapevolezza. Oltre al fatto che c’è una evidente incongruità tra la massa delle informazioni veicolate e quanto è naturalmente possibile trattenere nel sistema mentale individuale. C’è una fisiologia della percezione e dell’elaborazione che sta letteralmente saltando e rispetto alla quale dobbiamo ancora sviluppare un nostro punto di vista. E c’è anche un contraccolpo, forse più serio, sulla formalità dei linguaggi e quindi sui patrimoni culturali.
La pervasività dell’informazione globalizzata in realtà gioca la sua battaglia nella partita quotidiana sulla distruzione e costruzione di senso, rispetto alla quale sta sfoderando armi di tutti i tipi. Si ragiona in termini sistemici, per esempio, in cui il tanto vituperato telegiornale, è in realtà solo un tassello del mosaico. L’informazione del capitale ragiona costantemente per campagne perché ha capito che la manovra non è puntuale ma complessiva. L’opinione pubblica è tornata ad essere, da questo punto di vista, un campo aperto ma la partita è truccata,ovviamente. L’informazione è in realtà la fabbrica del consenso e la merce che sforna è la rassicurazione rispetto ad un mondo che l’individuo, costretto alla desolidarizzazione, interpreta,non riuscendo più a capirlo, con l’unica teoria che ha a disposizione, quella della paura. E la paura parla il solo linguaggio binario. Altro che dialettica politica democratica.
I cosiddetti frame, ovvero le unità minime delle risposte della mente agli stimoli esterni, così cari ai produttori delle campagne elettorali sono state trasferite da tempo anche nell’informazione. Siamo in una campagna elettorale continua.
La risposta della sinistra
La sinistra, che il modello a Rete ce l’ha per vocazione, direi, continua colpevolmente ad attardarsi in un delirio di auto-rappresentazione senza precedenti con conseguenze catastrofiche sul piano linguistico, fino all’autismo o al mutismo mediatico. C’è una figura che plasticamente testimonia questa grave patologia. Una figura parecchio trascurata: il rappresentante sindacale sindacale nei luoghi di lavoro. La sua presenza potenziale in rete avrebbe in più rispetto al mediattivista il bagaglio delle relazioni sociali, la capacità di scegliere il contesto più opportuno, l’appropriatezza del linguaggio da impiegare, l’analisi della situazione reale, la consapevolezza di muoversi all’interno di un progetto di stampo comunitario. E invece lo si tiene lì a fare il replicante di comunicazioni dell’organizzazione.
Quanto patrimonio stiamo sprecando? Parlo del rappresentante sindacale perché secondo me è il prototipo del fallimento della sinistra in rete. Taccio sul resto, perché il discorso sarebbe troppo lungo.
La sinistra si ostina a voler giocare una partita per l’egemonia quando i numeri e le modalità del web non consentono più l'utilizzo di modelli comunicativi, e informativi, verticali, per esempio. Oppure che l’impostazione relazionale del web tollera poco l’utilizzo dei linguaggi del “noi”, e quindi la presenza di loghi e simboli come autori ufficiali dei messaggi. Il simbolo, e il “messaggio"a questo connesso, non hanno più alcun potere di intangibilità nel circuito web e, quindi, delle reti. Essendo l'oggetto di un processo complesso e articolato, molecolare anche, e non più e non solo di un atto di comunicazione semplice e verticale, contenuti e linguaggi si trasformano davvero prendendo a loro volta mille rivoli. L'unica possibilità è quella di stare nei processi dell’informazione e della comunicazione nel modo più attrezzato, organizzato e attuale possibile.
Innanzitutto,occorre tornare a distinguere informazione e comunicazione. Tutto ciò che fa un logo nel web è comunicazione. E, d’altro canto, proprio in relazione alla definitività del modello orizzontale in cui, per dirla con un paradosso, l’informazione corre tra lettori, nemmeno più il giornalista, soggetto terzo per eccellenza, può vantare più un salvacondotto speciale.
Le prime ad averlo capito sono le aziende, e anche qualche ufficio stampa furbone di organizzazioni politiche e sindacali, che hanno a disposizione delle squadre di guastatori attive quasi 24 ore su 24 nella difesa del proprio logo e nel sabotaggio del logo concorrente,nella costruzione del falso e nella distruzione sistematica dei falsi altrui potenzialmente offensivi. Ovviamente c’è un impiego di risorse umane che non mi sembra esattamente alla nostra portata.
Proprio grazie al delirio dell’autorappresentazione sfrenata (“mi apro un sito”) di diretta derivazione del giornalismo cartaceo, che a sua volta genera il “baco della divisione e della frammentazione”, si assiste a un approdo in ordine sparso della sinistra al web da parte di tutti quei soggetti più o meno organizzati sul piano giornalistico-editoriale che rispondono però a questo o quel “progetto politico” senza una visione globale, quando invece ci sarebbe bisogno di dare spazio totale all'approccio cooperativistico.
Visti i tempi, la sinistra, tutta, dovrebbe convergere almeno su un punto:la necessità di rimettere in circolo alcuni "dati" e "punti di riferimento" di base che in qualche modo rappresentino il "semilavorato" della narrazione politica. E invece ci si divide anche su questo. Con il risultato che si moltiplicano gli sforzi e non si sta più dentro i tempi, ovvero la velocità con la quale viaggia l’informazione. Si dovrebbe per farla breve dare vita a un consorzio che sia in grado di lavorare non sul livello di confezione dei contenuti ma anche sulla preparazione del terreno, sulla diffusione e quindi sulla viralità dei contenuti, sulla formazione delle reti, sul loro mantenimento, sugli strumenti reali primordiali di costruzione del senso, sulla padronanza della multimedialità, sulla costruzione dell’ipertesto.
Le reti
Da Facebook in poi il web si va riorganizzando per reti più o meno. La rete va innanzitutto inquadrata come un “processo” e non come una “platea di lettori”.Dietro questa distinzione risiede la differenza tra “senso” e “significato”. Se vogliamo, la differenza tra “significato statico” (platea di lettori) e “senso mobilitante” (rete come processo) è alla base del modo di intendere la comunicazione attiva e l’informazione orizzontale in rete. Nel processo ci sono “orizzontalità” che entrano in relazione e non erogatori attivi da una parte e fruitori di informazione passivi definiti da una precisa categoria tipologica dell’audience. In breve, se io trasmetto un simbolo a cui è legato un significato faccio solo metà del mio gesto comunicativo se poi l’interlocutore non sa esattamente cosa fare del mio simbolo. Se il “lettore” si ritrova nell’incertezza su dove collocare nella sua mappa mentale il mio simbolo è un problema; se il mio simbolo non è diventato in qualche modo il suo, il gesto comunicativo da me prodotto avrà fondamentalmente fallito. Se il mio simbolo è anche in grado di fornire il messaggio sul senso da attribuirgli, quindi sulla sua collocazione, la mia comunicazione è stata invece completa.
Nella dimensione orizzontale della comunicazione la trasmissione del senso è diventata sempre più debole. Ecco perché le parole sembrano perdere di significato. Ed ecco perché si fanno e disfanno continuamente “grammatiche” interpretative pronte all’uso nel farsi stesso della comunicazione.
Da questo punto di vista le reti sono aggregazioni omogenee generate da queste grammatiche,isole di senso a cui l’individuo si riferisce nel tentativo di dare una interpretazione a quello che accade nel web.
Una delle barriere delle “reti di fiducia”, così bene definite da Manuel Castells nei suoi saggi, è sicuramente costituita dai linguaggi, dalle pratiche di comunicazione e dai media utilizzati. Si tratta innanzitutto di linguaggi che veicolano significati su più strati: lingua nativa, lingue gergali, video, grafica. E poi, via via, nella lingua nativa i diversi stili e i diversi contesti in quella complessità del linguaggio verbale che nella rete appare sempre all’opera in una sorta di apparente dissipazione.
Nonostante questo, la rete è in grado di decidere, come spiega Castells, in ogni momento quale linguaggio e anche quale “grammatica” rappresentano le chiavi giuste per veicolare alcuni contenuti. E quando decreta il successo per un contenuto il moltiplicatore è a molti zeri.
Quello che è accaduto in Spagna nel 2002 con gli attentati ai treni e il tentativo di Aznar di attribuirli all’Eta per una mera speculazione elettoralistica è stato esattamente il cortocircuito sulla “collocazione del simbolo” in modo così forte e determinante da rivoltare contro chi l’aveva escogitata una massiccia campagna stampa.
Se questo delle reti di fiducia può essere considerato solo un modello di massima, in realtà ciò che sta accadendo con la rete è che l’informazione viaggia soprattutto all’interno di questi canali di significato in cui l’accettazione del senso di appartenenza è preliminare alla lettura del contenuto del messaggio. Questo però non vuol dire che le reti siano impenetrabili, anzi. Le reti di fiducia hanno diversi gradi di coesione. Il punto è che va studiato e individuato quel grado, rispetto al quale decidere una strategia che dia come risultato una forte capacità di influenza su quella rete.
Web journalism
La capacità di far navigare un determinato contenuto è legata al saper cogliere il momento giusto, ovvero il trend per dare slancio ai propri contenuti; scegliere cioè appropriatamente l’ottica con la quale sottoporli all’attenzione del web. Il trend, non si improvvisa. Questa caratteristica si lega molto al ragionamento sull’attualità dei temi che si sviluppa in una normale redazione di un giornale cartaceo. Di diverso c’è che le variabili di cui tener conto, gli ambiti di riflessione, i piani, i punti di vista, le sfumature: tutto si è notevolmente affollato e moltiplicato. Per semplificarla, diciamo che rispetto ad ogni contenuto prodotto occorre saper cogliere lo stato della rete e il lettore bersaglio, quello cioè che è in grado di avere un tale impatto con il contenuto proposto da mobilitarsi per diventare a sua volta una fonte di propagazione.
Velocità nella risposta, contemporaneità, contestualizzazione, adeguatezza della grammatica, sintesi: tutte queste caratteristiche dell’informazione e della comunicazione moderna non possono essere raggiunte con un modello verticale. Ciò che rimane del modello verticale è sicuramente la coerenza e l’autorevolezza ma, appunto, vanno sapute usare. L’autorevolezza e la coerenza salvano il soggetto ma non danno alcuna garanzia dal rischio del mutismo web.
Oggi le relazioni sociali entrano a pieno titolo come facilitatori nei processi di comunicazione e informazione. Anzi, di più, ne ridisegnano la dinamica e l’impostazione. Il prezzo da pagare, come abbiamo visto, è una frammentazione quasi senza limiti. C’è un modo di stare entro queste relazioni sociali virtuali alludendo all’universale? Non lo so. Non lo so perché non l’ho sperimentato direttamente. Provo a dirlo pronunciando, mi si passi il termine, una bestemmia. E la bestemmia è la parola “Estetica”. Una bestemmia per noi, ovviamente. Per la nostra cultura così fin troppo banalizzata dalla politica. Questa bestemmia anche i comunisti devono trovare la forza di pronunciarla. E di praticarla. Abbiamo poche alternative, credo. E il giornalismo militante ne è pienamente investito. Non parlo ovviamente delle “belle lettere” ma dell’unica estetica possibile, ovvero quella che fa vivere lo sconvolgimento positivo dell’emozione di se.
Andiamo velocemente alle proposte:
Cosa si dovrebbe fare per uscire dall’impasse?
• Innanzitutto, tornare ad abbracciare l’idea che la professionalità va spesa su più piani e uno di questi è l’informazione come servizio. Questo vuol dire trattare i contenuti in modo diverso da come facciamo oggi fornendo al lettore non il punto di arrivo come centro del ragionamento ma il percorso.
• Dedicarsi di più alla diffusione dei contenuti curando le reti a partire dal presupposto che queste funzionano in base al principio della relazionalità e dell’orizzontalità. Ci sono reti e reti, naturalmente. Ognuna va approcciata con il suo stile e, possibilmente, individuando la sua grammatica e parlando il suo linguaggio.
• Dare un maggior peso a tutto ciò che riguarda l’immagine, la grafica, il video, fino al punto da renderli se non proprio autonomi almeno parlanti.
• Creare consorzi di scopo tra operatori dell’informazione da una parte e tra questi e le varie comunità di riferimento fino a dar vita a un sistema di “vasi comunicanti”.
Consorzi di scopo
Il consorzio di scopo serve:
• a fare “massa critica”. Ci sono diversi momenti in cui nel web è importante fare massa critica. Uno di questi è il tweetstorm, per esempio. Quello che abbiamo potuto constare, per esempio, nel numero delle letture di un pezzo è che ci sono dei valori soglia raggiunti i quali un contenuto decolla nell’audience.
• a strutturare una divisione del lavoro tra testate di diversa natura, tra informazione e comunicazione, in modo da potenziare la visibilità del messaggio e dei contenuti lavorando su appropriatezza, contestualità e attualità.
• a investire collettivamente su grafica creativa, video, immagini.
• a creare reti per il fund raising
• ad affinare collettivamente la conoscenza degli strumenti attraverso vere e proprie scuole di formazione
• a creare un luogo collettivo di riflessione permanente.
• a formare e curare reti
• a lavorare sui fondamentali dell’informazione, come i codici dello storytelling, le metafore della contro narrazione, le “grammatiche interpretative”, etc.
• a investire collettivamente sulle inchieste e gli approfondimenti rispetto ai grandi temi: l’urbanistica, salute e infortuni sul lavoro, l’ambiente, la precarietà, etc.
Marx, comunismo e il presente
Nel definire il comunismo al là di qualsiasi delirio ideologico Marx disse con chiarezza tutto quello che c’era da dire, spingendosi fino al punto di costruire un fondamento che dal suo punto di vista doveva essere transnazionale e che invece sta diventando trans-temporale. Il comunismo è il movimento reale che abbatte lo stato di cose presente. Bene, sono tra coloro i quali pensano che da qui si debba partire per definire i comunisti. I comunisti sono quelli che questo presente da cambiare ce l’hanno saldamente in testa e in mano. Se così non fosse saremmo solo una accolita di inguaribili nostalgici. Dico presente, e non modernità, sia chiaro. Che c’entra questo con l’informazione e la comunicazione? Dico che informazione e comunicazione oggi hanno oggi un peso specifico maggiore che in passato nel determinare la percezione del presente e la conseguente sua esplicitazione attraverso una formula politica. Lì la politica non è in crisi, ma certo dovrà adeguare i suoi strumenti. Il presente non ci può che arrivare dalla riflessione sul presente. Non ci sono scorciatoie, né dietro né avanti. Ci sono insegnamenti e proiezioni, questo sì; ma non formule pret a porter.
Il titolo della relazione, “Non c’è rappresentanza senza rappresentazione”, è stato volutamente formulato con l’intento provocatorio, con l’idea di mettere a nudo l’impasse della sfera politica, vittima del nodo scorsoio della logica del soggetto. Oggi non puoi più pensare di rappresentare se non hai una strategia di rappresentazione.
Se siamo qui condividiamo tutti, credo, l’importanza della battaglia sul simbolico e nel simbolico. Parlo della battaglia politica, e anche di quella professionale. Oggi il rango di quell’impegno è cresciuto perché il capitale ha un estremo bisogno di determinare i comportamenti. E non lascia nulla di intentato. Come rispondiamo a questo? Aspettando che finalmente nasca un nuovo soggetto oppure provando a creare comunità di scopo che comincino a misurarsi su questo terreno? Abbiamo capito o no che il passaggio dall’on line all’off line è lo specifico del giornalismo militante? A sinistra veniamo da una stagione di grandi fallimenti editoriali. Stagione che ha intersecato la forte accelerazione dell’innovazione tecnologica, la cui spinta propulsiva non sembra attenuarsi. E dal piano dei meccanismi si sta trasferendo ai linguaggi e alle modalità stesse di composizione, trasmissione e diffusione del pensiero.
Ovviamente in questa sede non vale mettere avanti la crisi della politica, anzi dei soggetti politici. La sinistra,che negli anni ’70 aveva in mano il vessillo dell’informazione con il quale conduceva una agguerrita battaglia politica, ora non solo è in arretramento netto su questo terreno ma in evidente affanno rispetto ad un mondo che sembra aver cambiato qualche coordinata di troppo. E non è che non fosse tra le sue responsabilità, soprattutto di quella antagonista, capire come queste coordinate si stavano modificando e come stava aumentando il peso specifico del simbolico.
L’offensiva del capitalismo
Il punto, vorrei far sommessamente notare, non è più nemmeno quello di aumentare la potenza di fuoco, chiamiamola così per intenderci, della cosiddetta controinformazione. Di fronte a un capitalismo che entra nei meccanismi intimi di formazione del consenso, e quindi di direzione,controllo e induzione dei comportamenti, non c’è controinformazione che tenga. E comunque, siamo di fronte a una sfida non certamente comparabile con i tempi attuali di diffusione dell’informazione presso l’opinione pubblica.
La velocità dell’informazione è una variabile importante in questo ragionamento. Ai livelli attuali non permette di formare alcuna consapevolezza. Oltre al fatto che c’è una evidente incongruità tra la massa delle informazioni veicolate e quanto è naturalmente possibile trattenere nel sistema mentale individuale. C’è una fisiologia della percezione e dell’elaborazione che sta letteralmente saltando e rispetto alla quale dobbiamo ancora sviluppare un nostro punto di vista. E c’è anche un contraccolpo, forse più serio, sulla formalità dei linguaggi e quindi sui patrimoni culturali.
La pervasività dell’informazione globalizzata in realtà gioca la sua battaglia nella partita quotidiana sulla distruzione e costruzione di senso, rispetto alla quale sta sfoderando armi di tutti i tipi. Si ragiona in termini sistemici, per esempio, in cui il tanto vituperato telegiornale, è in realtà solo un tassello del mosaico. L’informazione del capitale ragiona costantemente per campagne perché ha capito che la manovra non è puntuale ma complessiva. L’opinione pubblica è tornata ad essere, da questo punto di vista, un campo aperto ma la partita è truccata,ovviamente. L’informazione è in realtà la fabbrica del consenso e la merce che sforna è la rassicurazione rispetto ad un mondo che l’individuo, costretto alla desolidarizzazione, interpreta,non riuscendo più a capirlo, con l’unica teoria che ha a disposizione, quella della paura. E la paura parla il solo linguaggio binario. Altro che dialettica politica democratica.
I cosiddetti frame, ovvero le unità minime delle risposte della mente agli stimoli esterni, così cari ai produttori delle campagne elettorali sono state trasferite da tempo anche nell’informazione. Siamo in una campagna elettorale continua.
La risposta della sinistra
La sinistra, che il modello a Rete ce l’ha per vocazione, direi, continua colpevolmente ad attardarsi in un delirio di auto-rappresentazione senza precedenti con conseguenze catastrofiche sul piano linguistico, fino all’autismo o al mutismo mediatico. C’è una figura che plasticamente testimonia questa grave patologia. Una figura parecchio trascurata: il rappresentante sindacale sindacale nei luoghi di lavoro. La sua presenza potenziale in rete avrebbe in più rispetto al mediattivista il bagaglio delle relazioni sociali, la capacità di scegliere il contesto più opportuno, l’appropriatezza del linguaggio da impiegare, l’analisi della situazione reale, la consapevolezza di muoversi all’interno di un progetto di stampo comunitario. E invece lo si tiene lì a fare il replicante di comunicazioni dell’organizzazione.
Quanto patrimonio stiamo sprecando? Parlo del rappresentante sindacale perché secondo me è il prototipo del fallimento della sinistra in rete. Taccio sul resto, perché il discorso sarebbe troppo lungo.
La sinistra si ostina a voler giocare una partita per l’egemonia quando i numeri e le modalità del web non consentono più l'utilizzo di modelli comunicativi, e informativi, verticali, per esempio. Oppure che l’impostazione relazionale del web tollera poco l’utilizzo dei linguaggi del “noi”, e quindi la presenza di loghi e simboli come autori ufficiali dei messaggi. Il simbolo, e il “messaggio"a questo connesso, non hanno più alcun potere di intangibilità nel circuito web e, quindi, delle reti. Essendo l'oggetto di un processo complesso e articolato, molecolare anche, e non più e non solo di un atto di comunicazione semplice e verticale, contenuti e linguaggi si trasformano davvero prendendo a loro volta mille rivoli. L'unica possibilità è quella di stare nei processi dell’informazione e della comunicazione nel modo più attrezzato, organizzato e attuale possibile.
Innanzitutto,occorre tornare a distinguere informazione e comunicazione. Tutto ciò che fa un logo nel web è comunicazione. E, d’altro canto, proprio in relazione alla definitività del modello orizzontale in cui, per dirla con un paradosso, l’informazione corre tra lettori, nemmeno più il giornalista, soggetto terzo per eccellenza, può vantare più un salvacondotto speciale.
Le prime ad averlo capito sono le aziende, e anche qualche ufficio stampa furbone di organizzazioni politiche e sindacali, che hanno a disposizione delle squadre di guastatori attive quasi 24 ore su 24 nella difesa del proprio logo e nel sabotaggio del logo concorrente,nella costruzione del falso e nella distruzione sistematica dei falsi altrui potenzialmente offensivi. Ovviamente c’è un impiego di risorse umane che non mi sembra esattamente alla nostra portata.
Proprio grazie al delirio dell’autorappresentazione sfrenata (“mi apro un sito”) di diretta derivazione del giornalismo cartaceo, che a sua volta genera il “baco della divisione e della frammentazione”, si assiste a un approdo in ordine sparso della sinistra al web da parte di tutti quei soggetti più o meno organizzati sul piano giornalistico-editoriale che rispondono però a questo o quel “progetto politico” senza una visione globale, quando invece ci sarebbe bisogno di dare spazio totale all'approccio cooperativistico.
Visti i tempi, la sinistra, tutta, dovrebbe convergere almeno su un punto:la necessità di rimettere in circolo alcuni "dati" e "punti di riferimento" di base che in qualche modo rappresentino il "semilavorato" della narrazione politica. E invece ci si divide anche su questo. Con il risultato che si moltiplicano gli sforzi e non si sta più dentro i tempi, ovvero la velocità con la quale viaggia l’informazione. Si dovrebbe per farla breve dare vita a un consorzio che sia in grado di lavorare non sul livello di confezione dei contenuti ma anche sulla preparazione del terreno, sulla diffusione e quindi sulla viralità dei contenuti, sulla formazione delle reti, sul loro mantenimento, sugli strumenti reali primordiali di costruzione del senso, sulla padronanza della multimedialità, sulla costruzione dell’ipertesto.
Le reti
Da Facebook in poi il web si va riorganizzando per reti più o meno. La rete va innanzitutto inquadrata come un “processo” e non come una “platea di lettori”.Dietro questa distinzione risiede la differenza tra “senso” e “significato”. Se vogliamo, la differenza tra “significato statico” (platea di lettori) e “senso mobilitante” (rete come processo) è alla base del modo di intendere la comunicazione attiva e l’informazione orizzontale in rete. Nel processo ci sono “orizzontalità” che entrano in relazione e non erogatori attivi da una parte e fruitori di informazione passivi definiti da una precisa categoria tipologica dell’audience. In breve, se io trasmetto un simbolo a cui è legato un significato faccio solo metà del mio gesto comunicativo se poi l’interlocutore non sa esattamente cosa fare del mio simbolo. Se il “lettore” si ritrova nell’incertezza su dove collocare nella sua mappa mentale il mio simbolo è un problema; se il mio simbolo non è diventato in qualche modo il suo, il gesto comunicativo da me prodotto avrà fondamentalmente fallito. Se il mio simbolo è anche in grado di fornire il messaggio sul senso da attribuirgli, quindi sulla sua collocazione, la mia comunicazione è stata invece completa.
Nella dimensione orizzontale della comunicazione la trasmissione del senso è diventata sempre più debole. Ecco perché le parole sembrano perdere di significato. Ed ecco perché si fanno e disfanno continuamente “grammatiche” interpretative pronte all’uso nel farsi stesso della comunicazione.
Da questo punto di vista le reti sono aggregazioni omogenee generate da queste grammatiche,isole di senso a cui l’individuo si riferisce nel tentativo di dare una interpretazione a quello che accade nel web.
Una delle barriere delle “reti di fiducia”, così bene definite da Manuel Castells nei suoi saggi, è sicuramente costituita dai linguaggi, dalle pratiche di comunicazione e dai media utilizzati. Si tratta innanzitutto di linguaggi che veicolano significati su più strati: lingua nativa, lingue gergali, video, grafica. E poi, via via, nella lingua nativa i diversi stili e i diversi contesti in quella complessità del linguaggio verbale che nella rete appare sempre all’opera in una sorta di apparente dissipazione.
Nonostante questo, la rete è in grado di decidere, come spiega Castells, in ogni momento quale linguaggio e anche quale “grammatica” rappresentano le chiavi giuste per veicolare alcuni contenuti. E quando decreta il successo per un contenuto il moltiplicatore è a molti zeri.
Quello che è accaduto in Spagna nel 2002 con gli attentati ai treni e il tentativo di Aznar di attribuirli all’Eta per una mera speculazione elettoralistica è stato esattamente il cortocircuito sulla “collocazione del simbolo” in modo così forte e determinante da rivoltare contro chi l’aveva escogitata una massiccia campagna stampa.
Se questo delle reti di fiducia può essere considerato solo un modello di massima, in realtà ciò che sta accadendo con la rete è che l’informazione viaggia soprattutto all’interno di questi canali di significato in cui l’accettazione del senso di appartenenza è preliminare alla lettura del contenuto del messaggio. Questo però non vuol dire che le reti siano impenetrabili, anzi. Le reti di fiducia hanno diversi gradi di coesione. Il punto è che va studiato e individuato quel grado, rispetto al quale decidere una strategia che dia come risultato una forte capacità di influenza su quella rete.
Web journalism
La capacità di far navigare un determinato contenuto è legata al saper cogliere il momento giusto, ovvero il trend per dare slancio ai propri contenuti; scegliere cioè appropriatamente l’ottica con la quale sottoporli all’attenzione del web. Il trend, non si improvvisa. Questa caratteristica si lega molto al ragionamento sull’attualità dei temi che si sviluppa in una normale redazione di un giornale cartaceo. Di diverso c’è che le variabili di cui tener conto, gli ambiti di riflessione, i piani, i punti di vista, le sfumature: tutto si è notevolmente affollato e moltiplicato. Per semplificarla, diciamo che rispetto ad ogni contenuto prodotto occorre saper cogliere lo stato della rete e il lettore bersaglio, quello cioè che è in grado di avere un tale impatto con il contenuto proposto da mobilitarsi per diventare a sua volta una fonte di propagazione.
Velocità nella risposta, contemporaneità, contestualizzazione, adeguatezza della grammatica, sintesi: tutte queste caratteristiche dell’informazione e della comunicazione moderna non possono essere raggiunte con un modello verticale. Ciò che rimane del modello verticale è sicuramente la coerenza e l’autorevolezza ma, appunto, vanno sapute usare. L’autorevolezza e la coerenza salvano il soggetto ma non danno alcuna garanzia dal rischio del mutismo web.
Oggi le relazioni sociali entrano a pieno titolo come facilitatori nei processi di comunicazione e informazione. Anzi, di più, ne ridisegnano la dinamica e l’impostazione. Il prezzo da pagare, come abbiamo visto, è una frammentazione quasi senza limiti. C’è un modo di stare entro queste relazioni sociali virtuali alludendo all’universale? Non lo so. Non lo so perché non l’ho sperimentato direttamente. Provo a dirlo pronunciando, mi si passi il termine, una bestemmia. E la bestemmia è la parola “Estetica”. Una bestemmia per noi, ovviamente. Per la nostra cultura così fin troppo banalizzata dalla politica. Questa bestemmia anche i comunisti devono trovare la forza di pronunciarla. E di praticarla. Abbiamo poche alternative, credo. E il giornalismo militante ne è pienamente investito. Non parlo ovviamente delle “belle lettere” ma dell’unica estetica possibile, ovvero quella che fa vivere lo sconvolgimento positivo dell’emozione di se.
Andiamo velocemente alle proposte:
Cosa si dovrebbe fare per uscire dall’impasse?
• Innanzitutto, tornare ad abbracciare l’idea che la professionalità va spesa su più piani e uno di questi è l’informazione come servizio. Questo vuol dire trattare i contenuti in modo diverso da come facciamo oggi fornendo al lettore non il punto di arrivo come centro del ragionamento ma il percorso.
• Dedicarsi di più alla diffusione dei contenuti curando le reti a partire dal presupposto che queste funzionano in base al principio della relazionalità e dell’orizzontalità. Ci sono reti e reti, naturalmente. Ognuna va approcciata con il suo stile e, possibilmente, individuando la sua grammatica e parlando il suo linguaggio.
• Dare un maggior peso a tutto ciò che riguarda l’immagine, la grafica, il video, fino al punto da renderli se non proprio autonomi almeno parlanti.
• Creare consorzi di scopo tra operatori dell’informazione da una parte e tra questi e le varie comunità di riferimento fino a dar vita a un sistema di “vasi comunicanti”.
Consorzi di scopo
Il consorzio di scopo serve:
• a fare “massa critica”. Ci sono diversi momenti in cui nel web è importante fare massa critica. Uno di questi è il tweetstorm, per esempio. Quello che abbiamo potuto constare, per esempio, nel numero delle letture di un pezzo è che ci sono dei valori soglia raggiunti i quali un contenuto decolla nell’audience.
• a strutturare una divisione del lavoro tra testate di diversa natura, tra informazione e comunicazione, in modo da potenziare la visibilità del messaggio e dei contenuti lavorando su appropriatezza, contestualità e attualità.
• a investire collettivamente su grafica creativa, video, immagini.
• a creare reti per il fund raising
• ad affinare collettivamente la conoscenza degli strumenti attraverso vere e proprie scuole di formazione
• a creare un luogo collettivo di riflessione permanente.
• a formare e curare reti
• a lavorare sui fondamentali dell’informazione, come i codici dello storytelling, le metafore della contro narrazione, le “grammatiche interpretative”, etc.
• a investire collettivamente sulle inchieste e gli approfondimenti rispetto ai grandi temi: l’urbanistica, salute e infortuni sul lavoro, l’ambiente, la precarietà, etc.
Marx, comunismo e il presente
Nel definire il comunismo al là di qualsiasi delirio ideologico Marx disse con chiarezza tutto quello che c’era da dire, spingendosi fino al punto di costruire un fondamento che dal suo punto di vista doveva essere transnazionale e che invece sta diventando trans-temporale. Il comunismo è il movimento reale che abbatte lo stato di cose presente. Bene, sono tra coloro i quali pensano che da qui si debba partire per definire i comunisti. I comunisti sono quelli che questo presente da cambiare ce l’hanno saldamente in testa e in mano. Se così non fosse saremmo solo una accolita di inguaribili nostalgici. Dico presente, e non modernità, sia chiaro. Che c’entra questo con l’informazione e la comunicazione? Dico che informazione e comunicazione oggi hanno oggi un peso specifico maggiore che in passato nel determinare la percezione del presente e la conseguente sua esplicitazione attraverso una formula politica. Lì la politica non è in crisi, ma certo dovrà adeguare i suoi strumenti. Il presente non ci può che arrivare dalla riflessione sul presente. Non ci sono scorciatoie, né dietro né avanti. Ci sono insegnamenti e proiezioni, questo sì; ma non formule pret a porter.
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