Un commento a caldo su quanto accaduto
oggi: qualcosa di straordinario. E' importante che tutti se ne
accorgano, lo facciano proprio. Proviamo a sintetizzare in dieci punti:
1. Da tempo dicevamo che in questo paese stava succedendo qualcosa.
E stava succedendo dalle parti dei "nostri", di operai, lavoratori
dipendenti, di tutta quella composizione maggioritaria del mondo del
lavoro la cui conflittualità non riusciva ad avere visibilità mediatica e
restava spesso confinata nel perimetro delle vertenze.
2. Nelle ultime settimane l'attacco sempre più aggressivo e arrogante del Governo Renzi, che dopo il gioco pre-elettorale degli 80 euro, sotto la spinta della crisi, si andava sempre più a spostare sulle esigenze padronali, ha fatto sì che tanti lavoratori prendessero consapevolezza della natura di questo governo, e dessero alla loro conflittualità (che spesso proveniva da anni di frustrazione e da assenza di futuro) un orizzonte politico di opposizione. Scioperi spontanei, petardi a Bergamo, migliaia di iniziative diffuse contro il jobs act che abbiamo cercato di documentare.
3. Il 25 ottobre della CGIL ha rappresentato un primo momento di sintesi e di espressione di questa volontà politica proletaria. Alla manifestazione la CGIL e la FIOM ci sono arrivati sotto la spinta della base. Spinta che si manifestava in assemblee sindacali piene, in volontà di partecipazione, in rabbia. Quella manifestazione poteva essere ritualistica, una mossa di apparato: sono invece scesi in piazza un milione di persone. A parte l'involucro stantio che gli aveva dato il sindacato, la piazza esprimeva qualcosa di vivo, qualcosa che aveva intorno a sé la capacità di agglutinare anche altre forze.
4. Arriviamo ad oggi. E oggi che è successo? Oggi abbiamo visto che la contraddizione fra capitale e lavoro, l'inconciliabilità dei loro interessi, si è palesata. A Roma si sono incrociate più vertenze operaie, per la prima volta non più mediabili, perché non c'era più niente da raccontare, niente più da far ingoiare. La forza del capitale e dei suoi servi sta proprio nel nascondere questa contraddizione, la forza dei proletari sta proprio nel renderla evidente. E quando si rende evidente non ce n'è più per nessuno: ognuno deve capire da che parte stare.
5. Oggi si dimostra ancora una volta che "non è tanto la grandezza della piazza o la violenza dello scontro, ma l'incidenza nella sfera della produzione della ricchezza a dare a chi si mobilita una potenza enorme" (lo scrivevamo in DOVE SONO I NOSTRI). Se un corteo di 500 operai apre un caso politico, costringe il Governo alle scuse, a incalzare i vertici della polizia, tutta l'Italia a dover prendere posizione, è perché il grado di consenso di massa che raccoglie chi lavora e lotta per la propria vita è incredibile.
6. Questa forza la nostra classe la conosce bene, ce l'ha nella memoria, ce l'ha nella potenza delle sue ragioni. Solo per questo motivo persone "disabituate" allo scontro resistono a mani nude di fronte a cariche così forti, solo per questo motivo la polizia è costretta a retrocedere. La resistenza degli operai di Terni vista in piazza è già da oggi una delle pagine più belle della storia di questo paese.
7. Adesso che succede? Cosa si fa noi? Possiamo limitarci a guardare la televisione ed esaltarci perché ci sono stati gli scontri. Possiamo invece assumere un atteggiamento del cazzo e filosofeggiare sul fatto che tutto comunque nasce e ritorna sotto il cappello della CGIL, ovvero all'interno di un'organizzazione sindacale in cui buona parte della dirigenza è più che riformista e "traditrice" degli interessi operai. Sarà. Ma l'unico dato di fatto incontrovertibile è che si è aperto uno spazio, uno spazio all'interno del quale la conflittualità operaia e proletaria più generale può vivere. Non si può restare fuori ed essere schizzinosi perché non ci piace la forma che ha questo spazio: bisogna starci dentro, bisogna costruirlo da dentro, bisogna allargarlo. La realtà la prendiamo per quella che è, e a vedere le ultime settimane non è manco tanto male: è gravida di speranza.
8. Anche perché c'è una contingenza che ci facilita. Il Governo Renzi non vuole cedere, forse ormai non può cedere. La stessa arroganza con cui ha presentato il suo discorso gli impedisce di tornare facilmente indietro. Il Governo Renzi è una bolla speculativa: può crescere finché si alimenta dei successi mediatici e di una presunta capacità di gestire le situazioni, ma come compare una crepa il giochino può incepparsi. Se vogliamo dirla tutta, oggi si stanno cacando sotto, dimostrano la loro fondamentale insicurezza e inconsistenza. Sono pericolosi, certo, ma sono una tigre di carta. Possono prendere fuoco.
9. Cosa dobbiamo e possiamo fare noi? Quello che già facciamo, moltiplicato però per mille, per diecimila, per tutti i compagni che siamo in Italia. Dobbiamo stare nelle vertenze, unirle - come dimostrano i successi organizzativi che stanno ottenendo i compagni di Livorno. Supportare la resistenza, costruire comitati autonomi di lavoratori, intersindacali, intercategoriali, che pongano al centro le nostre esigenze e la solidarietà di classe. Costruire tutti insieme - lavoratori più meno precari, studenti, disoccupati - una vera opposizione a questo governo. Non in generale alla "crisi", all'"austerity", ma a QUESTO governo che fa QUESTE politiche, per metterlo in difficoltà, farlo arretrare, prendere sicurezza in noi stessi. E così preparare l'offensiva: un momento di rilancio, di estensione di diritti, di aumento di salari etc.
10. E soprattutto: dobbiamo crederci, cazzo. Crederci maledettamente, come gli operai di Terni davanti ai manganelli.
2. Nelle ultime settimane l'attacco sempre più aggressivo e arrogante del Governo Renzi, che dopo il gioco pre-elettorale degli 80 euro, sotto la spinta della crisi, si andava sempre più a spostare sulle esigenze padronali, ha fatto sì che tanti lavoratori prendessero consapevolezza della natura di questo governo, e dessero alla loro conflittualità (che spesso proveniva da anni di frustrazione e da assenza di futuro) un orizzonte politico di opposizione. Scioperi spontanei, petardi a Bergamo, migliaia di iniziative diffuse contro il jobs act che abbiamo cercato di documentare.
3. Il 25 ottobre della CGIL ha rappresentato un primo momento di sintesi e di espressione di questa volontà politica proletaria. Alla manifestazione la CGIL e la FIOM ci sono arrivati sotto la spinta della base. Spinta che si manifestava in assemblee sindacali piene, in volontà di partecipazione, in rabbia. Quella manifestazione poteva essere ritualistica, una mossa di apparato: sono invece scesi in piazza un milione di persone. A parte l'involucro stantio che gli aveva dato il sindacato, la piazza esprimeva qualcosa di vivo, qualcosa che aveva intorno a sé la capacità di agglutinare anche altre forze.
4. Arriviamo ad oggi. E oggi che è successo? Oggi abbiamo visto che la contraddizione fra capitale e lavoro, l'inconciliabilità dei loro interessi, si è palesata. A Roma si sono incrociate più vertenze operaie, per la prima volta non più mediabili, perché non c'era più niente da raccontare, niente più da far ingoiare. La forza del capitale e dei suoi servi sta proprio nel nascondere questa contraddizione, la forza dei proletari sta proprio nel renderla evidente. E quando si rende evidente non ce n'è più per nessuno: ognuno deve capire da che parte stare.
5. Oggi si dimostra ancora una volta che "non è tanto la grandezza della piazza o la violenza dello scontro, ma l'incidenza nella sfera della produzione della ricchezza a dare a chi si mobilita una potenza enorme" (lo scrivevamo in DOVE SONO I NOSTRI). Se un corteo di 500 operai apre un caso politico, costringe il Governo alle scuse, a incalzare i vertici della polizia, tutta l'Italia a dover prendere posizione, è perché il grado di consenso di massa che raccoglie chi lavora e lotta per la propria vita è incredibile.
6. Questa forza la nostra classe la conosce bene, ce l'ha nella memoria, ce l'ha nella potenza delle sue ragioni. Solo per questo motivo persone "disabituate" allo scontro resistono a mani nude di fronte a cariche così forti, solo per questo motivo la polizia è costretta a retrocedere. La resistenza degli operai di Terni vista in piazza è già da oggi una delle pagine più belle della storia di questo paese.
7. Adesso che succede? Cosa si fa noi? Possiamo limitarci a guardare la televisione ed esaltarci perché ci sono stati gli scontri. Possiamo invece assumere un atteggiamento del cazzo e filosofeggiare sul fatto che tutto comunque nasce e ritorna sotto il cappello della CGIL, ovvero all'interno di un'organizzazione sindacale in cui buona parte della dirigenza è più che riformista e "traditrice" degli interessi operai. Sarà. Ma l'unico dato di fatto incontrovertibile è che si è aperto uno spazio, uno spazio all'interno del quale la conflittualità operaia e proletaria più generale può vivere. Non si può restare fuori ed essere schizzinosi perché non ci piace la forma che ha questo spazio: bisogna starci dentro, bisogna costruirlo da dentro, bisogna allargarlo. La realtà la prendiamo per quella che è, e a vedere le ultime settimane non è manco tanto male: è gravida di speranza.
8. Anche perché c'è una contingenza che ci facilita. Il Governo Renzi non vuole cedere, forse ormai non può cedere. La stessa arroganza con cui ha presentato il suo discorso gli impedisce di tornare facilmente indietro. Il Governo Renzi è una bolla speculativa: può crescere finché si alimenta dei successi mediatici e di una presunta capacità di gestire le situazioni, ma come compare una crepa il giochino può incepparsi. Se vogliamo dirla tutta, oggi si stanno cacando sotto, dimostrano la loro fondamentale insicurezza e inconsistenza. Sono pericolosi, certo, ma sono una tigre di carta. Possono prendere fuoco.
9. Cosa dobbiamo e possiamo fare noi? Quello che già facciamo, moltiplicato però per mille, per diecimila, per tutti i compagni che siamo in Italia. Dobbiamo stare nelle vertenze, unirle - come dimostrano i successi organizzativi che stanno ottenendo i compagni di Livorno. Supportare la resistenza, costruire comitati autonomi di lavoratori, intersindacali, intercategoriali, che pongano al centro le nostre esigenze e la solidarietà di classe. Costruire tutti insieme - lavoratori più meno precari, studenti, disoccupati - una vera opposizione a questo governo. Non in generale alla "crisi", all'"austerity", ma a QUESTO governo che fa QUESTE politiche, per metterlo in difficoltà, farlo arretrare, prendere sicurezza in noi stessi. E così preparare l'offensiva: un momento di rilancio, di estensione di diritti, di aumento di salari etc.
10. E soprattutto: dobbiamo crederci, cazzo. Crederci maledettamente, come gli operai di Terni davanti ai manganelli.
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