La finanziaria di Renzi? Serve per allargare il terzo mercato
obbligazionario al mondo. Quello del debito italiano. Qualsiasi promessa
sarà quindi finanziarizzata.
Cercare una logica nella bozza, anzi
nelle bozze, di finanziaria del governo Renzi significa sicuramente
uscire dal surreale politicismo italiano. Di un tipo di surreale per cui
si pensa che ogni mossa del governo viene fatta per rispondere alla
Camusso, a Bersani, a Berlusconi e ora magari anche a Luxuria nuova
re-entry nel set della politica istituzionale. Anche le metafore
antropromorfiche abbondantemente usate pure per la politica europea -la
Merkel, Juncker, Draghi- ci spiegano poco.
La finanziaria è ragion di
stato, anzi di governance europea e di mercati globali, e quindi solo
gli esempi che vanno ben al di là della metafora dei rapporti tra
persone ci fanno effettivamente capire quale posta in gioco ci sia nelle
mosse del governo.
Allo stesso tempo pensare che le mosse del governo
siano razionali, entro un'idea di politica che viaggia tra i poli
opposti dal mito del razionalismo statuale al complottismo, è non tenere
conto delle forze instabili che si giocano non solo in ogni finanziaria
ma in ogni atto dove ci siano amministrazione, politica istituzionale e
santificazione dei media. Si tratta quindi di capire che logica stia
uscendo dalla finanziaria Renzi senza pensare che che questa sia frutto
di chissà quale superpiano. Sia esso preparato a Roma a Bruxelles e a
Londra. Allo stesso tempo niente di quello che si sta, anche
sconbinatamente muovendo, è per motivi banali. Ma andiamo per gradi.
Prima di tutto parliamo di cifre.
Ad agosto nel governo Renzi, almeno
ufficialmente, parlare di manovra autunnale era forzatura. Non solo,
anche una manovra che restringeva il bilancio dello stato di una
quindicina di miliardi era una vera e proria bestemmia. Parola di Padoan
e, figurarsi, anche di Renzi. Poi arrivano i dati sull'economia, sul
debito pubblico, sullo stato delle banche europee, sulla crisi
dell'eurozona (tutto largamente atteso). E la manovra non solo spunta in
cifre considerevoli ma anche nella dimensione dei 30 miliardi. E qui la
domanda: ma, per come si sta configurando la manovra, quale è la logica
che finisce per sostenerla?
La risposta è complessa ma c'è un
aspetto che ci aiuta a comprendere una complessità che gioca su
conflitti, interessi perversi, crisi del comando finanziario e delle
logiche produttive. L'insistenza sul tre per cento, dei parametri di
deficit rispetto al Pil fissati da Bruxelles, che va in primo piano
rispetto a ciò che viene chiamato consolidamento del debito pubblico. In
poche parole, il governo persegue la tenuta dell'avanzo primario di
bilancio (il saldo attivo, a favore dello stato, tra tasse da una parte e
servizi e investimenti pubblici dall'altra) mentre trascura il
consolidamento del debito (che, indici previsionali alla mano, è sempre
più difficile visto che il debito non cessa di allargarsi). Ma se lo
stato, per i servizi che eroga e i minori investimenti che sostiene,
tiene il deficit sotto il tre per cento come fa il debito ad allargarsi?
Anche, come sostiene lo stesso Def del governo (che è documento
ufficiale per eccellenza), in presenza di una riduzione di spesa per
interessi.
Prima di tutto questo accade perché, nonostante un'alta
pressione fiscale, le entrate diminuiscono. Per la crisi economica,
visto che le tasse esistenti si applicati ai tassati ben conosciuti.
Secondo perché pensioni (l'invecchiamento della popolazione) e cassa
integrazione (anche qui, la crisi) si fanno sentire sul debito
nonostante i feroci tagli degli ultimi 20 anni nelle rispettive materie.
C'è poi un terzo punto, piuttosto serio, che fa capire queste ulteriori
dinamiche di allargamento. È la struttura fluttuante del debito
pubblico italiano. Che è tale per cui il debito deve essere spesso
rinegoziato (e quindi collocato sui mercati finanziari). Si capisce
quindi cosa accade al debito in Italia: nonostante la tenuta del saldo
primario di bilancio, e quindi il contrarsi dei servizi sociali e degli
investimenti legati a welfare e beni pubblici, pensioni (fattore
demografico anzi, biopolitico), cassa integrazione (fattore crisi) e
debito rinegoziato (in modo che finisce per allargarsi nonostante la
contrazione, presente nel Def, della spesa per interessi, per non
parlare dei giochetti degli hedge fund in materia).
Non stiamo qui a vedere se Renzi
sosterrà davvero Confindustria con sgravi e bonus. Cerchiamo di capire
verso quale logica muove la finanziaria. Se è questa, tenere sul deficit
e allargare il debito, è presto detto: si fa un grande favore ai
mercati finanziari. Allargando il terzo mercato obbligazionario al
mondo.
Che la cosa non piaccia a Bruxelles è palese: tutta l'architrave
della governance europea, ad egemonia tedesca, si basa sulla contrazione
del debito. Per marcare la forza del capitalismo Ue che, proprio perché
sottostà alle regole tedesche, dovrebbe assumere questa legge aurea:
"vendere merci europee con moneta prestata dall'Europa". Con un alto
debito pubblico continentale questo non è possibile.
Peccato che la fuga
dall'euro, come da studi Deutsche Bank, stia avvenendo, che la crisi Ue
sia fortissima e che la legge aurea sia in crisi. Il governo Renzi,
pure diviso al proprio interno, prova così a piazzarsi in una linea
mediana tra le attuali logiche di potenza: tenuta dell'avanzo primario
di bilancio (che piace a Berlino) e aumento del debito (che piace alla
finanzia anglo-americana e a chi acquista debito sovrano da tutto il
pianeta).
Qualsiasi promessa di Renzi sarà quindi
finanziarizzata. Andrà quindi ad aumentare un debito sovrano che
a)
renderà sembre più esacerbate le politiche di restrizione della spesa
pubblica e di aumento dell'avanzo primario di bilancio,
b) renderà
sempre più dipendente questo paese dalla tempeste finanziarie globali.
Sulla cui entità e dimensione c'è solo da scegliere.
Ma intanto vai con
lo stupidario della finanziaria -il tormentone idiota sulle categorie
che perdono o guadagnano, sull'evasione, sui costi della politca de
'noantri- e allarghiamo un po' il considerevole mercato italiano del
debito.
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