Parliamo di banche e di derivati. Tranquilli non delle nostre, sulle quali pure ci sarebbe da dire, ma di quelle made in Usa e made in Europa. Se c’è qualcosa che la storia possa insegnare è non ripetere gli errori passati. Eppure questa semplice assunzione è sempre più spesso disattesa.
Quando parliamo di banche è meglio farlo con i dati alla mano (sono quelli pubblici dell’Office of the Controller of the Currency – Occ). E i dati ci dicono che il totale dell’attivo delle prime 25 banche Usa a fine giungo 2014 era di 14,1 trilioni di dollari (14.000 miliardi), mentre il valore nozionale dei prodotti derivati in pancia alle stesse ammontava a 302,2 trilioni di dollari (302.200 miliardi). Di questi il 58.4% erano contratti swaps e il 16.6% contratti forward, tutti Over The Counter, ovvero contratti che non passano dai listini di nessuna borsa e i cui scambi sono organizzati da alcuni attori del mercato (spesso le banche stesse).
In altre parole per ogni dollaro di totale attivo, ce ne sono 21,4 di prodotti derivati. Ci si aspetterebbe che dopo la crisi finanziaria iniziata con i subprime che ha investito il mondo intero (ve la ricordate) e tutte le promesse fatte circa la regolamentazione del sistema bancario, la situazione sia migliorata. Invece è il contrario, è fortemente peggiorata: i dati al giugno 2006 indicano che l’ammontare del totale dell’attivo delle prime 25 banche made in Usa ammontava a 8,95 trilioni di dollari, mentre il valore nozionale dei contratti derivati era 124,3 trilioni di dollari, vale a dire che per ogni dollaro di attivo ne esistevano 13,9 (contro 21,4 del giugno 2014) di derivati. Detto in altri termini, la bomba Lehman Brothers non ha insegnato nulla alle banche made in Usa. Non ci vuole tanto per capire che il rischio complessivo del sistema bancario americano è decisamente maggiore oggi di quanto non lo fosse all’epoca del fallimento di Lehman. La volatilità (il rischio) di una perdita in conto capitale dei prodotti derivati è decisamente molto più elevata rispetto a quella media degli altri prodotti finanziari. E lo abbiamo visto nel picco della crisi, quando il valore di mercato di gran parte dei derivati era pari a zero.
Ma voglio essere buono, e immaginare una crisi legata magari a problemi valutari, oppure un cambio delle normative sul mercato dei derivati con una ipotetica imposizione di un limite massimo di esposizione, che scateni una conseguente ondata di vendite di questi strumenti finanziari (si parla di un fenomeno che si può verificare anche in pochi giorni o settimane), oppure una perdita di valore delle attività sottostanti, come per esempio un rialzo dei tassi di interesse dell’1%. Il valore nozionale dei contratti rimarrebbe probabilmente costante, ma cambierebbe significativamente il loro valore di mercato. Questo produrrebbe una forte oscillazione nei conti economici delle banche, aumentando la rischiosità complessiva del sistema dovuto ad un aumento dell’incertezza: non essendo a conoscenza di ogni singolo contratto è impossibile sapere chi guadagna e chi perde. Per inciso vi ricordate quando Jp Morgan ha perso 6,22 miliardi di dollari per un “banale errore”. E ancora, se una delle prime cinque banche Usa più esposte ai derivati secondo i dati dell’Occ (Jp Morgan, Citigroup, Goldmand Sachs, Bank of America o Morgan Stanley) facesse la fine della Lehman, che cosa succederebbe al sistema finanziario mondiale? Sarebbe la peggiore catastrofe della storia finanziaria.
Spostiamoci in Europa e prendiamo la più grossa banca Europea: Deutsche Bank. L’ammontare dei derivati che si legge nel bilancio 2013 (pag. 101) è di 54,7 trilioni di Euro (54.700 miliardi di euro), che vuol dire 20 volte il Pil tedesco o 5,7 volte il Pil dell’intera Europa. E’ vero che stiamo confrontando due grandezze diverse: un dato economico (Pil) con uno finanziario (derivati). Non esiste nessuna tuttavia nessuna crisi economica capace di ridurre dell’80-90% il Pil di un paese (nemmeno in Grecia è successo). Ma l’esposizione ai derivati può creare danni di diversi trilioni di euro anche in pochi mesi. E questo solo per una banca tedesca.
Non faccio lo iettatore di mestiere, ma i numeri stanno ad indicare che la possibilità che questo avvenga è sempre più concreta.
Quando parliamo di banche è meglio farlo con i dati alla mano (sono quelli pubblici dell’Office of the Controller of the Currency – Occ). E i dati ci dicono che il totale dell’attivo delle prime 25 banche Usa a fine giungo 2014 era di 14,1 trilioni di dollari (14.000 miliardi), mentre il valore nozionale dei prodotti derivati in pancia alle stesse ammontava a 302,2 trilioni di dollari (302.200 miliardi). Di questi il 58.4% erano contratti swaps e il 16.6% contratti forward, tutti Over The Counter, ovvero contratti che non passano dai listini di nessuna borsa e i cui scambi sono organizzati da alcuni attori del mercato (spesso le banche stesse).
In altre parole per ogni dollaro di totale attivo, ce ne sono 21,4 di prodotti derivati. Ci si aspetterebbe che dopo la crisi finanziaria iniziata con i subprime che ha investito il mondo intero (ve la ricordate) e tutte le promesse fatte circa la regolamentazione del sistema bancario, la situazione sia migliorata. Invece è il contrario, è fortemente peggiorata: i dati al giugno 2006 indicano che l’ammontare del totale dell’attivo delle prime 25 banche made in Usa ammontava a 8,95 trilioni di dollari, mentre il valore nozionale dei contratti derivati era 124,3 trilioni di dollari, vale a dire che per ogni dollaro di attivo ne esistevano 13,9 (contro 21,4 del giugno 2014) di derivati. Detto in altri termini, la bomba Lehman Brothers non ha insegnato nulla alle banche made in Usa. Non ci vuole tanto per capire che il rischio complessivo del sistema bancario americano è decisamente maggiore oggi di quanto non lo fosse all’epoca del fallimento di Lehman. La volatilità (il rischio) di una perdita in conto capitale dei prodotti derivati è decisamente molto più elevata rispetto a quella media degli altri prodotti finanziari. E lo abbiamo visto nel picco della crisi, quando il valore di mercato di gran parte dei derivati era pari a zero.
Ma voglio essere buono, e immaginare una crisi legata magari a problemi valutari, oppure un cambio delle normative sul mercato dei derivati con una ipotetica imposizione di un limite massimo di esposizione, che scateni una conseguente ondata di vendite di questi strumenti finanziari (si parla di un fenomeno che si può verificare anche in pochi giorni o settimane), oppure una perdita di valore delle attività sottostanti, come per esempio un rialzo dei tassi di interesse dell’1%. Il valore nozionale dei contratti rimarrebbe probabilmente costante, ma cambierebbe significativamente il loro valore di mercato. Questo produrrebbe una forte oscillazione nei conti economici delle banche, aumentando la rischiosità complessiva del sistema dovuto ad un aumento dell’incertezza: non essendo a conoscenza di ogni singolo contratto è impossibile sapere chi guadagna e chi perde. Per inciso vi ricordate quando Jp Morgan ha perso 6,22 miliardi di dollari per un “banale errore”. E ancora, se una delle prime cinque banche Usa più esposte ai derivati secondo i dati dell’Occ (Jp Morgan, Citigroup, Goldmand Sachs, Bank of America o Morgan Stanley) facesse la fine della Lehman, che cosa succederebbe al sistema finanziario mondiale? Sarebbe la peggiore catastrofe della storia finanziaria.
Spostiamoci in Europa e prendiamo la più grossa banca Europea: Deutsche Bank. L’ammontare dei derivati che si legge nel bilancio 2013 (pag. 101) è di 54,7 trilioni di Euro (54.700 miliardi di euro), che vuol dire 20 volte il Pil tedesco o 5,7 volte il Pil dell’intera Europa. E’ vero che stiamo confrontando due grandezze diverse: un dato economico (Pil) con uno finanziario (derivati). Non esiste nessuna tuttavia nessuna crisi economica capace di ridurre dell’80-90% il Pil di un paese (nemmeno in Grecia è successo). Ma l’esposizione ai derivati può creare danni di diversi trilioni di euro anche in pochi mesi. E questo solo per una banca tedesca.
Non faccio lo iettatore di mestiere, ma i numeri stanno ad indicare che la possibilità che questo avvenga è sempre più concreta.
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