Dopo che il Consiglio supremo di Difesa ha sancito come l’Italia sia in procinto di essere invasa dalle milizie del sedicente Stato islamico
(qualcuno che non ha mai sentito parlare di Photoshop deve aver visto
la bandiera nera sull’obelisco di San Pietro), è naturale immaginare che
i capi delle nostre forze armate siano chini a tracciare scenari di
guerra, a stanare le minacce dormienti dei combattenti islamici di
ritorno, a cercare di capire cosa davvero voglia il califfo Abu Bakr
al-Baghdadi. D’altronde un capo di stato maggiore ha uno stipendio che
veleggia sui 400 mila euro l’anno, usa gratis (compresa la servitù) un
alloggio di 400 metri quadrati o giù di lì, ha, ça va sans dire, una berlina con autista per non bagnarsi quando piove. Ovvio che dedichi tutto se stesso al servizio del Paese.
Naturalmente, first things first, le priorità per prime. E così, prima di metter mano ai piani di battaglia, il Capo di stato maggiore della Difesa, ammiraglio di squadra Luigi Binelli Mantelli, ha pensato meglio prendere carta e penna per scrivere nientepopodimeno che alla Camera dei deputati. Due pagine fitte fitte per spiegare che no, davvero, la legge che abolisce i limiti di statura
per gli arruolamenti nelle forze armate non si deve fare. Approvarla
sarebbe un disastro di proporzioni difficilmente immaginabili. “Le norme
prescriventi altezze minime….sono inscindibilmente connesse con la
piena funzionalità delle Forze armate….i cui compiti istituzionali sono
significativamente condizionati dalla prestanza fisica e dall’altezza
del personale”. E ancora: “Specifici parametri antropometrici
costituiscono il riferimento per la costruzione di unità navali, di
sommergibili, di velivoli, di velivoli tattici e persino dell’armamento
individuale”. Tralasciamo l’armamento individuale: è noto che una
pistola in mano a un bellimbusto di un metro e ottanta uccide meglio di
una maneggiata da un tappetto appena sopra il metro e mezzo (ma forse
l’ammiraglio stava pensando a qualche moderna durlindana da sfoderare al
momento opportuno, o forse alle bat’leh dei Klingon). Quanto poi ai “parametri antropometrici”
il nostro, da buon marinaio, dovrebbe ben sapere che è vero il
contrario: sommergibili, navi, aerei, carri armati se mai impongono
limiti massimi di statura, non minimi. Tant’è che non ti arruolano in
Marina se sei alto più di 1,95. Rischieresti di sbattere la testa troppe
volte. E anche nei carri armati, piccolo è bello. Non il contrario.
Naturalmente la frase finisce come di prammatica di questi tempi:
“Tali parametri…sono necessari….ai fini della piena interoperabilità”
con gli alleati. Un déjà vu, anzi un déjà entendu. Ricordate? F-35? Ci serve per poter interoperare con gli alleati. Non è ce lo chiede l’Europa, ma siamo a un millimetro.
Per il momento siamo ancora nell’apodittico. Lo dice lui. Nella seconda pagina arrivano invece le prove scientifiche, inconfutabili. “Alcuni studi degli Organi (scritto così, in maiuscolo, ndr) della sanità militare hanno fornito evidenza scientifica del fatto che gli introducendi (sic!, persino il correttore ortografico mi dà errore) parametri
della Proposta di legge in esame….presentano gravi limitazioni in
termini di attendibilità, riproducibilità e obiettività…tanto da
inficiare la validità della prova”. Messa così, come non fai a dargli
ragione? Anche perché, aggiunge il nostro ammiraglio, nei test si
ottengono “risultati sensibilmente diversi secondo l’idratazione del
candidato (devo bere o fare la pipì prima?), dei punti di misurazione della pliche (sarebbe plica, cfr treccani.it:
“lembo di cute sollevato e stretto fra le dita, di cui si misura lo
spessore con apposito strumento (plicometro), nelle ricerche volte a
valutare lo stato di nutrizione di un soggetto”), della quantità di apporto calorico (cioé? che faccio mi mangio un tramezzino o mi strafogo di gnocchi al ragù?)”. Ergo “insorgere di contenziosi di difficile gestione,
con possibile rischio di mancato reclutamento stante le difficoltà di
verificare il possesso dei nuovi parametri fisici”. Insomma, il nostro
ammiraglione, prove scientifiche alla mano, fa capire che rischiamo di
non poter più reclutare nessuno. Vuoi mettere l’altezza. Uno
stadiometro, via le scarpe, venti secondi e anche un furiere vi sa dire
la misura esatta. Sto par de ciufoli, non azzardatevi a misurare una statura se non avete mai sentito parlare del piano di Francoforte,
e non parliamo della lordosi lombare, può modificare il risultato di
centimetri. Il saggio Binelli Mantelli, prima di cimentarsi in questo
fervorino para-scientifico, avrebbe fatto bene a leggersi la vicenda di Concetta Gambacorta (non vorrei infierire, ma sembra un caso di scuola di nomen omen), aspirante
marescialla della Guardia di finanza, esclusa perché più bassa dei 161
centimetri di prammatica, ma rimisurata pochi giorni fa “con il suo
specialista, la Gdf con il suo colonnello misuratore, e a far da giudice
un collegio medico del Celio”, è risultata essere in realtà 161
centimetri e 3 millimetri. Per tre millimetri Martin non perse la cappa.
Ma torniamo un momento alla interoperabilità, mantra salvifico che
vorrebbe annullare qualsiasi obiezione. Se ci fermassimo alle parole del
nostro quadristellato ammiraglio noi potremmo interoperare praticamente
solo con gli irlandesi, gli unici a chiedere 162,5
centimetri di statura per gli arruolamenti. Gli americani si
accontentano di 58 pollici (inch) per le donne, pari a 147,32
centimetri, e 60 per gli uomini, cioè 152,4 centimetri.
Altro che i
ragazzoni del Midwest che ci fanno vedere al cinema. E gli inglesi?
Anche per loro 148 centimetri sono largamente sufficienti per fare il
militare. Persino nelle Coldstream Guards, quei soldati col colbacco che
fanno il cambio della guardia a Buckingman Palace, come prova questa eloquente foto. Questi, a differenza del corazziere di Renato Rascel,
non devono neppure “essere tutti uguali di statura/io perciò cammino
tutto dritto appresso al cocchio/che i miei compagni marciano in
ginocchio”. E per i francesi, che hanno evidentemente superato il complesso di Napoleone, 150 centimetri bastano e avanzano (dal dossier della Camera dei deputati sull’argomento statura).
La lettera dell’ammiraglio finisce elencando una serie di tremende ripercussioni
che si avrebbero se non si facesse come dice lui: si creerebbero
“discrasie che minerebbero l’unitarietà di status e di disciplina del
comparto Difesa e Sicurezza” (ma va là!) per cui l’approvazione della norma “rischia di minarne l’efficienza” (poffare!) senza contare “le significative ripercussione economiche derivanti dalla necessità di adeguamento dello Strumento Militare” (maiuscolo: che sia una mania?). Non sono un ammiraglio quadristellato per cui sicuramente mi sfuggono cose ad altri evidentissime: ma quali sarebbero queste ripercussioni economiche?
A me ne viene in mente una sola: accorciare i pantaloni delle divise.
Al cui costo spropositato si potrebbe rimediare facendo pagare il conto
del sarto ai mini-soldati. Sei piccolo, paga. Certo, se ai miei tempi ci
fossero state tutte queste diavolerie delle pliche non mi sarei potuto
togliere una delle più grandi soddisfazioni della vita. Alla visita di
leva un appuntato dei carabinieri mi mise sullo stadiometro, mi pesò e
mi misurò, per poi annunciare ad alta voce: “Un metro e ottantaquattro,
ottantatré chili: perfetto”. E i miei amici che mi chiamavano grasso.
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