Mentre ci si accapiglia sulle bozze di finanziaria e sui twitter, cioè sul niente, mentre si esaminano stormi di cifre piuttosto improbabili e ballerine che migrano nel vespero televisivo, ciò che scompare dall’orizzonte è il panorama generale, vale a dire il senso e la direzione di tutto questo. Sappiamo già che gli sconti di tasse verranno pagati dai cittadini con gli interessi e con una nuova e ipocrita macelleria sociale su tariffe e servizi per interposte Regioni, sappiamo già che i tagli giusti o sbagliati che siano toglieranno comunque risorse al sistema economico in nome dell’austerità, sappiamo che lo stimolo all’offerta è inutile dentro un calo della domanda, così come intuiamo che ogni accenno a manovre a debito, che nel caso specifico dovrebbero rimandare la diminuzione del deficit al 2,2%, facendolo rimanere al 2,9%, suscita una reazione sullo spread che vanifica i conti. Insomma come dice la stessa Stampa, giornale di Marchionne, l’insieme fa pensare a una manovra ideata per “comprare consenso alla maniera democristiana” in vista di nuove elezioni.
Ma che si sia critici o creduloni è la percezione dell’insieme che manca. Ammettiamo per un momento che le cifre della legge di stabilità siano in qualche modo plausibili, ammettiamo che passino a Bruxelles le dieci paginette semivuote (mancano le famose tabelle) consegnate alla commissione e già tema di ironia in Europa, quali saranno i risultati della presunta manovra da 36 miliardi ? Lo dice la stessa nota di aggiornamento al Def che è la fonte più ottimistica rintracciabile nell’intera galassia: l’aumento del pil nel 2015 dallo 0,5% stimato ( e gonfiato dall’inserimento nel prodotto interno lordo di stime sulla “produttività” del crimine e delle attività illegali) allo 0,6% e una diminuzione della disoccupazione in due anni dal 12,6 % al 12,5%. Mentre il debito pubblico aumenterebbe di soli due punti dal 131,6 al 133,4 del Pil artatamente ingrassato dai nuovi criteri di calcolo.
Dunque poca cosa, praticamente invisibile, anche nel caso si realizzasse davvero.
Il fatto è che siamo in una situazione radicalmente differente rispetto al 2011, quando si pensava di far fronte a un’emergenza, a una brutta nottata dopo la quale tutto sarebbe tornato come prima. Adesso l’emergenza si è cronicizzata perché la crisi si rivela sempre più di sistema e non un elemento ciclico come si ostinano a credere i talebani liberisti e gli jahidisti della Ue. Il contesto è quello in cui appare evidente che l’economia Usa è al palo, che la stessa Germania è in crisi, che non c’è alcuna ripresa, che i titoli spazzatura sono più di quelli presenti nel 2008, che i valori azionari sono gonfiati dagli auto acquisti massicci dei grandi gruppi per creare utili simulati, che l’Europa è prigioniera dell’austerità che deriva dalle regole necessarie alla sopravvivenza dell’euro, che le banche europee sono piene di titoli tossici o inaffdabili per cifre colossali, la sola Deutsche Bank ne ha per 55 mila miliardi.
Quanto potrà durare ancora questo gioco al massacro che si intreccia con gli epocali cambiamenti geopolitici che sono maturati proprio quest’anno? La falsa primavera disegnata sui fondali dei media occidentali lo scorso anno, sta lasciando il posto a un’aria di tempesta, avvertita ormai dappertutto e per proteggerci dalla quale ci stiamo attrezzando di ombrellini di carta da giornale .
E’ chiaro che tutti gli equilibri e i trattati vanno riscritti, che l’eurozona va completamente rifondata e che un auspicabile ritorno alle monete nazionali come strumento di scambio interno, deve passare attraverso un concordato continentale e una gestione democratica e partecipata degli aggiustamenti necessari. Mai come in questo momento in cui i problemi di fondo vengono nascosti e confusi dal chiasso, ci sarebbe bisogno di discutere su di essi e mai come ora avremmo bisogno di un governo autorevole e dalla vista lunga invece di un premier la cui prospettiva è quella delle ore e del comunicato stampa.
La volatilità delle borse, la spada di Damocle di una nuova armageddon finanziaria, la sensazione di trovarsi di fronte a conti truccati, crea una nuova sfiducia e fa rialzare la testa allo spread a dimostrazione che nessuno considera la possibilità che l’Italia sia in grado di onorare il proprio gigantesco debito titolato in euro, se non attraverso una totale termondizzazione del suo mercato del lavoro e una scomparsa del welfare. Qualcosa che soltanto il peso dell’Europa nel suo insieme può garantire. E così siamo dentro una situazione da comma 22 nella quale la classe dirigente del Paese ci ha cacciati: non possiamo sopravvivere con le regole europee che non abbiamo la forza di cambiare, ma neanche sottraendoci alle regole europee. Non così comunque, con le bugie e con le farse di governicchi insensati e cialtroni.
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