Il
V congresso del Prc dell’Umbria assume e approva la relazione del
segretario regionale e le conclusioni del compagno della segreteria
Nazionale Raffaele Tecce.
Contesto politico internazionale e nazionale
L’inasprimento delle politiche neoliberiste europee e l’escalation
militare che caratterizzano da tempo il quadro politico nazionale e
globale stanno conoscendo in questi mesi un’ulteriore, grave evoluzione;
in un contesto di crisi permanente, il compimento della lunga stagione
di globalizzazione economica capitalista, iniziata alla fine del XX
Secolo, si articola sempre più in una competizione globale per il
controllo delle economie periferiche rispetto ai grandi centri di
concentramento del capitale, inaugurando di fatto un’era neoimperialista
nei rapporti internazionali.
La guerra su procura scatenata dalla NATO in Ucraina, la
destabilizzazione degli stati arabi del mediterraneo tramite il sostegno
alle forze reazionarie islamiste, come nel caso della Siria, la recente
aggressione israeliana a Gaza, sono l’emblema di un processo di
ristrutturazione neoautoritaria che, di fronte all’impossibilità da
parte delle grandi centrali politico-finanziarie di ravvivare il ciclo
di valorizzazione del capitale, cerca attraverso la guerra di garantirsi
l’accesso a nuovi mercati, al fine di drenarne le risorse naturali ed
economiche e di impedire il sorgere di blocchi politici, sociali ed
economici avversi.
In questo senso, la strategia della guerra globale rappresenta la
proiezione internazionale delle misure di politica interna ferocemente
liberiste e di austerità praticate in questi anni in Europa, con l’uso
politico del debito pubblico ai fini dello smantellamento dello stato
sociale, della demolizione delle norme a tutela del lavoro, della
privatizzazione dei beni comuni e della restrizione degli spazi di
democrazia, tutti presentati all’opinione pubblica attraverso una
strisciante opera di manipolazione come voci di spesa da tagliare.
In Italia, la nascita del Governo Renzi ha segnato in questo senso un
salto di qualità nell’offensiva tecnocratica contro il principio della
sovranità popolare, a cui si è di fatto sostituita la sovranità del
libero mercato, sancita dalla costituzionalizzazione del pareggio di
bilancio. Questo è appunto il significato profondo del disegno di
riforma costituzionale avanzato in queste settimane, che oltre alla fine
dell’elettività del Senato e alla cancellazione delle Provincie prevede
un radicale accentramento di poteri nelle mani del Governo e la
privazione degli enti di governo territoriali, a partire delle Regioni,
di funzioni fondamentali nell’esercizio del proprio ruolo, sancendo di
fatto, con l’ulteriore riduzione delle risorse sancita dal prossimo
ciclo di spendig review, la fine del regionalismo italiano.
Ancora una volta le istanze di democrazia, di trasparenza, di
moralità, vengono tradite dalle decisioni del Governo, intento con tale
riforma ad avere una Camera quasi monopolizzata dal partito più forte,
che controllerà in questo modo il processo legislativo, l’elezione del
Presidente della Repubblica, della Corte Costituzionale e del Consiglio
Superiore della Magistratura. Un autentico golpe bianco, che fa carta
straccia persino dell’autonomia della magistratura rispetto al potere
legislativo ed esecutivo.
Coerenti con questo impianto sono i provvedimenti economici assunti
con il recente “Sblocca Italia”, che non solo perpetua la sciagurata
strategia delle grandi opere – come la TAV e, nel caso umbro,
trasformazione della E45 in autostrada – e la contestuale sottomissione
delle comunità locali, ma addirittura accentra a livello ministeriale il
potere autorizzativo per una serie di interventi, come le attività
estrattive, l’incenerimento dei rifiuti, la produzione di energia e ogni
altra opera ritenuta di interesse nazionale, mentre nulla viene
previsto per la manutenzione e messa in sicurezza del territorio e delle
scuole, per le bonifiche e la lotta al dissesto idrogeologico.
Parimenti, le riforme messe in atto nel mercato del lavoro
determinano un ulteriore, sciagurato sviluppo dell’opera ormai decennale
di cancellazione dei diritti dei lavoratori. Il nuovo Job Act, con
l’universalizzazione del contratto di lavoro a termine, l’abolizione
dell’articolo 18 tramite la generalizzazione del sistema
dell’indennizzo, la riduzione degli ammortizzatori sociali e fine della
cassa integrazione in caso di chiusura aziendale, l’ulteriore
flessibilizzazione e inasprimento delle condizioni di lavoro, con
l’introduzione del demansionamento e della sorveglianza a distanza dei
lavoratori, rappresenta il compimento dell’attacco al mondo del lavoro
di Berlusconi e Monti e dell’Europa di Juncker e Draghi, con l’obiettivo
di rendere tutti definitivamente precari.
In un colpo solo cade dunque ogni residua illusione sulla
contendibilità sul piano istituzionale tanto delle scelte del Governo,
quanto di quelle del Partito Democratico, che manifesta in questo modo
il suo volto classista ed antipopolare, decidendo di andare oltre la
stessa manomissione dell’articolo 18 e degli ammortizzatori sociali già
attuata con la Riforma Fornero dal Governo Monti, con il beneplacito
dell’allora segretario Bersani.
Si conferma in questo modo la strumentalità della dialettica interna
al Partito Democratico, dove il presunto dissenso, ostaggio dello
strapotere del segretario-premier e del terrore di perdere posizioni in
caso di nuove elezioni, non solo è incapace di dare le risposte che la
crisi dilagante nel Paese dovrebbe ormai imporre agli esecutori
politici, ma è addirittura funzionale al mantenimento della pace sociale
ed al conseguimento degli obiettivi del Governo.
La manifestazione Cgil del 25 ottobre rappresenta un passaggio
cruciale nella costruzione dell’opposizione al neoliberismo nel nostro
Paese; un passaggio che conferma la positività della positiva
mobilitazione della Fiom che ha spinto tutta la confederazione a porre
argine alla modifica dell’art. 18. Mobilitazione che ci impegniamo a
sostenere con tutte le nostre forze, rafforzando esperienze come quella
degli autoconvocati delle RSU: anche da questa lotta parte la
ricostruzione della soggettività politica della sinistra.
Anche la manifestazione del 29 novembre de L’Altra Europa può rappresentare un passaggio importante per l’irruzione sulla scena politica della nuova soggettività unitaria e plurale della sinistra: appuntamento che nella nostra Regione sarà anticipato dall’assemblea regionale dei comitati locali de L’Altra Europa prevista per il 1° novembre.
Tutti appuntamenti in cui il PRC s’impegna alla mobilitazione.
Anche la manifestazione del 29 novembre de L’Altra Europa può rappresentare un passaggio importante per l’irruzione sulla scena politica della nuova soggettività unitaria e plurale della sinistra: appuntamento che nella nostra Regione sarà anticipato dall’assemblea regionale dei comitati locali de L’Altra Europa prevista per il 1° novembre.
Tutti appuntamenti in cui il PRC s’impegna alla mobilitazione.
L’Umbria di oggi
In questo senso, la sostanziale convergenza dei massimi esponenti del
Partito Democratico umbro, a partire dalla Presidente della Regione,
rispetto alla nuova stagione di controriforme promossa dal Governo, come
dimostrato da voto sul job act, dimostra la capillarità e la profondità
della trasformazione della natura politica di tale partito.
Di certo il centrosinistra che abbiamo conosciuto non c’è più. La
grande crisi economico e sociale che investe il continente e anche la
nostra regione da almeno sei anni ha profondamente cambiato la struttura
sociale e il tessuto produttivo dell’Umbria, ma ha sconvolto anche il
campo politico: Un ciclo si è chiuso, testimoniato in Umbria anche dalla
sconfitta nel capoluogo di regione. Occorre un cambio di passo per
evitare che i nostri territori vengano devastati da una crisi che ancora
produrrà effetti fortemente negativi, si deve approfondire il confronto
programmatico, si devono mettere in campo proposte, idee e interventi
credibili, non attardarsi in una discussione sterile e politicista.
Governare, oggi più che mai, significa creare condizioni per rilanciare
l’occupazione e far ripartire la crescita in una regione che perde
competitività e in molti indicatori è tornata indietro di 10 anni. Di
certo qualcosa non ha funzionato nel governo del centrosinistra, se
l’Umbria, in un’Italia che arretra, arretra relativamente di più nel
confronto con le altre regioni. Una fine che è già in atto e che pone
da tempo l’Umbria in perfetta continuità con tali trasformazioni
politiche, economiche e sociali, che infatti trovano nella nostra
Regione ulteriori elementi di conferma.
Con una disoccupazione attestata al 12,6%, pari ad oltre 51 mila
persone, a cui si aggiunge la quota di lavoratori soggetti alle misure
di cassa integrazione, con un livello di stipendi e salari del 5-6% più
basso della media nazionale, con la prospettiva di un ulteriore
incremento della quota di soggetti espulsi dal mondo del lavoro, specie a
fronte di vertenze industriali, come quella dell’AST, di portata
epocale per l’economia regionale e nazionale, l’Umbria si rivela una
regione sfinita dalla crisi economica.
Grave è stata l’incapacità di prevenire gli effetti della crisi e la
scelta di non aprire una dialettica forte con il Governo nazionale rispetto
alla situazione dell’economia regionale, come da noi richiesto nel 2012
con la proposta della “Vertenza Umbria”. L’irresolutezza e la miopia
che hanno determinato la bocciatura di quell’atto, lungi dall’esser
state superate, hanno trovato nel tormentato percorso di approvazione
della richiesta di riconoscimento dello stato di crisi industriale
complessa per l’area di Terni e Narni un’ulteriore conferma, al punto
che solo dopo la presentazione dello scellerato piano industriale per il
ridimensionamento dell’AST da parte di Thyssen-Krupp, il consiglio
regionale è stato capace, per una volta, di guardare in faccia la realtà
della crisi industriale.
In passato il sistema di welfare regionale e le politiche di piano in
ambito sanitario, di mercato del lavoro, di gestione dei servizi
pubblici, avevano offerto un terreno non solo di compensazione rispetto
alle tradizionali disfunzioni del sistema economico e produttivo
regionale, quali la bassa remunerazione e produttività, ma avevano
soprattutto definito un modello autonomo di sviluppo regionale,
coordinato con elementi di progresso sociale e di redistribuzione della
ricchezza.
Anni di politiche di austerità crescente, aggravati, dalla
difficoltà, a livello regionale, di operare una profonda ed efficace
revisione dei modelli decisionali e di governo del territorio, hanno
incrinato il patrimonio di esperienze, di valori, di idealità che
avevano nel tempo costituito il maggiore valore aggiunto della nostra
Regione.
L’Umbria, oltre ad esser stata abbandonata dal Governo nazionale di
fronte al carattere permanente della crisi vigente, è stata di fatto
lasciata sola a se stessa anche dal Governo regionale, all’interno della
quale peraltro la nostra capacità di incidere sulle scelte di fondo si è
rilevata inadeguata.
In quest’ultima legislatura il centrosinistra umbro ha in sostanza
liquidato la sua stessa identità politica, rinunciando preventivamente
tanto alla valorizzazione ed alla salvaguardia della specificità del
contesto socio-economico regionale, quanto al contrasto attivo dei
provvedimenti di volta in volta assunti dal Governo nazionale, specie
dopo la fine del Governo Berlusconi.
Ciò ha determinato la fine di ogni forma di pianificazione: manca ad
oggi un piano per il lavoro, in grado di rafforzare i nodi nevralgici
dell’economia regionale e promuovere le competenze diffuse nel tessuto
sociale, specie fra le giovani generazioni e fra i soggetti
progressivamente espulsi dal ciclo produttivo; si registra un grave
ritardo nella definizione di un piano sanitario, strumento
indispensabile, specie a fronte della riduzione delle risorse, per
programmare i servizi nel territorio e garantire l’adeguatezza e
l’appropriatezza delle misure offerte; mancano politiche di governo del
territorio in grado di garantire la salvaguardia dei beni comuni e del
patrimonio pubblico, come pure è mancata la volontà di contrastare
attivamente il progetto di trasformazione della E45 in autostrada; manca
un piano energetico, che solo potrebbe mettere al sicuro le comunità
locali e la popolazione dalla proliferazione di interventi speculativi
ed ambientalmente insostenibili, specie nel settore delle biomasse;
manca un piano per i rifiuti, che a fronte dei fallimenti delle
programmazioni precedenti poteva e doveva indirizzare il cuore verde
dell’Italia sulla strada del rifiuto di ogni forma d’incenerimento e
dell’adozione della strategia “Rifiuti Zero”, con tutte le positive
ricadute anche sul piano occupazionale che ne sarebbero derivate.
Al contrario, la nostra Regione ha registrato passivamente la perdita
o la compromissione di fondamentali poli produttivi, come dimostrano i
casi della Merloni, della Basell, della IMS, della Sgl Carbon e
dell’AST; uno scenario di strisciante dismissione produttiva e perdita
occupazionale, che riporta l’Umbria ad un passato preindustriale. Siamo
di fronte ad un modello di politica economica regionale che da un lato
acconsente alle politiche predatorie operate dalle multinazionali,
sacrificando al contempo le esperienze produttive autonome maturate in
questi anni, e dall’altro non produce innovazione e sostenibilità tanto
nel settore primario, in preda ad una crisi che sta sancendo anche nella
nostra regione la scomparsa della figura dell’imprenditore agricolo, in
favore di nuove forme di latifondismo, quanto nel commercio e
nell’artigianato, strettamente dipendenti dalla capacità di rilanciare
la domanda interna e di contrastare, con la tutela dei centri
commerciali naturali, la logica della grande distribuzione organizzata e
dell’urbanizzazione forzata, alle quali vengono invece sacrificate
ulteriori porzioni di territorio.
Nel territorio si registrano gli effetti del vuoto determinato dal
fallimento della riforma endoregionale, che non solo ha disatteso le
aspettative rispetto alla questione dei consorzi di bonifica e alla
realizzazione dell’Agenzia Forestale Regionale quale struttura deputata a
raccogliere gran parte dell’eredità e dell’esperienza delle Comunità
Montane, ma ha inoltre compromesso ogni forma di pianificazione dei
servizi pubblici locali, essenziale invece per un’efficace tutela dei
beni comuni. Fatto ancor più grave in merito alla pianificazione del
governo del territorio, è il recente via libera al progetto di
trasformazione della E45 in autostrada, la quale, oltre ad aggravare il
già precario equilibrio idro-geologico della regione, priva gli umbri
del libero accesso ad un asse fondamentale di collegamento tra i
territori, facendo pagare loro tramite il pedaggio la quota di utili
riservata ai privati lanciatisi in questa ennesima speculazione,
appesantendo peraltro il traffico nella viabilità secondaria.
Nel settore energetico, abbiamo assistito ad una grave
deregolamentazione della produzione di energia da fonti rinnovabili, che
compromette in prospettiva l’intero territorio regionale e rischia di
sottrarre ulteriori risorse alle autentiche specificità del territorio, a
partire dal suo patrimonio agro-forestale, paesaggistico e culturale.
Le scelte operate in questo ambito si pongono in stretta correlazione
con le misure recentemente adottate per la chiusura del ciclo dei
rifiuti, con le quali la Giunta regionale, con un’unanimità
inaccettabile e in contrasto con le battaglie sostenute in questi anni
dallo stesso PRC, ha di fatto dato il via libera alla produzione di CSS,
decidendo in questo modo di entrare attivamente in quel mercato
nazionale dei rifiuti che potrebbe vedere di qui a poco bruciare negli
inceneritori della conca ternana decine di migliaia di tonnellate di
rifiuti provenienti da altre Regioni, se non forse dalla stessa Umbria.
In questo quadro di profonda difficoltà e di involuzione politica,
Rifondazione Comunista, sia quando ha deciso di collocarsi all’interno
della coalizione di centrosinistra, sia quando ha compiuto scelte
differenti, ha sempre messo la “Politica”, al centro delle proprie
decisioni, con la consapevolezza che la collocazione elettorale è un
mezzo e non un fine: uno strumento per far valere all’interno delle
Istituzioni locali e regionali le ragioni dei lavoratori, di uno stato
sociale da tutelare e preservare, di uno sviluppo eco sostenibile da
promuovere e consolidare.
L’effetto congiunto dell’assenza di programmazione ha acuito gli
effetti della crisi economica e delle politiche di austerità,
contribuendo ad una contestuale crisi delle classi di governo locali che
già alle ultime elezioni amministrative si è manifestata in modo
dirompente, non solo con la rottura dell’alleanza di centrosinistra a
Terni e con le sconfitte elettorali di Perugia e Spoleto, ma più in
generale con la perdita di quel legame valoriale, prima ancora che
politico, con la popolazione umbra, la cui domanda di cambiamento è
tutt’oggi orfana di interpreti all’altezza della situazione. Una perdita
che impegna invece Rifondazione Comunista all’apertura di una nuova
fase politica, a partire dal riconoscimento della fine del
centrosinistra umbro così come l’abbiamo conosciuto.
Lavorare per l’altra Umbria
La crisi economica, le politiche di austerità, l’inasprirsi delle
politiche neoliberiste, la destrutturazione dell’articolazione
istituzionale del nostro Paese, sono la manifestazione dell’esaurimento
dei margini della redistribuzione e della democratizzazione all’interno
di un quadro di accordi con le forze riformiste, piegate ormai
inesorabilmente all’attuazione ad ogni livello di governo del territorio
degli obiettivi economici imposti dalla troika.
Di fronte a questo processo neoautoritario e repressivo di
disarticolazione della democrazia nel nostro Paese ed alla conclusione
del ciclo del centrosinistra umbro così come l’abbiamo conosciuto, si
pone ormai l’esigenza di aprire una nuova fase costituente
dell’opposizione politica e sociale, capace di superare la
frammentazione delle soggettività diffuse che si riconoscono nella
necessità di un’alternativa di società; un’esigenza che, per essere
soddisfatta, richiede una grande capacità di connettere i diversi
settori impegnati nel conflitto, stabilendo un comune orizzonte di
senso.
Il rifiuto del neoliberismo e delle politiche di austerità,
autentiche cause scatenanti della crisi economica e della restrizione
degli spazi di democrazia, rappresenta il vero terreno comune per la
ricostruzione di una soggettività politica e sociale unitaria della
sinistra italiana, la quale può concretizzarsi solo sancendo anche a
livello regionale la propria alterità e contrapposizione al renzismo in
tutte le sue declinazioni.
In questo senso è giusto sottolineare che quella della collocazione è
un punto di arrivo e non di partenza, da definire al termine di un
percorso sorretto da considerazioni e valutazioni di carattere politico
programmatico e non identitario.
Per questo è necessario individuare con nettezza le tematiche su cui
definire la proposta politica di Rifondazione Comunista: rimettere il
lavoro al centro delle politiche di governo della Regione, assumendo il
Piano per il lavoro elaborato nel 2013 dalla CGIL come la base di cui
sviluppare la futura programmazione regionale; difendere e rilanciare il
sistema sanitario regionale con l’approvazione del Piano Regionale
Sanitario che valorizzi la sanità pubblica e garantisca l’universalità
dei diritti; difendere e preservare il sistema stato sociale umbro,
garantendo il pieno rifinanziamento del PRINA e potenziando il ruolo dei
Comuni nella definizione dei servizi e delle prestazioni sociali nei
territori; proporre una fiscalità regionale basata sui principi di
progressività e redistribuzione del reddito, andando oltre i risultati
raggiunti rispetto alla revisione delle aliquote IRPEF regionali per
ottenre un extragettito dalle fasce alte, da destinare ad interventi per
le politiche sociali, per il diritto alla casa, per il contrasto attivo
alla crisi; un nuovo Piano Rifiuti che escluda l’incenerimento, e
adotti la strategia rifiuti zero, investendo sulla raccolta
differenziata e prevedendo modelli innovativi e ad alta tecnologia per
la chiusura del ciclo, funzionali alla crescita occupazionale ed alla
promozione di nuove filiere industriali nel settore del riciclo e del
riuso.
Su questi punti il PRC si impegna in un confronto serrato con le
altre forze politiche della del campo progressista, con la
consapevolezza che la scelta sulla collocazione e, conseguentemente, la
costruzione di un’alleanza di governo per la Regione dipenderanno
necessariamente dall’esito di questo percorso programmatico, che non
dovrà limitarsi alle sole forze politiche istituzionali, ma che sarà
nostro sforzo allargare anche alle realtà sociali presenti nella nostra
Umbria.
L’esperienza dei comitati per l’Altra Europa rappresenta un primo
passo fatto in questa direzione. Non solo perché si è conseguito, dopo
anni, la riaffermazione di una rappresentanza della sinistra
d’alternativa italiana nel Parlamento Europeo, ma soprattutto per la
capacità che hanno avuto i soggetti presenti nei comitati di proseguire
il cammino e di non disperdere quanto faticosamente unito sulla base di
una proposta radicalmente alternativa alle politiche messe in atto tanto
dal PSE quanto dal PPE e dai liberali.
Ciò dimostra appunto che è possibile sviluppare un nuovo percorso di
elaborazione programmatica autonomo e partecipativo, capace di
accogliere la domanda di cambiamento espressa dalla popolazione. Una
domanda che chiama in causa la Rifondazione Comunista dell’Umbria,
insieme a quanti credono nella possibilità e nella necessità di
un’alternativa di società.
Coerentemente con le scelte compiute a livello nazionale, il Partito
regionale umbro è dunque impegnato affinché l’Altra Europa non sia solo
un cartello elettorale, ma che possa essere anche un tassello importante
nel percorso di unità a sinistra nel quale la nostra organizzazione da
sempre è impegnata. Il nostro sforzo è che la costruzione del soggetto
della sinistra unitaria e plurale avvenga all’interno di un processo che
non deve essere verticistico e pattizio, bensì partecipativo ed
inclusivo, che sia basata su un forte impianto politico programmatico e
che abbia come obiettivo la ricomposizione sul terreno della politica
del blocco sociale del lavoro.
Per questo Rifondazione Comunista si impegna a partecipare
attivamente al lavoro dei comitati dell’Altra Europa in Umbria ed a
promuovere l’elaborazione di una proposta politico-programmatica in
grado di misurarsi con l’obiettivo del governo dell’Umbria.
Una proposta che parli di una “nuova politica”, per superare
l’astensionismo e l’esclusione, per combattere il vuoto di idee e di
programmi dei gruppi di potere politici ed economici che detengono il
controllo della Regione e di cui il Partito Democratico di Renzi è
espressione.
Allo stesso tempo, occorre salvaguardare e rilanciare la stessa
organizzazione della Rifondazione Comunista, il suo radicamento nei
territori, la sua capacità di azione, la sua sovranità: il PRC non si
scioglie e non si vuole ridurre ad associazione culturale o a mera
corrente interna di una costruenda sinistra, ma ribadisce se stesso e il
suo ruolo, in quanto partito politico che mantiene intatta la propria
titolarità nelle scelte politiche che deve compiere.
Noi dobbiamo interrogarci e confrontarci davvero su come costruire
L’Altra Europa in Umbria. Intanto sbaglia chi propone ipotesi sommatorie
tra Prc, Sel, PdCI, IdV e L’Altra Europa. Film già visto. Il titolo?
Rivoluzione Civile. È invece proprio l’esperienza de L’Altra Europa la
vera e più concreta possibilità per fare una sinistra umbra. E noi ci
siamo stati dall’inizio, a Perugia, a Terni sui territori. E ci siamo
oggi. I comitati locali umbri de L’Altra Europa si sono già incontrati
per iniziare un percorso fatto di contenuti e proposte in vista delle
elezioni regionali.
Siamo convinti infatti che le prossime elezioni regionali possono
essere l’occasione per rafforzare un percorso che, a partire
dall’esperienza alle europee de “L’Altra Europa con Tsipras” e della sua
presenza attiva, apre una fase nuova nello scenario politico regionale,
in discontinuità con le scelte del passato; una prova di maturità, che
faccia nascere una lista aperta, di persone, comitati, movimenti,
esperienze civiche e forze organizzate, che riconoscono la necessità di
percorrere la strada dell’autonomia e dell’alternativa e di dare voce e
rappresentanza alle fondamentali istanze di partecipazione, democrazia,
equità e benessere sociale.
Non è una strada che Rifondazione Comunista può percorrere da sola;
dobbiamo lavorare per promuovere un autentico percorso costituente dal
basso, basato sul principio “una testa un voto”, nella consapevolezza
che solo allargando l’ambito della discussione e operando una cessione
di sovranità verso i comitati dell’Altra Europa rispetto alla
costruzione della proposta politica per le prossime regionali, potrà
affermarsi una nuova soggettività politica nella quale sostenere le
ragioni e l’attualità del comunismo. Un passaggio inedito, che impegna
Rifondazione Comunista a promuovere nuove pratiche di condivisione delle
regole e delle scelte, nonché di costruzione, con altre soggettività ed
esperienze politiche e sociali, di un profilo organizzativo comune,
dando centralità all’attività assembleare tanto nell’elaborazione della
proposta politica quanto nell’individuazione dei suoi interpreti.
Questo, e non altro, significa lavorare per realizzare,
nell’immediato futuro, la proposta politica dell’Altra Umbria: l’Umbria
del lavoro, dell’ambiente, dei beni comuni, dei diritti, della
democrazia, della pace.
Su questa analisi e su questa linea politica il Congresso regionale
impegna il futuro gruppo dirigente di Rifondazione Comunista
dell’Umbria.
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