domenica 12 ottobre 2014

Il Documento Politico finale del V congresso del Prc dell’Umbria



rifondazione-bandieraIl V congresso del Prc dell’Umbria assume e approva la relazione del segretario regionale e le conclusioni del compagno della segreteria Nazionale Raffaele Tecce.
Contesto politico internazionale e nazionale
L’inasprimento delle politiche neoliberiste europee e l’escalation militare che caratterizzano da tempo il quadro politico nazionale e globale stanno conoscendo in questi mesi un’ulteriore, grave evoluzione; in un contesto di crisi permanente, il compimento della lunga stagione di globalizzazione economica capitalista, iniziata alla fine del XX Secolo, si articola sempre più in una competizione globale per il controllo delle economie periferiche rispetto ai grandi centri di concentramento del capitale, inaugurando di fatto un’era neoimperialista nei rapporti internazionali.
La guerra su procura scatenata dalla NATO in Ucraina, la destabilizzazione degli stati arabi del mediterraneo tramite il sostegno alle forze reazionarie islamiste, come nel caso della Siria, la recente aggressione israeliana a Gaza, sono l’emblema di un processo di ristrutturazione neoautoritaria che, di fronte all’impossibilità da parte delle grandi centrali politico-finanziarie di ravvivare il ciclo di valorizzazione del capitale, cerca attraverso la guerra di garantirsi l’accesso a nuovi mercati, al fine di drenarne le risorse naturali ed economiche e di impedire il sorgere di blocchi politici, sociali ed economici avversi.
In questo senso, la strategia della guerra globale rappresenta la proiezione internazionale delle misure di politica interna ferocemente liberiste e di austerità praticate in questi anni in Europa, con l’uso politico del debito pubblico ai fini dello smantellamento dello stato sociale, della demolizione delle norme a tutela del lavoro, della privatizzazione dei beni comuni e della restrizione degli spazi di democrazia, tutti presentati all’opinione pubblica attraverso una strisciante opera di manipolazione come voci di spesa da tagliare.
In Italia, la nascita del Governo Renzi ha segnato in questo senso un salto di qualità nell’offensiva tecnocratica contro il principio della sovranità popolare, a cui si è di fatto sostituita la sovranità del libero mercato, sancita dalla costituzionalizzazione del pareggio di bilancio. Questo è appunto il significato profondo del disegno di riforma costituzionale avanzato in queste settimane, che oltre alla fine dell’elettività del Senato e alla cancellazione delle Provincie prevede un radicale accentramento di poteri nelle mani del Governo e la privazione degli enti di governo territoriali, a partire delle Regioni, di funzioni fondamentali nell’esercizio del proprio ruolo, sancendo di fatto, con l’ulteriore riduzione delle risorse sancita dal prossimo ciclo di spendig review, la fine del regionalismo italiano.
Ancora una volta le istanze di democrazia, di trasparenza, di moralità, vengono tradite dalle decisioni del Governo, intento con tale riforma ad avere una Camera quasi monopolizzata dal partito più forte, che controllerà in questo modo il processo legislativo, l’elezione del Presidente della Repubblica, della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura. Un autentico golpe bianco, che fa carta straccia persino dell’autonomia della magistratura rispetto al potere legislativo ed esecutivo.
Coerenti con questo impianto sono i provvedimenti economici assunti con il recente “Sblocca Italia”, che non solo perpetua la sciagurata strategia delle grandi opere – come la TAV e, nel caso umbro, trasformazione della E45 in autostrada – e la contestuale sottomissione delle comunità locali, ma addirittura accentra a livello ministeriale il potere autorizzativo per una serie di interventi, come le attività estrattive, l’incenerimento dei rifiuti, la produzione di energia e ogni altra opera ritenuta di interesse nazionale, mentre nulla viene previsto per la manutenzione e messa in sicurezza del territorio e delle scuole, per le bonifiche e la lotta al dissesto idrogeologico.
Parimenti, le riforme messe in atto nel mercato del lavoro determinano un ulteriore, sciagurato sviluppo dell’opera ormai decennale di cancellazione dei diritti dei lavoratori. Il nuovo Job Act, con l’universalizzazione del contratto di lavoro a termine, l’abolizione dell’articolo 18 tramite la generalizzazione del sistema dell’indennizzo, la riduzione degli ammortizzatori sociali e fine della cassa integrazione in caso di chiusura aziendale, l’ulteriore flessibilizzazione e inasprimento delle condizioni di lavoro, con l’introduzione del demansionamento e della sorveglianza a distanza dei lavoratori, rappresenta il compimento dell’attacco al mondo del lavoro di Berlusconi e Monti e dell’Europa di Juncker e Draghi, con l’obiettivo di rendere tutti definitivamente precari.
In un colpo solo cade dunque ogni residua illusione sulla contendibilità sul piano istituzionale tanto delle scelte del Governo, quanto di quelle del Partito Democratico, che manifesta in questo modo il suo volto classista ed antipopolare, decidendo di andare oltre la stessa manomissione dell’articolo 18 e degli ammortizzatori sociali già attuata con la Riforma Fornero dal Governo Monti, con il beneplacito dell’allora segretario Bersani.
Si conferma in questo modo la strumentalità della dialettica interna al Partito Democratico, dove il presunto dissenso, ostaggio dello strapotere del segretario-premier e del terrore di perdere posizioni in caso di nuove elezioni, non solo è incapace di dare le risposte che la crisi dilagante nel Paese dovrebbe ormai imporre agli esecutori politici, ma è addirittura funzionale al mantenimento della pace sociale ed al conseguimento degli obiettivi del Governo.
La manifestazione Cgil del 25 ottobre rappresenta un passaggio cruciale nella costruzione dell’opposizione al neoliberismo nel nostro Paese; un passaggio che conferma la positività della positiva mobilitazione della Fiom che ha spinto tutta la confederazione a porre argine alla modifica dell’art. 18. Mobilitazione che ci impegniamo a sostenere con tutte le nostre forze, rafforzando esperienze come quella degli autoconvocati delle RSU: anche da questa lotta parte la ricostruzione della soggettività politica della sinistra.
Anche la manifestazione del 29 novembre de L’Altra Europa può rappresentare un passaggio importante per l’irruzione sulla scena politica della nuova soggettività unitaria e plurale della sinistra: appuntamento che nella nostra Regione sarà anticipato dall’assemblea regionale dei comitati locali de L’Altra Europa prevista per il 1° novembre.
Tutti appuntamenti in cui il PRC s’impegna alla mobilitazione.
L’Umbria di oggi
In questo senso, la sostanziale convergenza dei massimi esponenti del Partito Democratico umbro, a partire dalla Presidente della Regione, rispetto alla nuova stagione di controriforme promossa dal Governo, come dimostrato da voto sul job act, dimostra la capillarità e la profondità della trasformazione della natura politica di tale partito.
Di certo il centrosinistra che abbiamo conosciuto non c’è più. La grande crisi economico e sociale che investe il continente e anche la nostra regione da almeno sei anni ha profondamente cambiato la struttura sociale e il tessuto produttivo dell’Umbria, ma ha sconvolto anche il campo politico: Un ciclo si è chiuso, testimoniato in Umbria anche dalla sconfitta nel capoluogo di regione. Occorre un cambio di passo per evitare che i nostri territori vengano devastati da una crisi che ancora produrrà effetti fortemente negativi, si deve approfondire il confronto programmatico, si devono mettere in campo proposte, idee e interventi credibili, non attardarsi in una discussione sterile e politicista. Governare, oggi più che mai, significa creare condizioni per rilanciare l’occupazione e far ripartire la crescita in una regione che perde competitività e in molti indicatori è tornata indietro di 10 anni. Di certo qualcosa non ha funzionato nel governo del centrosinistra, se l’Umbria, in un’Italia che arretra, arretra relativamente di più nel confronto con le altre regioni. Una fine che è già in atto e che pone da tempo l’Umbria in perfetta continuità con tali trasformazioni politiche, economiche e sociali, che infatti trovano nella nostra Regione ulteriori elementi di conferma.
Con una disoccupazione attestata al 12,6%, pari ad oltre 51 mila persone, a cui si aggiunge la quota di lavoratori soggetti alle misure di cassa integrazione, con un livello di stipendi e salari del 5-6% più basso della media nazionale, con la prospettiva di un ulteriore incremento della quota di soggetti espulsi dal mondo del lavoro, specie a fronte di vertenze industriali, come quella dell’AST, di portata epocale per l’economia regionale e nazionale, l’Umbria si rivela una regione sfinita dalla crisi economica.
Grave è stata l’incapacità di prevenire gli effetti della crisi e la scelta di non aprire una dialettica forte con il Governo nazionale rispetto alla situazione dell’economia regionale, come da noi richiesto nel 2012 con la proposta della “Vertenza Umbria”. L’irresolutezza e la miopia che hanno determinato la bocciatura di quell’atto, lungi dall’esser state superate, hanno trovato nel tormentato percorso di approvazione della richiesta di riconoscimento dello stato di crisi industriale complessa per l’area di Terni e Narni un’ulteriore conferma, al punto che solo dopo la presentazione dello scellerato piano industriale per il ridimensionamento dell’AST da parte di Thyssen-Krupp, il consiglio regionale è stato capace, per una volta, di guardare in faccia la realtà della crisi industriale.
In passato il sistema di welfare regionale e le politiche di piano in ambito sanitario, di mercato del lavoro, di gestione dei servizi pubblici, avevano offerto un terreno non solo di compensazione rispetto alle tradizionali disfunzioni del sistema economico e produttivo regionale, quali la bassa remunerazione e produttività, ma avevano soprattutto definito un modello autonomo di sviluppo regionale, coordinato con elementi di progresso sociale e di redistribuzione della ricchezza.
Anni di politiche di austerità crescente, aggravati, dalla difficoltà, a livello regionale, di operare una profonda ed efficace revisione dei modelli decisionali e di governo del territorio, hanno incrinato il patrimonio di esperienze, di valori, di idealità che avevano nel tempo costituito il maggiore valore aggiunto della nostra Regione.
L’Umbria, oltre ad esser stata abbandonata dal Governo nazionale di fronte al carattere permanente della crisi vigente, è stata di fatto lasciata sola a se stessa anche dal Governo regionale, all’interno della quale peraltro la nostra capacità di incidere sulle scelte di fondo si è rilevata inadeguata.
In quest’ultima legislatura il centrosinistra umbro ha in sostanza liquidato la sua stessa identità politica, rinunciando preventivamente tanto alla valorizzazione ed alla salvaguardia della specificità del contesto socio-economico regionale, quanto al contrasto attivo dei provvedimenti di volta in volta assunti dal Governo nazionale, specie dopo la fine del Governo Berlusconi.
Ciò ha determinato la fine di ogni forma di pianificazione: manca ad oggi un piano per il lavoro, in grado di rafforzare i nodi nevralgici dell’economia regionale e promuovere le competenze diffuse nel tessuto sociale, specie fra le giovani generazioni e fra i soggetti progressivamente espulsi dal ciclo produttivo; si registra un grave ritardo nella definizione di un piano sanitario, strumento indispensabile, specie a fronte della riduzione delle risorse, per programmare i servizi nel territorio e garantire l’adeguatezza e l’appropriatezza delle misure offerte; mancano politiche di governo del territorio in grado di garantire la salvaguardia dei beni comuni e del patrimonio pubblico, come pure è mancata la volontà di contrastare attivamente il progetto di trasformazione della E45 in autostrada; manca un piano energetico, che solo potrebbe mettere al sicuro le comunità locali e la popolazione dalla proliferazione di interventi speculativi ed ambientalmente insostenibili, specie nel settore delle biomasse; manca un piano per i rifiuti, che a fronte dei fallimenti delle programmazioni precedenti poteva e doveva indirizzare il cuore verde dell’Italia sulla strada del rifiuto di ogni forma d’incenerimento e dell’adozione della strategia “Rifiuti Zero”, con tutte le positive ricadute anche sul piano occupazionale che ne sarebbero derivate.
Al contrario, la nostra Regione ha registrato passivamente la perdita o la compromissione di fondamentali poli produttivi, come dimostrano i casi della Merloni, della Basell, della IMS, della Sgl Carbon e dell’AST; uno scenario di strisciante dismissione produttiva e perdita occupazionale, che riporta l’Umbria ad un passato preindustriale. Siamo di fronte ad un modello di politica economica regionale che da un lato acconsente alle politiche predatorie operate dalle multinazionali, sacrificando al contempo le esperienze produttive autonome maturate in questi anni, e dall’altro non produce innovazione e sostenibilità tanto nel settore primario, in preda ad una crisi che sta sancendo anche nella nostra regione la scomparsa della figura dell’imprenditore agricolo, in favore di nuove forme di latifondismo, quanto nel commercio e nell’artigianato, strettamente dipendenti dalla capacità di rilanciare la domanda interna e di contrastare, con la tutela dei centri commerciali naturali, la logica della grande distribuzione organizzata e dell’urbanizzazione forzata, alle quali vengono invece sacrificate ulteriori porzioni di territorio.
Nel territorio si registrano gli effetti del vuoto determinato dal fallimento della riforma endoregionale, che non solo ha disatteso le aspettative rispetto alla questione dei consorzi di bonifica e alla realizzazione dell’Agenzia Forestale Regionale quale struttura deputata a raccogliere gran parte dell’eredità e dell’esperienza delle Comunità Montane, ma ha inoltre compromesso ogni forma di pianificazione dei servizi pubblici locali, essenziale invece per un’efficace tutela dei beni comuni. Fatto ancor più grave in merito alla pianificazione del governo del territorio, è il recente via libera al progetto di trasformazione della E45 in autostrada, la quale, oltre ad aggravare il già precario equilibrio idro-geologico della regione, priva gli umbri del libero accesso ad un asse fondamentale di collegamento tra i territori, facendo pagare loro tramite il pedaggio la quota di utili riservata ai privati lanciatisi in questa ennesima speculazione, appesantendo peraltro il traffico nella viabilità secondaria.
Nel settore energetico, abbiamo assistito ad una grave deregolamentazione della produzione di energia da fonti rinnovabili, che compromette in prospettiva l’intero territorio regionale e rischia di sottrarre ulteriori risorse alle autentiche specificità del territorio, a partire dal suo patrimonio agro-forestale, paesaggistico e culturale. Le scelte operate in questo ambito si pongono in stretta correlazione con le misure recentemente adottate per la chiusura del ciclo dei rifiuti, con le quali la Giunta regionale, con un’unanimità inaccettabile e in contrasto con le battaglie sostenute in questi anni dallo stesso PRC, ha di fatto dato il via libera alla produzione di CSS, decidendo in questo modo di entrare attivamente in quel mercato nazionale dei rifiuti che potrebbe vedere di qui a poco bruciare negli inceneritori della conca ternana decine di migliaia di tonnellate di rifiuti provenienti da altre Regioni, se non forse dalla stessa Umbria.
In questo quadro di profonda difficoltà e di involuzione politica, Rifondazione Comunista, sia quando ha deciso di collocarsi all’interno della coalizione di centrosinistra, sia quando ha compiuto scelte differenti, ha sempre messo la “Politica”, al centro delle proprie decisioni, con la consapevolezza che la collocazione elettorale è un mezzo e non un fine: uno strumento per far valere all’interno delle Istituzioni locali e regionali le ragioni dei lavoratori, di uno stato sociale da tutelare e preservare, di uno sviluppo eco sostenibile da promuovere e consolidare.
L’effetto congiunto dell’assenza di programmazione ha acuito gli effetti della crisi economica e delle politiche di austerità, contribuendo ad una contestuale crisi delle classi di governo locali che già alle ultime elezioni amministrative si è manifestata in modo dirompente, non solo con la rottura dell’alleanza di centrosinistra a Terni e con le sconfitte elettorali di Perugia e Spoleto, ma più in generale con la perdita di quel legame valoriale, prima ancora che politico, con la popolazione umbra, la cui domanda di cambiamento è tutt’oggi orfana di interpreti all’altezza della situazione. Una perdita che impegna invece Rifondazione Comunista all’apertura di una nuova fase politica, a partire dal riconoscimento della fine del centrosinistra umbro così come l’abbiamo conosciuto.
Lavorare per l’altra Umbria
La crisi economica, le politiche di austerità, l’inasprirsi delle politiche neoliberiste, la destrutturazione dell’articolazione istituzionale del nostro Paese, sono la manifestazione dell’esaurimento dei margini della redistribuzione e della democratizzazione all’interno di un quadro di accordi con le forze riformiste, piegate ormai inesorabilmente all’attuazione ad ogni livello di governo del territorio degli obiettivi economici imposti dalla troika.
Di fronte a questo processo neoautoritario e repressivo di disarticolazione della democrazia nel nostro Paese ed alla conclusione del ciclo del centrosinistra umbro così come l’abbiamo conosciuto, si pone ormai l’esigenza di aprire una nuova fase costituente dell’opposizione politica e sociale, capace di superare la frammentazione delle soggettività diffuse che si riconoscono nella necessità di un’alternativa di società; un’esigenza che, per essere soddisfatta, richiede una grande capacità di connettere i diversi settori impegnati nel conflitto, stabilendo un comune orizzonte di senso.
Il rifiuto del neoliberismo e delle politiche di austerità, autentiche cause scatenanti della crisi economica e della restrizione degli spazi di democrazia, rappresenta il vero terreno comune per la ricostruzione di una soggettività politica e sociale unitaria della sinistra italiana, la quale può concretizzarsi solo sancendo anche a livello regionale la propria alterità e contrapposizione al renzismo in tutte le sue declinazioni.
In questo senso è giusto sottolineare che quella della collocazione è un punto di arrivo e non di partenza, da definire al termine di un percorso sorretto da considerazioni e valutazioni di carattere politico programmatico e non identitario.
Per questo è necessario individuare con nettezza le tematiche su cui definire la proposta politica di Rifondazione Comunista: rimettere il lavoro al centro delle politiche di governo della Regione, assumendo il Piano per il lavoro elaborato nel 2013 dalla CGIL come la base di cui sviluppare la futura programmazione regionale; difendere e rilanciare il sistema sanitario regionale con l’approvazione del Piano Regionale Sanitario che valorizzi la sanità pubblica e garantisca l’universalità dei diritti; difendere e preservare il sistema stato sociale umbro, garantendo il pieno rifinanziamento del PRINA e potenziando il ruolo dei Comuni nella definizione dei servizi e delle prestazioni sociali nei territori; proporre una fiscalità regionale basata sui principi di progressività e redistribuzione del reddito, andando oltre i risultati raggiunti rispetto alla revisione delle aliquote IRPEF regionali per ottenre un extragettito dalle fasce alte, da destinare ad interventi per le politiche sociali, per il diritto alla casa, per il contrasto attivo alla crisi; un nuovo Piano Rifiuti che escluda l’incenerimento, e adotti la strategia rifiuti zero, investendo sulla raccolta differenziata e prevedendo modelli innovativi e ad alta tecnologia per la chiusura del ciclo, funzionali alla crescita occupazionale ed alla promozione di nuove filiere industriali nel settore del riciclo e del riuso.
Su questi punti il PRC si impegna in un confronto serrato con le altre forze politiche della del campo progressista, con la consapevolezza che la scelta sulla collocazione e, conseguentemente, la costruzione di un’alleanza di governo per la Regione dipenderanno necessariamente dall’esito di questo percorso programmatico, che non dovrà limitarsi alle sole forze politiche istituzionali, ma che sarà nostro sforzo allargare anche alle realtà sociali presenti nella nostra Umbria.
L’esperienza dei comitati per l’Altra Europa rappresenta un primo passo fatto in questa direzione. Non solo perché si è conseguito, dopo anni, la riaffermazione di una rappresentanza della sinistra d’alternativa italiana nel Parlamento Europeo, ma soprattutto per la capacità che hanno avuto i soggetti presenti nei comitati di proseguire il cammino e di non disperdere quanto faticosamente unito sulla base di una proposta radicalmente alternativa alle politiche messe in atto tanto dal PSE quanto dal PPE e dai liberali.
Ciò dimostra appunto che è possibile sviluppare un nuovo percorso di elaborazione programmatica autonomo e partecipativo, capace di accogliere la domanda di cambiamento espressa dalla popolazione. Una domanda che chiama in causa la Rifondazione Comunista dell’Umbria, insieme a quanti credono nella possibilità e nella necessità di un’alternativa di società.
Coerentemente con le scelte compiute a livello nazionale, il Partito regionale umbro è dunque impegnato affinché l’Altra Europa non sia solo un cartello elettorale, ma che possa essere anche un tassello importante nel percorso di unità a sinistra nel quale la nostra organizzazione da sempre è impegnata. Il nostro sforzo è che la costruzione del soggetto della sinistra unitaria e plurale avvenga all’interno di un processo che non deve essere verticistico e pattizio, bensì partecipativo ed inclusivo, che sia basata su un forte impianto politico programmatico e che abbia come obiettivo la ricomposizione sul terreno della politica del blocco sociale del lavoro.
Per questo Rifondazione Comunista si impegna a partecipare attivamente al lavoro dei comitati dell’Altra Europa in Umbria ed a promuovere l’elaborazione di una proposta politico-programmatica in grado di misurarsi con l’obiettivo del governo dell’Umbria.
Una proposta che parli di una “nuova politica”, per superare l’astensionismo e l’esclusione, per combattere il vuoto di idee e di programmi dei gruppi di potere politici ed economici che detengono il controllo della Regione e di cui il Partito Democratico di Renzi è espressione.
Allo stesso tempo, occorre salvaguardare e rilanciare la stessa organizzazione della Rifondazione Comunista, il suo radicamento nei territori, la sua capacità di azione, la sua sovranità: il PRC non si scioglie e non si vuole ridurre ad associazione culturale o a mera corrente interna di una costruenda sinistra, ma ribadisce se stesso e il suo ruolo, in quanto partito politico che mantiene intatta la propria titolarità nelle scelte politiche che deve compiere.
Noi dobbiamo interrogarci e confrontarci davvero su come costruire L’Altra Europa in Umbria. Intanto sbaglia chi propone ipotesi sommatorie tra Prc, Sel, PdCI, IdV e L’Altra Europa. Film già visto. Il titolo? Rivoluzione Civile. È invece proprio l’esperienza de L’Altra Europa la vera e più concreta possibilità per fare una sinistra umbra. E noi ci siamo stati dall’inizio, a Perugia, a Terni sui territori. E ci siamo oggi. I comitati locali umbri de L’Altra Europa si sono già incontrati per iniziare un percorso fatto di contenuti e proposte in vista delle elezioni regionali.
Siamo convinti infatti che le prossime elezioni regionali possono essere l’occasione per rafforzare un percorso che, a partire dall’esperienza alle europee de “L’Altra Europa con Tsipras” e della sua presenza attiva, apre una fase nuova nello scenario politico regionale, in discontinuità con le scelte del passato; una prova di maturità, che faccia nascere una lista aperta, di persone, comitati, movimenti, esperienze civiche e forze organizzate, che riconoscono la necessità di percorrere la strada dell’autonomia e dell’alternativa e di dare voce e rappresentanza alle fondamentali istanze di partecipazione, democrazia, equità e benessere sociale.
Non è una strada che Rifondazione Comunista può percorrere da sola; dobbiamo lavorare per promuovere un autentico percorso costituente dal basso, basato sul principio “una testa un voto”, nella consapevolezza che solo allargando l’ambito della discussione e operando una cessione di sovranità verso i comitati dell’Altra Europa rispetto alla costruzione della proposta politica per le prossime regionali, potrà affermarsi una nuova soggettività politica nella quale sostenere le ragioni e l’attualità del comunismo. Un passaggio inedito, che impegna Rifondazione Comunista a promuovere nuove pratiche di condivisione delle regole e delle scelte, nonché di costruzione, con altre soggettività ed esperienze politiche e sociali, di un profilo organizzativo comune, dando centralità all’attività assembleare tanto nell’elaborazione della proposta politica quanto nell’individuazione dei suoi interpreti.
Questo, e non altro, significa lavorare per realizzare, nell’immediato futuro, la proposta politica dell’Altra Umbria: l’Umbria del lavoro, dell’ambiente, dei beni comuni, dei diritti, della democrazia, della pace.
Su questa analisi e su questa linea politica il Congresso regionale impegna il futuro gruppo dirigente di Rifondazione Comunista dell’Umbria.

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