lunedì 27 ottobre 2014

LEOPOLDA: L'APPLAUSO PIU' LUNGO di Franco Astengo

Il popolo degli smartphone e del digitale
che gremiva l’antica stazione fiorentina della Leopolda ha dedicato il suo più lungo applauso al passaggio più “antico” e politicista sviluppato nel corso del suo comizio finale dal presidente del Consiglio e segretario del PD Matteo Renzi.
E’ stato quando l’oratore ha evocato la scissione “da sinistra” il formarsi di una “cosa” raccolta attorno all’antiquata piazza San Giovanni chiamata a raccolta 24 ore prima dalla CGIL: è bene – ha detto Renzi – che questa cosa si formi così dimostrerà tutta la sua inconsistenza e il suo essere superflua rispetto al centro della vita politica del paese”.
In sala sono saliti applausi scroscianti che hanno segnato la fine di un’epoca e fatto scrivere, giustamente, da molti commentatori che Renzi stava già “oltrepassando” il PD: forze oggi Ilvo Diamanti scriverà già di P-R in luogo di PD-R.
Si tratta di un vero e proprio salto di qualità rispetto al tentativo di stampo personalistico svolto negli anni scorsi da Silvio Berlusconi che, fin dal 1994 e poi per un lungo periodo, aveva trovato alimento in una vena classica del filone d’oro del consenso italico: la paura del comunismo.
Adesso quelli che si considerano ex-comunisti vengono sì evocati ma per essere irrisi, considerati meno che marginali, lontani dall’essenza dello scontro in atto che è generazionale, di uso personale della tecnologia, di espressione dell’individualismo; ben lontano, insomma, questo cuore dello scontro dalle logiche di analisi sociale e di distinzione di classe che aveva ispirato per tanti anni il complesso delle argomentazioni e delle scelte all’interno del sistema politico italiano che pure avevano animato gli interpreti dell’analisi gramsciana temperata dall’accorto pragmatismo togliattiano fino a formare il più grande partito comunista d’Occidente
Fuori dal discorso anche gli ultimi esegeti della dottrina sociale della Chiesa, gli ultimi eredi della “Rerum Novarum”, gli assistenti di Scoppola o Bachelet, quelli che si erano attinti alla fonte della “terza fase” e dei tempi lunghi di Aldo Moro: resistono soltanto gli esegeti del “meglio campare che tirare le cuoia” di andreottiana memoria.
Al netto ovviamente degli opportunismi di stampo burlandiano, opportunismi sempre presenti nel nostro sistema ben prima del “discorso di Stradella”.
Non è il caso di commentare il discorso di Renzi: gonfio per una parte di retorica nazionalista e dall’altra della vecchia fissazione dei reaganiani d’Italia “il posto fisso non c’è più” e della logica di presunte pari opportunità: basta riflettere su quanto già affermato circa l’assenza di un’analisi delle forze sociali e dei soggetti. Un’assenza che nasconde l’ansia del totalitarismo, del consenso generalizzato attorno a qualche parola d’ordine per poi realizzare un comando di tipo personale.
Dal “potere politico” al “comando politico”: questo il passaggio di fase che si sta realizzando all’interno del nostro sistema.
Il punto vero di analisi che si può trarre da questo quadro riguarda però davvero la sinistra
Si sta compiendo, infatti, un altro momento d’importante passaggio : la dimostrazione concreta, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, del fallimento dell’operazione di liquidazione del PCI. Operazione che tra pochi giorni compirà 25 anni.
Si dimostra inutile, infatti, la sinistra dello “sblocco del sistema politico”, della “governabilità”, del “new labour” e si dimostra, di conseguenza, inutile in partenza anche una presunta “sinistra del lavoro” che cerchi di “dialogare” con il partito della Leopolda per spostare l’asse verso sinistra contrastando il richiamo irresistibile di un centro senza confini che non siano quelli dell’individualismo egoista: cifra portante ormai, nell’incultura dilagante, di larghi settori della società all’interno dei quali si scambia l’uso dei gadget elettronici con la promozione sociale chiudendo gli occhi sulla condizione materiale vera di milioni e milioni di persone ridotte nell’impoverimento, nella precarietà, nella sopraffazione, nello sfruttamento.
Davvero, per esemplificare, il discorso di Renzi è un ritorno all’800: all’800 dei padroni.
La sinistra deve esistere, deve organizzarsi, deve saper ritornare a rappresentare soggetto politico in grado di incidere.
Per far questo, cerco di affermarlo con grande chiarezza verso le tante compagne e compagni esitanti o legati a uno schema davvero superato, è necessario ritornare- prima di tutto – ai fondamentali della nostra identità sia sul piano storico, politico, programmatico, organizzativo.
C’è molta frammentazione e molta incertezza dopo tanti anni di sconfitte.
Le sconfitte però sono finite perché è cambiato l’avversario che ce le aveva inflitte: si è aperto davvero una fase diversa, almeno per quel che riguarda il ”caso italiano” (ma, di riflesso, anche rispetto all’Europa).
Un’identità basata sull’analisi delle forme nuove della lotta di classe e del modificarsi dello scenario internazionale che sempre più sembra richiedere una visione internazionalista, né globalista, né sovranazionale, delle grandi ragioni di conflitto.
La ripresa della riflessione sull’identità comunista in questo secolo: questa la sola risposta possibile da fornire a questo mutamento di scenario, per una sinistra capace di raccogliere le masse non soltanto per prospettare accomodamenti negli interstizi offerti dall’avversario ma per affermare in pieno la forte e incoercibile ragione delle condizioni materiali di chi vive del proprio lavoro e trasformare questa società nel segno dell’eguaglianza

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