martedì 14 ottobre 2014

La metafora della sinistra come zavorra? di Michele Orini

“Gianni, passami il cacciavite… Ma ti sembra un cacciavite questo? … Si? … Ma non vedi che è un gattino? Ascolta, fa miao-miao … Come? Adesso si chiama cacciavite? Ahi, ma graffia!”
La stessa scena succede tutti i giorni, in migliaia di conversazioni. Con la “metafora della sinistra” al posto del cacciavite. Non ci si capisce più. Ognuno ha la sua idea di sinistra. E ci può stare, la sinistra non è un cacciavite. È una parola che racchiude un pensiero (che “ribelle in cor ci sta”). Ed un pensiero non è mai perfettamente definito, è fatto per essere interpretato, adattato, arricchito … Il problema nasce quando ad una sola parola (“sinistra” in questo caso) corrispondono pensieri diversi e spesso in opposizione tra loro.
Vista la confusione, c’è da chiedersi se puntare sulla metafora della sinistra sia utile alla costruzione di un’alternativa politica che aspiri a ottenere un largo consenso. Intendiamoci, non tutto in questo mondo deve avere una sua utilità. La politica, però, la si fa con un obiettivo chiarissimo: migliorare le condizioni di vita di un gruppo di persone. C’è chi si batte per migliorare le condizioni di vita della maggioranza delle persone (non lasciare indietro nessuno), e chi punta a migliorare le condizioni di vita di chi già sta molto bene (lasciare indietro tutti, tranne le élites). E se è chiarissimo da che parte dovrebbe stare la sinistra, non è più chiaro da che parte stanno le organizzazioni politiche che si ritengono di sinistra (leggasi soprattutto PD). E questo vale non solo in Italia, ma in tutta Europa.
Grande è la confusione sotto il cielo, appunto, e la situazione, però, è pessima quando:
- Gente che si ritiene di sinistra dice, pensa ed appoggia assurdità neoliberiste e selvaggio darwinismo sociale (quell’idea per cui la vita è una giungla, la competizione è la salvezza, e se sei ricco e potente o povero e precario è perché te lo meriti e basta, con l’aggravante che poveri e precari sono colpevoli della loro povertà e precarietà). L’ottimo Ascanio Celestini di esempi ne faceva tanti già qualche anno fa.
- Gente che si ritiene convintamente non-di-sinistra dice, pensa ed appoggia politiche progressiste. Questa è gente (e sono sempre di più) che spesso appoggia i valori tradizionali della sinistra (almeno i fondamentali), ma quando sente parlare di sinistra pensa ai vari Bertinotti, D’Alema, Veltroni, Renzi, Penati e si girano dall’altra parte. E non hanno tutti i torti, perché poi ci sono loro:
- Leader che stravolgono tutto. Sui leader dei partiti della cosiddetta sinistra italiana che hanno reinterpretato a modo tutto loro “l’essere di sinistra nel XXI secolo” ci si potrebbe scrivere un romanzo intero, pulp. Ma fino a qualche tempo fa almeno avevano il pudore di annacquare le loro idiozie con una buona dose di “centro”: reinventavano il centro-sinistra, lasciando piuttosto tranquilla la sinistra. Ultimamente però lo stravolgimento sta raggiungendo livelli inimmaginabili. Renzi per esempio, senza paura di apparire ridicolo, rivendica l’appartenenza alla sinistra. La ministra Boschi pochi giorni fa ha cercato di vendere in televisione del vuoto siderale spacciandolo per un condensato di valori della sinistra: “I valori della sinistra di oggi sono quelli del cambiamento. A mio avviso essere di sinistra non significa essere custodi del passato, della memoria. [Significa] in qualche modo anticipare il futuro, costruire il futuro, essere riformisti.”
Questa confusione è il risultato dell’appiattimento della social-democrazia sui temi del neoliberismo. E centra molto con l’emorragia di voti che dalla sinistra tradizionale finiscono altrove: M5S e Lega da noi, Front Nationale dei Le Pen in Francia, UKip in Inghilterra etc.
Se oggi, in tempi di crisi nera, si vuole costruire un soggetto politico che conti davvero, che sia radicale e che non si arrenda al pensiero unico dominante, bisogna avere il coraggio di essere partigiani: il “ma anche” veltroniano è garanzia d’insuccesso, il consenso a tutti i costi renziano fa girare la testa e non solo, l’ingarbugliato tentennare nelle terre di mezzo di SEL convince poco. Ma bisogna anche avere il coraggio di andare a riprendersi il consenso perduto per strada, e poi costruirne altro tra chi a torto o a ragione è allergico alla metafora della sinistra pur compartendone (almeno in parte) gli ideali. C’è una maggioranza sociale potenzialmente pronta a compattarsi per migliorare le proprie condizioni di vita.
In Spagna buona parte del successo di Podemos si deve ad un discorso che si centra sulla democrazia, invece che sulla sinistra. In Francia il Front de Gauche (Fronte di Sinistra) sembra voler smarcarsi dalla metafora della sinistra e si sta facendo promotore di un nuovo movimento che punta a riconquistare la sovranità popolare e fondare la XI Repubblica.
Credo che a nessuno faccia piacere dover rinunciare alla metafora della sinistra, ma se la metafora diventa un ostacolo al raggiungimento di un mondo più giusto e meno precario, se per la maggioranza delle persona la parola “sinistra” rimanda veramente allo zero assoluto di cui vaneggiano Renzi e la Boschi, allora non c’è alternativa. Bisogna trovare un’altra narrazione ed evitare di usare termini che risultino escludenti o che allontanino i cittadini. Ricordando che in fondo, citando Navarro, “nessuna delle rivoluzioni socialiste del secolo scorso ha mobilizzato la popolazione con la chiamata al socialismo [o alla ricostruzione della sinistra, ndt]. Quello che mobilizzò la popolazione, furono proposte concrete, realiste, immediate, che avessero un riscontro sulla vita quotidiana (la pace, la riforma agraria, la fine di una dittatura ecc.)”.

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