“Gianni,
passami il cacciavite… Ma ti sembra un cacciavite questo? … Si? … Ma non vedi
che è un gattino? Ascolta, fa miao-miao … Come? Adesso si chiama cacciavite?
Ahi, ma graffia!”
La stessa
scena succede tutti i giorni, in migliaia di conversazioni. Con la “metafora
della sinistra” al posto del cacciavite. Non ci si capisce più. Ognuno ha la
sua idea di sinistra. E ci può stare, la sinistra non è un cacciavite. È una
parola che racchiude un pensiero (che “ribelle in cor ci sta”). Ed un pensiero
non è mai perfettamente definito, è fatto per essere interpretato, adattato,
arricchito … Il problema nasce quando ad una sola parola (“sinistra” in questo
caso) corrispondono pensieri diversi e spesso in opposizione tra loro.
Vista la
confusione, c’è da chiedersi se puntare sulla metafora della sinistra sia utile
alla costruzione di un’alternativa politica che aspiri a ottenere un largo
consenso. Intendiamoci, non tutto in questo mondo deve avere una sua utilità.
La politica, però, la si fa con un obiettivo chiarissimo: migliorare le
condizioni di vita di un gruppo di persone. C’è chi si batte per migliorare le
condizioni di vita della maggioranza delle persone (non lasciare indietro
nessuno), e chi punta a migliorare le condizioni di vita di chi già sta molto
bene (lasciare indietro tutti, tranne le élites). E se è chiarissimo da che
parte dovrebbe stare la sinistra, non è più chiaro da che parte stanno le
organizzazioni politiche che si ritengono di sinistra (leggasi soprattutto PD).
E questo vale non solo in Italia, ma in tutta Europa.
Grande è la
confusione sotto il cielo, appunto, e la situazione, però, è pessima quando:
- Gente che
si ritiene di sinistra dice, pensa ed appoggia assurdità neoliberiste e
selvaggio darwinismo sociale (quell’idea per cui la vita è una giungla, la
competizione è la salvezza, e se sei ricco e potente o povero e precario è
perché te lo meriti e basta, con l’aggravante che poveri e precari sono
colpevoli della loro povertà e precarietà). L’ottimo Ascanio Celestini di
esempi ne faceva tanti già qualche anno fa.
- Gente che
si ritiene convintamente non-di-sinistra dice, pensa ed appoggia politiche
progressiste. Questa è gente (e sono sempre di più) che spesso appoggia i
valori tradizionali della sinistra (almeno i fondamentali), ma quando sente
parlare di sinistra pensa ai vari Bertinotti, D’Alema, Veltroni, Renzi, Penati
e si girano dall’altra parte. E non hanno tutti i torti, perché poi ci sono
loro:
- Leader che
stravolgono tutto. Sui leader dei partiti della cosiddetta sinistra italiana
che hanno reinterpretato a modo tutto loro “l’essere di sinistra nel XXI
secolo” ci si potrebbe scrivere un romanzo intero, pulp. Ma fino a qualche
tempo fa almeno avevano il pudore di annacquare le loro idiozie con una buona
dose di “centro”: reinventavano il centro-sinistra, lasciando piuttosto
tranquilla la sinistra. Ultimamente però lo stravolgimento sta raggiungendo
livelli inimmaginabili. Renzi per esempio, senza paura di apparire ridicolo,
rivendica l’appartenenza alla sinistra. La ministra Boschi pochi giorni fa ha
cercato di vendere in televisione del vuoto siderale spacciandolo
per un condensato di valori della sinistra: “I valori della sinistra di oggi
sono quelli del cambiamento. A mio avviso essere di sinistra non significa
essere custodi del passato, della memoria. [Significa] in qualche modo
anticipare il futuro, costruire il futuro, essere riformisti.”
Questa
confusione è il risultato dell’appiattimento della social-democrazia sui temi
del neoliberismo. E centra molto con l’emorragia di voti che dalla sinistra tradizionale
finiscono altrove: M5S e Lega da noi, Front Nationale dei Le Pen in Francia,
UKip in Inghilterra etc.
Se oggi, in
tempi di crisi nera, si vuole costruire un soggetto politico che conti davvero,
che sia radicale e che non si arrenda al pensiero unico dominante, bisogna
avere il coraggio di essere partigiani: il “ma anche” veltroniano è garanzia
d’insuccesso, il consenso a tutti i costi renziano fa girare la
testa e non solo, l’ingarbugliato tentennare nelle terre di mezzo di SEL
convince poco. Ma bisogna anche avere il coraggio di andare a riprendersi il
consenso perduto per strada, e poi costruirne altro tra chi a torto o a ragione
è allergico alla metafora della sinistra pur compartendone (almeno in parte)
gli ideali. C’è una maggioranza sociale potenzialmente pronta a compattarsi per
migliorare le proprie condizioni di vita.
In Spagna
buona parte del successo di Podemos si deve ad un discorso che si
centra sulla democrazia, invece che sulla sinistra. In Francia il Front de
Gauche (Fronte di Sinistra) sembra voler smarcarsi dalla metafora della
sinistra e si sta facendo promotore di un nuovo movimento che punta a
riconquistare la sovranità popolare e fondare la XI Repubblica.
Credo che a
nessuno faccia piacere dover rinunciare alla metafora della sinistra, ma se la
metafora diventa un ostacolo al raggiungimento di un mondo più giusto e meno
precario, se per la maggioranza delle persona la parola “sinistra” rimanda
veramente allo zero assoluto di cui vaneggiano Renzi e la Boschi, allora non
c’è alternativa. Bisogna trovare un’altra narrazione ed evitare di usare
termini che risultino escludenti o che allontanino i cittadini. Ricordando che
in fondo, citando Navarro, “nessuna delle rivoluzioni socialiste
del secolo scorso ha mobilizzato la popolazione con la chiamata al socialismo
[o alla ricostruzione della sinistra, ndt]. Quello che mobilizzò la
popolazione, furono proposte concrete, realiste, immediate, che avessero un
riscontro sulla vita quotidiana (la pace, la riforma agraria, la fine di una
dittatura ecc.)”.
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