La scienza introduce un sapere che
non ha da preoccuparsi più di tanto
dei propri fondamenti di verità (J. Lacan).
In molti scritti mi sono occupato di un concetto che a ragione può
essere considerato un peso massimo della filosofia e della teologia (una
distinzione, questa, che va presa con le molle): il concetto di libero arbitrio. Ho persino dato il titolo di Illibero arbitrio (*) a un modesto studio dedicato ai concetti di libertà, umanità e responsabilità, e pure L’Angelo Nero sfida il Dominio (con ricercata allusione al Padre di tutti i mali e di tutti i vizi) ha al centro l’abissale questione della libertà umana.
Scrivevo su un post dello scorso settembre dedicato alla Crisi della democrazia:
«Oggi il libero arbitrio si dà interamente dentro la società
strutturata fin nei minimi dettagli dai rapporti sociali capitalistici. È
dentro la dimensione dominata dal discorso del Capitale, per dirla con
Lacan, che esercitiamo la nostra libertà di scelta sul mercato della
vita: mercato delle merci, delle idee (politiche, religiose,
filosofiche, ecc.), delle relazioni affettive e via di seguito. Parlare
“dei cittadini” nei termini di “soggetti politici responsabili”
significa dunque fare dell’ideologia, ossia negare una realtà che fa
degli individui degli oggetti sociali sussunti da una prassi
che per l’essenziale essi non controllano e che piuttosto li controlla.
Posto tutto questo, ha senso parlare di responsabilità personale?
Comunque sia, la ricerca del significato e dei limiti di questa
responsabilità non può prescindere dal quadro di radicale disumanità e
illibertà (due modi di alludere alla stessa cosa) qui solo abbozzato.
Questo, naturalmente, se non si vuole fare dell’ideologia e
dell’apologia dello status quo sociale».
Un altro passo, che tornerà utile tra poco: «Una volta Arthur
Schopenhauer scrisse che “Dove c’è colpa ci deve anche essere
responsabilità” (La libertà del volere umano). Ebbene, la Colpa
che a mio avviso fa luce (non sto dicendo che annulla ma che
relativizza, contestualizza, spiega) su ogni altra colpa che ha come
protagonista il singolo individuo deve essere individuata nella
struttura classista della società. “Se infatti un’azione cattiva
proviene dalla natura, cioè dall’innata qualità dell’uomo, la colpa è
evidentemente dell’autore di questa natura. Per questo si è inventata la
libertà del volere”. Inutile dire che l’autore del Mondo come volontà e rappresentazione alludeva
all’Artefice Massimo di tutte le cose, a Dio. “Pertanto”, concludeva
Schopenhauer, “l’uomo rimarrebbe innocente in ogni caso… mentre lo si fa
responsabile”. Aggiungo: di tutto».
Oggi scopro che il materialismo delle scienze naturali mi ha
completamente scavalcato, non so dire se a “sinistra” o a “destra”. Ma
certamente la sua radicale negazione del libero arbitrio spiazza
completamente le mie tesi fondate su ragionamenti storici, sociali,
filosofici. Tutto inutile, tutto da rifare, tutto da riscrivere!
Soprattutto le neuroscienze mi danno torto. Torto marcio.
Ecco ad esempio come su La Stampa del 9 ottobre Claudio Gallo presentava al lettore La strana coppia
(Carocci), il nuovo saggio del neurofisiologo «di fama internazionale»
Piergiorgio Strata: «L’aspetto non pare certo minaccioso, il libretto
sta nella tasca posteriore dei jeans. Il titolo, giudiziosamente
tecnico, è per nulla allarmante: La strana coppia. Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze.
L’autore, Piergiorgio Strata, è una garanzia di serietà. Eppure bisogna
valutare bene se decidere di leggerlo oppure no. Qualcosa dal profondo
suggerisce: “Non aprite quella porta”. Perché se per caso lo farete e
prenderete sul serio le sue documentate tesi, il mondo non sarà più come
prima. Vi sveglierete in un inquietante Day After. Apprenderete, ad
esempio, come la decisione di leggerlo non l’avete presa voi, ma la
vostra macchina cerebrale, qualche secondo prima che la coscienza
intervenisse nel processo. Libero arbitrio addio, l’io cosciente sarebbe
più un notaio che certifica i fatti quando sono già accaduti (anche se
poi si attribuisce ingiustamente la scelta) che non uno stratega. La
valanga è appena partita: se non c’è possibilità di scegliere sarebbe
logico dire addio anche un pilastro della nostra società come il sistema
giudiziario, che considera gli individui responsabili e li giudica nei
tribunali».
Addio soggetto cartesiano, addio Io (e Super-Io) freudiano, addio
Anima: congediamo tutti i concetti che in qualche modo presupponevano
l’esistenza di un soggetto libero o potenzialmente tale. Il materialista
della sostanza biologica ci invita ad abbandonare i vecchi e illusori
paradigmi cari alla filosofia e alla teologia. Non solo non esiste Dio, ma non esiste neanche un vero Io.
Dio è morto, ma anche l’Io non sembra godere di ottima salute.
Responsabile di questo complotto contro il libero arbitrio è dunque il
cervello, questo nostro Nemico.
Ma se cade il libero arbitrio; se si scopre che a decidere non è la
mente secondo coscienza ma il cervello secondo biochimica, se si prende
atto che siamo meri esecutori di decisioni prese in altra sede (ad
esempio, nel lobo frontale, o nell’ippocampo), con ciò stesso non si
dichiara la totale irresponsabilità dei cittadini? Chiudiamo dunque
tribunali e carceri; gettiamo senza indugi di sorta nella pattumiera
(della filosofia e del diritto) quanto trovava la propria legittimità in
una libertà di scelta che, come abbiamo finalmente appreso, la natura
stessa ci nega.
Ma Strata non è d’accordo con queste estremizzazioni “ontologiche”, e
per giustificare la sua inclinazione alla difesa dell’ordine sociale
(se ha ancora un senso questa antica locuzione dopo le ultime scoperte
scientifiche intorno al cervello) ricorre a una ben nota astuzia della
filosofia orientata in senso pragmatico: «Anche Strata, benché in sede
teorica e sperimentale ne smonti le premesse, riconosce il valore
sociale dei tribunali e della deterrenza della pena. Dopotutto la nostra
società funzionerebbe lo stesso anche se davanti a tutto mettessimo un
“come se”. Io sarò giudicato “come se” fossi libero di scegliere.
Ammettere il contrario sarebbe la madre di tutti gli incubi. In ogni
caso, saranno questi i temi su cui i giuristi dovranno confrontarsi nel
prossimo futuro». Ma si, comportiamoci “come se”! Cosa che d’altra parte
facciamo, ma in un senso che ovviamente sfugge completamente alla
coscienza del materialista biochimico.
È appena il caso di ricordare che l’utilitaristica filosofia della finzione è, per i teorici del come se, «al servizio della vita», ossia dello status quo sociale.
Ma
se improvvisamente ci scopriamo privi di libero arbitrio e sottoposti a
una dispotica struttura cerebrale che non controlliamo e che, in ultima
analisi, determina le nostre relazioni sociali e le nostre azioni,
possiamo almeno consolarci pensando ai successi che si registrano nella
ricerca tesa alla creazione dell’umanoide perfetto.
Rallegriamoci: la fantascienza è a un passo dal diventare realtà. Il
premio Nobel per la medicina assegnato quest’anno, infatti, parla chiaro
a tal proposito. «Studiato per secoli, fino a scomodare filosofi come
Immanuel Kant, il rapporto fra mente e cervello è diventato un tema da
affrontare in laboratorio solo da qualche decennio. E solo ora per la
prima volta si è scoperta la relazione fra una particolare architettura
del cervello e la mente, in particolare con la consapevolezza di
occupare un luogo preciso nello spazio. Un risultato da Nobel, grazie
alle ricerche dell’anglo-americano John O’Keefe e dei norvegesi
May-Britt e Edvard Moser. “È la prima volta che viene fatta una
correlazione così chiara tra la mente e il cervello”, osserva il
neurofisiologo Piergiorgio Strata [sempre lui!]. ”I ricercatori –
prosegue – hanno scoperto dove è localizzata la mappa spaziale che ci fa
riconoscere la strada di casa, come una sorta di un Gps all’interno
della rete fatta da circa 170.000 chilometri di fibre nervose e un
milione e mezzo di sinapsi. È una ricerca di base e non ci sono
applicazioni possibili domani, ma in futuro le scoperte lungo questa
direzione potrebbero portare a macchine di nuova generazione”» (Ansa.it).
Roberto Cingolani, presidente dell’Istituto Italiano di Tecnologia,
conferma la prospettiva che sorride all’umanità: «Al momento non è
possibile avere la più pallida idea sulle applicazioni, ma è evidente
che in alcuni casi il settore delle neuroscienze ha caratteristiche
interessanti per noi che ci occupiamo di tecnologie umanoidi».
Le tecnologie umanoidi mi riempiono il cuore (metaforico:
non vorrei che il lettore materialista alzasse il sopracciglio) di
eccellenti sentimenti, esattamente come il concetto di “capitale umano”.
Mi sforzo di essere ironico. Uno sforzo che, a quanto pare, va
attribuito non alla mia “coscienza di classe” (che vetusta illusione
della mente!) ma al mio cervello – da intendersi come massa e struttura
biochimica, si capisce.
Proprio oggi apprendo da un notiziario televisivo che due scienziati
americani hanno realizzato un potentissimo scanner capace di mostrare
i pensieri. «Quello che fino a ieri si riteneva essere l’ultimo rifugio
segreto dei nostri pensieri, dei nostri sogni è alla fine crollato»:
questo è il solo laconico commento che l’annunciatrice di nefaste
notizie ha saputo fare.
Naturalmente il problema non sta tanto nell’invenzione del potentissimo scanner, quanto nell’impotenza
della gente che le parole dell’annunciatrice esprimono. Si dirà che
sono dettagli, che continuo a perdermi in quisquilie; ma come disse una
volta Adorno, «prolungate, le linee conducono all’intreccio sociale», e
«l’intreccio sociale» diventa sempre più ostile all’uomo, o meglio, a
ciò che ne residua. E da ultimo, pare che le neuroscienze siano ad un
passo dal mettere le mani sulla base biologica del libero arbitrio,
con buona pace di quel fesso di Kant e della millenaria speculazione
filosofica che si è affaticata e intristita inutilmente intorno a quel
concetto, il quale, garantiscono i nostri neuroscienziati, ha una natura
tutt’altro che metafisica e problematica. Non bisogna dunque stupirsi
se un individuo sensibile come Dostoevskij sostenesse già nel 1864 la
fuga dal palazzo di cristallo del progresso, e la discesa nel sottosuolo
dell’irrazionalismo come ultima trincea contro la falsa razionalità – falsa
dal punto di vista dell’uomo umano – del mondo civile (1). C’è più
verità in questa impossibile fuga dalla società disumana, rivendicata
contro i «sapienti amanti del genere umano», che in tutti i discorsi
intorno agli «aspetti positivi» del progresso reso possibile dalle
conoscenze scientifiche.
La natura totalitaria del sociale in questa epoca storica si
coglie, ad esempio, nel tentativo praticato dalla scienza di ricondurre
ogni manifestazione della vita umana alla sua base organica, al suo
sostrato biologico, in modo da trovare un rimedio farmacologico
praticamente per tutte le «problematiche» esistenziali. La mitica
pillola della felicità pare sia dietro l’angolo, bisogna solo aver
pazienza, e nel frattempo sopravvivere alla meno peggio. Pure di
prossima produzione sembra essere la pillola che cancella i cattivi
ricordi, sviluppata in ambito militare dai soliti americani, preoccupati
dai contraccolpi emotivi che le loro guerre «umanitarie» hanno sul
morale degli ex soldati. La chimica ci salverà! Ovvero: chi ci salverà dalla chimica?
Contro il determinismo della scienza, la quale insegna «che prima di
tutto nel mondo dominano le leggi della natura», e che seguendo
ciecamente e ossessivamente questo dogma crede di poter carpire tutti i
segreti della vita umana «secondo queste leggi, matematicamente, come
per mezzo delle tavole dei logaritmi», Dostoevskij proclamò il libero
arbitrio degli individui, «il nostro proprio volere, libero e autonomo, i
nostri propri capricci, per quanto folli essi possano essere, la nostra
propria fantasia, eccitata qualche volta fino alla frenesia – ecco
(ciò) … che non cade sotto alcuna classificazione e che manda al diavolo
tutti i sistemi e tutte le teorie» (2).
Egli non comprese che il libero
arbitrio non è di questo mondo, ma dell’altro, quello che può
venir costruito in futuro, insomma del mondo umano. Il Palazzo di
cristallo non va per così dire evaso – impresa appunto impossibile,
anche per il singolo individuo –, ma piuttosto mandato senz’altro in
frantumi; esso va relegato nell’archeologia preumana, per venir
sostituito dalla casa dell’uomo in quanto uomo, dalla comunità umana che
ha imparato a nutrire amore non per le leggi della natura, ma per la
natura, non per le «leggi di sviluppo» che regolano la vita degli
individui, ma per gli «individui in carne ed ossa», non per la conoscenza
del mondo, ma per il mondo in quanto tale, proprio secondo gli auspici
dell’uomo ridicolo magistralmente schizzato dallo scrittore russo nel
1877 (3). Leggendo Il Sogno di un uomo ridicolo, con il quale
Dostoevskij tocca insieme le massime punte di nichilismo e di utopia,
vien voglia di esclamare, mutuando un altro famoso titolo, miseria della scienza!
Alcuni esponenti più radicali della tendenza antiumana sognano di
poter ricreare in laboratorio le condizioni della Creazione, in modo da
poter dare scacco matto una volta per sempre a Dio, il quale
evidentemente turba i loro razionalissimi sogni. D’altra parte, la
«teoria inflazionaria» del fisico e cosmologo americano Alan Guth
sembrerebbe in grado di dirci tra poco cosa accadde nel «primo miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo» dopo il «momento zero» (o Big Bang
che dir si voglia). Inutile dire che tutte le più accreditate teorie
cosmologiche non “riflettono” un ben nulla, ma si limitano a postulare, a prevedere, a ipotizzare,
allo scopo di lanciare ponti conoscitivi sopra il maledetto ignoto ed
estendere il dominio teorico e pratico della società sulla natura. Fini
euristici e fini economici tendono sempre più a coincidere, a fondersi.
Ma i super materialisti sono l’altra faccia della medaglia di
una società che produce a ritmi industriali ogni sorta di religione più o
meno «alternativa», perché il «disagio sociale» nelle metropoli del
capitalismo mondiale è tanto, e il bisogno di misticismo, chiamato a
lenire le sofferenze e a dare un senso al caos generale, non smette di
crescere. Il Cristo del Code da Vinci piuttosto che il Buddha americanizzato; «il flusso cosmico» piuttosto che i cristalli, o l’accozzaglia di “concetti” ritagliati qua e là e appiccicati sul librone di Scientology:
il mercato dello Spirito è vasto, e promette di soddisfare tutte le
esigenze: generazionali, professionali, sessuali, razziali, ecc. Ce n’è
per tutti e per tutte le tasche, checché ne dica il povero Pastore
Tedesco assiso al Sacro Soglio Romano, scandalizzato da cotanta babele
mistica, da questo sacrilego mercato della fede, perché solo una
religione è scientificamente corretta, quella Cattolica,
naturalmente. Una volta Jacques Lacan disse che «se la religione
trionfa, sarà il segno che la psicoanalisi è fallita». Forse egli si era
fatto qualche illusione sulle capacità illuministiche della
psicoanalisi. In effetti, se la religione – di qualsiasi genere essa
sia: compreso lo scientismo più rigido – trionfa è segno del fallimento
dell’umanità, la quale continua ad averne bisogno, come e forse più di
quanto non ne avesse nelle epoche in cui la razionalità scientifica
occupava un posto irrisorio. […]
«Come posso aiutarlo io che sono maledetto! – gridò una volta
Nietzsche, in uno dei suoi ultimi slanci di compassione per un uomo
ormai ridotto ai minimi termini – Ma qualcuno deve essere responsabile, altrimenti sarebbe troppo insopportabile». Qualcuno o qualcosa? Signori, la notizia del giorno è questa: non ci sono responsabili, ovvero, il che poi ha lo stesso significato, siamo tutti
responsabili, vittime e carnefici, buoni e cattivi, sfruttati e
sfruttatori. Nessuno può chiamarsi fuori dal male, perché finché non lo
si riconosce per quel che veramente è, esso non ci lascia altra funzione
che quella di riprodurlo sempre di nuovo.
La diffusione tra le persone più sensibili delle società
capitalisticamente avanzate di religioni e «filosofie» più o meno in
regola con i certificati di «affidabilità» e «serietà» rilasciati dalle
agenzie che monopolizzano la diffusione del pensiero filosofico e
scientifico, dell’etica, della morale e della cultura in generale (lo
Stato, la Chiesa, l’Accademia delle scienze e così via); questa
diffusione, dicevo, testimonia l’incomprimibile bisogno di quelle
persone di resistere in qualche modo alle annichilenti pressioni che
sorgono soprattutto dal meccanismo che crea e distribuisce la ricchezza
sociale – sotto forma di denaro e di merci d’ogni genere. Attesta il
loro bisogno di cercare un senso a una vita sociale che appare sempre
più insensata, precaria e irrazionale, nonostante vi domini una
prassi sempre più assoggettata, fin nei più minimi dettagli, al
controllo della scienza e della tecnica. E questo falso paradosso, che
cela una stringente necessità radicata nella natura della società
disumana, la dice lunga sulla funzione e sul carattere della scienza
odierna, sulla sua diretta responsabilità nella riduzione degli
individui a cose, a tecnologie più o meno “intelligenti”, a «risorse», a
«capitale umano» altamente produttivo di profitti.
A differenza della Chiesa di Roma, forte della sua millenaria
esperienza al servizio del dominio sociale di volta in volta vigente, i
politici e gli intellettuali «progressisti» che si attendono dai
successi della scienza e della tecnica la definitiva liberazione
dell’umanità dalla «credulità religiosa», mostrano di non saper cogliere
l’intimo legame che insiste tra lo sviluppo accelerato della cosiddetta
«struttura sociale», che proprio nella scienza e nella tecnica ha il
suo fondamentale supporto, e la «disarmonia» che regna nella vita e
nelle teste degli individui, costretti a vivere in una società sempre
più rapida nelle sue trasformazioni, sempre più competitiva e stressante
in ogni suo ambito, anche nelle «sfere esistenziali» che un tempo si
potevano ritenere – a torto – al riparo dalle dinamiche «strutturali».
Si pensi a cosa sono diventate le relazioni affettive, o puramente
«sociali», tra gli individui, o all’evaporazione della famiglia
cosiddetta tradizionale – con tutti i pesanti risvolti osservabili nel
«privato» e nel «pubblico» –, o ancora al dilagare dell’uso degli
psicofarmaci, non solo tra gli adulti ma anche tra gli adolescenti e i
bambini, e via di seguito. I «progressisti» non comprendono come la fede
nella potenza miracolosa dei cristalli, o dei colori, o dei numeri,
delle stelle – ce n’è per tutti i gusti, a seconda del censo, della
professione, dell’età, del sesso e così via: anche il mercato della fede
è ricco di prodotti alla moda, basta scegliere la giusta taglia
“spirituale” –; ovvero in qualche santone più o meno accreditato dalle
agenzie culturali e spirituali cui si accennava sopra, non sia che
l’altra faccia, forse la meno crudele e ostile, della moneta che mostra
al lato opposto la fede nella potenza benigna della scienza e
della tecnica. «Razionale» e «irrazionale» non sono che due diverse
modalità di padroneggiare alla meglio una condizione sociale altamente
complessa, che esige altrettanto complesse strategie di sopravvivenza.
Nella società irrazionale, le vie che conducono alla «razionalità»
sono – quasi – infinite, e mostra di non saper afferrare la radice del
problema chi stabilisce arbitrarie graduatorie di serietà fra quelle
numerosissime vie. Seria, nel senso di grave, è la condizione
(dis)umana. Per questo fede e scienza non sono che le due facce, del
tutto intercambiabili, della stessa medaglia che mostra quella triste
condizione. D’altra parte, solo nella testa di chi non si sente
conciliato con il sistema di dominio, di chi avverte in qualche modo
l’immenso scarto tra realtà e possibilità, può fare capolino l’impellente esigenza di andare oltre
le apparenze, di ricercare le radici della disumanità, di non
accontentarsi dei freddi «dati di fatto», e questo bisogno sociale la
scienza non può capirlo. Irretita dal suo stesso avvizzito illuminismo,
essa non può capire che anche nelle manifestazioni più irrazionali di
quel fondamentale bisogno, del bisogno «esistenziale» di trascendere,
alligna la più radicale condanna della società disumana. Lo scientismo è
la malattia senile dell’illuminismo, è la vecchia razionalità
scientifica che si è infine sclerotizzata in un ottuso dogmatismo.
(1) «Per quanto è a mia cognizione, o signori, voi avete formato il
vostro registro degli interessi umani con una cifra media presa dalle
statistiche e dalle formule scientifico-economiche. Eccoli i vostri
interessi: prosperità, ricchezza, libertà, riposo e così via e così via,
di modo che l’uomo, il quale, per esempio, manifestamente e
coscientemente si ribellasse contro il vostro registro, sarebbe secondo
voi un oscurantista o addirittura un pazzo» (F. M. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, in Racconti e romanzi brevi, III, p. 96, Sansoni, 1962).
(2) Ivi, p. 109.
(3) Ecco qualche passo dell’utopia onirica raccontata dal «progressista russo contemporaneo e abietto pietroburghese» ai ferri corti con l’irrazionalità della scienza razionale (borghese): «I figli del sole, del loro sole … mi indicavano i loro alberi, ma io non potevo comprendere l’intensità dell’amore con cui essi li guardavano: sembrava che parlassero di esseri simili a loro … Così consideravano anche tutta la natura, anche gli animali che con loro pacificamente vivevano, senza aggredirli, e li amavano, vinti dal loro stesso amore … Non possedevano la nostra scienza (e) non aspiravano alla conoscenza della vita come aspiriamo a conoscerla noi, perché la loro vita era già piena. Ma il loro sapere era più profondo e più alto di quello della nostra scienza; giacché la nostra scienza cerca di spiegare che cosa sia la vita, per insegnare agli altri a vivere; quelli invece anche senza scienza sapevano come dovessero vivere» (F. M. Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo, in Racconti e romanzi brevi, III, p. 718, Sansoni, 1962).
(2) Ivi, p. 109.
(3) Ecco qualche passo dell’utopia onirica raccontata dal «progressista russo contemporaneo e abietto pietroburghese» ai ferri corti con l’irrazionalità della scienza razionale (borghese): «I figli del sole, del loro sole … mi indicavano i loro alberi, ma io non potevo comprendere l’intensità dell’amore con cui essi li guardavano: sembrava che parlassero di esseri simili a loro … Così consideravano anche tutta la natura, anche gli animali che con loro pacificamente vivevano, senza aggredirli, e li amavano, vinti dal loro stesso amore … Non possedevano la nostra scienza (e) non aspiravano alla conoscenza della vita come aspiriamo a conoscerla noi, perché la loro vita era già piena. Ma il loro sapere era più profondo e più alto di quello della nostra scienza; giacché la nostra scienza cerca di spiegare che cosa sia la vita, per insegnare agli altri a vivere; quelli invece anche senza scienza sapevano come dovessero vivere» (F. M. Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo, in Racconti e romanzi brevi, III, p. 718, Sansoni, 1962).
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